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2020-12-27
Cartelle e affitti, la manovra è un flagello
Roberto Gualtieri (Ansa)
Non bastavano i danni legati a un iter surreale della legge di bilancio. La cosa è senza precedenti: solo oggi, infatti, la Camera licenzierà la manovra in prima lettura. Morale: il Senato avrà appena quattro giorni per guardare (ma non per toccare) il «pacco» infiocchettato proveniente da Montecitorio, e per approvarlo a scatola chiusa, pena il rischio dell'esercizio provvisorio. Così la seconda lettura parlamentare sarà praticamente cancellata: e pure la prima è stata funestata per un verso dal ritardo (ben un mese) con cui la legge di bilancio è arrivata in Parlamento, e per altro dai pasticci del governo, smentito e redarguito dalla Ragioneria generale. La quale è a sua volta incorporata nel Mef: con la situazione tragicomica di un Mef che con una mano ha dato parere favorevole a una serie di emendamenti e con l'altra è stato bacchettato per questo dalla sua stessa Ragioneria.
Ma, non pago, il governo si prepara a un altro attacco ai contribuenti. A meno di colpi di scena, nel Milleproproghe, cioè nel provvedimento che tutti ritenevano naturalmente adatto a questo tipo di intervento, non si è fatto nulla per fermare l'incredibile minaccia che pende sulla testa degli italiani. In mancanza di un provvedimento che arresti il plotone d'esecuzione fiscale (che era stato stoppato per l'ultima volta a metà ottobre), dal 1° gennaio ci sono infatti circa 31 milioni di atti dell'Agenzia delle entrate pronti a partire: circa 12 milioni di cartelle ferme di quest'anno, più 8-9 milioni di atti della riscossione, più altri 10 milioni di atti, tra avvisi e accertamenti. Solo dei marziani possono ritenere che, dopo un simile anno e nella situazione di lockdown strisciante in cui ci troviamo, gli italiani abbiano la liquidità per far fronte a questa botta. Che sarebbe per molte famiglie e imprese il colpo di grazia.
La cosa ha tre volte il sapore della beffa. Una prima volta, per il confronto con il blocco degli sfratti (di cui parliamo in questa stessa pagina): quando a sopportare i costi di un atto di «bontà» deve essere un privato, lo Stato non ha esitazione a deciderlo. Se invece si tratta di qualcosa che può avere effetto sull'erario, la macchina pubblica non si ferma affatto. Una seconda volta perché a subire l'arrivo delle cartelle potrebbero essere, in larga misura, le stesse categorie destinatarie di minime misure di «ristoro»: dunque, lo Stato con una mano dà qualcosa e con l'altra si riprende molto di più. Una terza volta, perché qui non stiamo parlando di evasione, ma di somme regolarmente dichiarate, e che però le persone (singoli, partite Iva, imprese) non hanno avuto la liquidità necessaria per pagare.
Ma attenzione, non finisce qui. La diagnosi del commercialista Giuliano Mandolesi è devastante. Intanto, chi ha usufruito di una sospensione dall'8 marzo scorso al 31 dicembre (rateizzazioni in corso sospese, cartelle sospese, eccetera) dovrà versare tutto entro il mese successivo alla scadenza del periodo di sospensione, dunque entro il 31 gennaio prossimo. Sottolinea Mandolesi: «Perché non far slittare in avanti tutto il piano di sospensione? Perché pretendere in un solo giorno tutte le rate sospese? Quel giorno rischia di trasformarsi in un autentico bagno di sangue». In effetti, almeno, un'operazione graduale nel tempo sarebbe stata minimamente più sopportabile. Stesso discorso per le rottamazioni. E poi scatta tutto il resto, ad esempio le eventuali rate Iva il cui pagamento sia stato saltato da un'impresa in questo terribile 2020: «L'operazione è molto più veloce che in passato», spiega il commercialista, «nel senso che il primo avviso può arrivare presto, e prevede già la richiesta di un 10% in più».
Per questo si imporrebbe un nuovo stop a questa raffica di scadenze, e ragionevolezza vorrebbe che si usasse il tempo della nuova sospensione per immaginare una soluzione strutturale. «Ad esempio», ragiona Mandolesi, «si potrebbe decidere l'eliminazione delle sanzioni e una nuova operazione di vero fisco amico, non per finta, per consentire un nuovo piano di rateizzazioni in partenza dal 1° gennaio 2022». Dando almeno un po' di respiro per organizzarsi e poter materialmente pagare qualcosa. Il rischio è invece un accavallarsi di comportamenti paradossali da parte del fisco verso le imprese: ti faccio stare chiuso (o ti impongo una chiusura strisciante), pretendo entro il 31 gennaio somme che non hai, e in più magari ti faccio anche arrivare altre cartelle. Serve altro per scatenare la giusta indignazione degli italiani? La sensazione è che più di qualcuno, a Roma, o non abbia capito, o faccia finta di non aver compreso la drammaticità della situazione.
Intanto, il centro studi di Unimpresa ha lanciato un ulteriore allarme: dal 1° gennaio cambieranno le regole per i conti correnti a causa dell'entrata in vigore delle nuove norme dell'Eba, l'autorità bancaria europea, che impongono agli istituti di credito, dopo tre mesi di mancati pagamenti da soli 100 euro, di segnalare il cliente alla centrale rischi e di classificare tutta la sua esposizione come «credito malato». Inoltre, gli addebiti automatici dei conti scoperti non saranno più consentiti: se i clienti non avranno sufficienti disponibilità liquide si rischia un improvviso stop ai pagamenti di utenze, stipendi, contributi e rate di finanziamenti.
Altra tegola sui proprietari di casa
Ennesimo sfregio nel Milleproroghe ai danni degli italiani «colpevoli» di essere proprietari di un immobile, se non interverrà una assolutamente necessaria opera di correzione parlamentare del decreto.
Si tratta della decisione del governo di sospendere ancora, fino al 30 giugno 2021, l'esecuzione dei provvedimenti di rilascio degli immobili per morosità. Insomma, prosegue il blocco degli sfratti, con tanti saluti al diritto di proprietà e a un minimo di elementare rispetto dello Stato di diritto, e senza peraltro prevedere nemmeno uno straccio di risarcimento a favore dei proprietari. I quali, a questo punto, si troveranno stretti nella tenaglia tra l'eventuale comportamento scorretto di quegli inquilini che si riterranno in qualche misura «legittimati» a non pagare l'affitto e l'esosità di uno Stato che impone ogni anno 21 miliardi di patrimoniale sul mattone.
Siamo cioè alle solite: lo Stato per un verso si concede un atto di solidarietà sociale a favore degli inquilini (ma lo fa pagare ai proprietari), e per altro verso continua a stangare fiscalmente i locatori.
Il presidente di Confedilizia, Giorgio Spaziani Testa, oltre a protestare contro questa misura, sta raccogliendo e pubblicando sui canali social della sua associazione decine e decine di testimonianze di persone che stanno tuttora pagando il mutuo per l'appartamento di loro proprietà, o che dall'affitto dovrebbero trarre risorse indispensabili per sé e la propria famiglia, e che il governo non sembra considerare in alcun modo. Come se la proprietà di un immobile (in un Paese a proprietà diffusa capillarmente) fosse una colpa suscettibile di essere punita dalla mano pubblica.
Conversando con La Verità, Spaziani Testa sottolinea «la rabbia ignorata dalle istituzioni, la vera e propria esasperazione di persone che sono private del loro bene, non ricevono nulla in cambio, e continuano a pagare l'Imu». Il presidente di Confedilizia fa infatti notare che almeno, come piccolo segno di buona volontà pubblica, com'è del resto accaduto per alcune categorie di imprenditori del turismo, si potrebbe alleggerire il carico Imu in questa situazione.
Spaziani Testa fa anche osservare la composizione sociale ed economica dei proprietari: sia chiaro, lo Stato di diritto dovrebbe tutelare anche i più ricchi, cioè anche i proprietari di più immobili, ma la gran parte dei locatori non è affatto in quella situazione economica e patrimoniale, e dunque a maggior ragione la vessazione nei loro confronti grida vendetta: «Non solo le storie che stiamo pubblicando, ma gli stessi dati confermano che i redditi ufficiali dei locatori, più o meno nel 60% dei casi, sono circa di 26.000 euro lordi annui». Insomma, persone per cui quell'entrata è decisiva, nel senso che o vivono di quello o su quello basano una indispensabile integrazione di pensioni e stipendi.
Peraltro, con quest'ultima sospensione, si arriva a ormai 16 mesi di blocco degli sfratti, a cui - fa notare il presidente di Confedilizia - «va aggiunto tutto ciò che già accadeva nei periodi precedenti, tra lungaggini giudiziarie, favor generalizzato della magistratura nei confronti dell'inquilino e così via». Proseguendo su questa strada, chi si fiderà più a dare in affitto un immobile? Confedilizia sta anche cercando di portare la questione davanti alla Corte costituzionale, ma occorre un giudice coraggioso che sollevi il tema davanti alla Consulta.
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L'elemosina dei ristori spazzata via dalla follia della legge di Bilancio che il Parlamento subirà passivamente in queste ore: da gennaio partono milioni di richieste di tasse arretrate. E prosegue pure il blocco degli sfratti.Prorogato il blocco degli sfratti fino a giugno senza stoppare l'Imu. Nel 60% dei casi l'affitto rende solo 26.000 euro lordi l'anno. Confedilizia: «Rabbia ed esasperazione».Lo speciale contiene due articoli. Non bastavano i danni legati a un iter surreale della legge di bilancio. La cosa è senza precedenti: solo oggi, infatti, la Camera licenzierà la manovra in prima lettura. Morale: il Senato avrà appena quattro giorni per guardare (ma non per toccare) il «pacco» infiocchettato proveniente da Montecitorio, e per approvarlo a scatola chiusa, pena il rischio dell'esercizio provvisorio. Così la seconda lettura parlamentare sarà praticamente cancellata: e pure la prima è stata funestata per un verso dal ritardo (ben un mese) con cui la legge di bilancio è arrivata in Parlamento, e per altro dai pasticci del governo, smentito e redarguito dalla Ragioneria generale. La quale è a sua volta incorporata nel Mef: con la situazione tragicomica di un Mef che con una mano ha dato parere favorevole a una serie di emendamenti e con l'altra è stato bacchettato per questo dalla sua stessa Ragioneria. Ma, non pago, il governo si prepara a un altro attacco ai contribuenti. A meno di colpi di scena, nel Milleproproghe, cioè nel provvedimento che tutti ritenevano naturalmente adatto a questo tipo di intervento, non si è fatto nulla per fermare l'incredibile minaccia che pende sulla testa degli italiani. In mancanza di un provvedimento che arresti il plotone d'esecuzione fiscale (che era stato stoppato per l'ultima volta a metà ottobre), dal 1° gennaio ci sono infatti circa 31 milioni di atti dell'Agenzia delle entrate pronti a partire: circa 12 milioni di cartelle ferme di quest'anno, più 8-9 milioni di atti della riscossione, più altri 10 milioni di atti, tra avvisi e accertamenti. Solo dei marziani possono ritenere che, dopo un simile anno e nella situazione di lockdown strisciante in cui ci troviamo, gli italiani abbiano la liquidità per far fronte a questa botta. Che sarebbe per molte famiglie e imprese il colpo di grazia. La cosa ha tre volte il sapore della beffa. Una prima volta, per il confronto con il blocco degli sfratti (di cui parliamo in questa stessa pagina): quando a sopportare i costi di un atto di «bontà» deve essere un privato, lo Stato non ha esitazione a deciderlo. Se invece si tratta di qualcosa che può avere effetto sull'erario, la macchina pubblica non si ferma affatto. Una seconda volta perché a subire l'arrivo delle cartelle potrebbero essere, in larga misura, le stesse categorie destinatarie di minime misure di «ristoro»: dunque, lo Stato con una mano dà qualcosa e con l'altra si riprende molto di più. Una terza volta, perché qui non stiamo parlando di evasione, ma di somme regolarmente dichiarate, e che però le persone (singoli, partite Iva, imprese) non hanno avuto la liquidità necessaria per pagare. Ma attenzione, non finisce qui. La diagnosi del commercialista Giuliano Mandolesi è devastante. Intanto, chi ha usufruito di una sospensione dall'8 marzo scorso al 31 dicembre (rateizzazioni in corso sospese, cartelle sospese, eccetera) dovrà versare tutto entro il mese successivo alla scadenza del periodo di sospensione, dunque entro il 31 gennaio prossimo. Sottolinea Mandolesi: «Perché non far slittare in avanti tutto il piano di sospensione? Perché pretendere in un solo giorno tutte le rate sospese? Quel giorno rischia di trasformarsi in un autentico bagno di sangue». In effetti, almeno, un'operazione graduale nel tempo sarebbe stata minimamente più sopportabile. Stesso discorso per le rottamazioni. E poi scatta tutto il resto, ad esempio le eventuali rate Iva il cui pagamento sia stato saltato da un'impresa in questo terribile 2020: «L'operazione è molto più veloce che in passato», spiega il commercialista, «nel senso che il primo avviso può arrivare presto, e prevede già la richiesta di un 10% in più». Per questo si imporrebbe un nuovo stop a questa raffica di scadenze, e ragionevolezza vorrebbe che si usasse il tempo della nuova sospensione per immaginare una soluzione strutturale. «Ad esempio», ragiona Mandolesi, «si potrebbe decidere l'eliminazione delle sanzioni e una nuova operazione di vero fisco amico, non per finta, per consentire un nuovo piano di rateizzazioni in partenza dal 1° gennaio 2022». Dando almeno un po' di respiro per organizzarsi e poter materialmente pagare qualcosa. Il rischio è invece un accavallarsi di comportamenti paradossali da parte del fisco verso le imprese: ti faccio stare chiuso (o ti impongo una chiusura strisciante), pretendo entro il 31 gennaio somme che non hai, e in più magari ti faccio anche arrivare altre cartelle. Serve altro per scatenare la giusta indignazione degli italiani? La sensazione è che più di qualcuno, a Roma, o non abbia capito, o faccia finta di non aver compreso la drammaticità della situazione. Intanto, il centro studi di Unimpresa ha lanciato un ulteriore allarme: dal 1° gennaio cambieranno le regole per i conti correnti a causa dell'entrata in vigore delle nuove norme dell'Eba, l'autorità bancaria europea, che impongono agli istituti di credito, dopo tre mesi di mancati pagamenti da soli 100 euro, di segnalare il cliente alla centrale rischi e di classificare tutta la sua esposizione come «credito malato». Inoltre, gli addebiti automatici dei conti scoperti non saranno più consentiti: se i clienti non avranno sufficienti disponibilità liquide si rischia un improvviso stop ai pagamenti di utenze, stipendi, contributi e rate di finanziamenti. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/cartelle-e-affitti-la-manovra-e-un-flagello-2649648344.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="altra-tegola-sui-proprietari-di-casa" data-post-id="2649648344" data-published-at="1609012528" data-use-pagination="False"> Altra tegola sui proprietari di casa Ennesimo sfregio nel Milleproroghe ai danni degli italiani «colpevoli» di essere proprietari di un immobile, se non interverrà una assolutamente necessaria opera di correzione parlamentare del decreto. Si tratta della decisione del governo di sospendere ancora, fino al 30 giugno 2021, l'esecuzione dei provvedimenti di rilascio degli immobili per morosità. Insomma, prosegue il blocco degli sfratti, con tanti saluti al diritto di proprietà e a un minimo di elementare rispetto dello Stato di diritto, e senza peraltro prevedere nemmeno uno straccio di risarcimento a favore dei proprietari. I quali, a questo punto, si troveranno stretti nella tenaglia tra l'eventuale comportamento scorretto di quegli inquilini che si riterranno in qualche misura «legittimati» a non pagare l'affitto e l'esosità di uno Stato che impone ogni anno 21 miliardi di patrimoniale sul mattone. Siamo cioè alle solite: lo Stato per un verso si concede un atto di solidarietà sociale a favore degli inquilini (ma lo fa pagare ai proprietari), e per altro verso continua a stangare fiscalmente i locatori. Il presidente di Confedilizia, Giorgio Spaziani Testa, oltre a protestare contro questa misura, sta raccogliendo e pubblicando sui canali social della sua associazione decine e decine di testimonianze di persone che stanno tuttora pagando il mutuo per l'appartamento di loro proprietà, o che dall'affitto dovrebbero trarre risorse indispensabili per sé e la propria famiglia, e che il governo non sembra considerare in alcun modo. Come se la proprietà di un immobile (in un Paese a proprietà diffusa capillarmente) fosse una colpa suscettibile di essere punita dalla mano pubblica. Conversando con La Verità, Spaziani Testa sottolinea «la rabbia ignorata dalle istituzioni, la vera e propria esasperazione di persone che sono private del loro bene, non ricevono nulla in cambio, e continuano a pagare l'Imu». Il presidente di Confedilizia fa infatti notare che almeno, come piccolo segno di buona volontà pubblica, com'è del resto accaduto per alcune categorie di imprenditori del turismo, si potrebbe alleggerire il carico Imu in questa situazione. Spaziani Testa fa anche osservare la composizione sociale ed economica dei proprietari: sia chiaro, lo Stato di diritto dovrebbe tutelare anche i più ricchi, cioè anche i proprietari di più immobili, ma la gran parte dei locatori non è affatto in quella situazione economica e patrimoniale, e dunque a maggior ragione la vessazione nei loro confronti grida vendetta: «Non solo le storie che stiamo pubblicando, ma gli stessi dati confermano che i redditi ufficiali dei locatori, più o meno nel 60% dei casi, sono circa di 26.000 euro lordi annui». Insomma, persone per cui quell'entrata è decisiva, nel senso che o vivono di quello o su quello basano una indispensabile integrazione di pensioni e stipendi. Peraltro, con quest'ultima sospensione, si arriva a ormai 16 mesi di blocco degli sfratti, a cui - fa notare il presidente di Confedilizia - «va aggiunto tutto ciò che già accadeva nei periodi precedenti, tra lungaggini giudiziarie, favor generalizzato della magistratura nei confronti dell'inquilino e così via». Proseguendo su questa strada, chi si fiderà più a dare in affitto un immobile? Confedilizia sta anche cercando di portare la questione davanti alla Corte costituzionale, ma occorre un giudice coraggioso che sollevi il tema davanti alla Consulta.
Da sx in alto: americani della 92ª Divisione, alpini della Divisione «Monterosa», paracadutisti tedeschi e la frazione di Sommocolonia oggi. Garfagnana, 26 dicembre 1944
La battaglia della Garfagnana, nota come Operazione «Wintergewitter» (tempesta invernale) fu l’ultima controffensiva delle forze dell’Asse sul fronte italiano. Iniziò la notte tra Natale e Santo Stefano del 1944 per terminare tre giorni più tardi. L’obiettivo, pur presentando scarse se non nulle possibilità di raggiungerlo, era quello di arrestare l’avanzata alleata lungo il fronte della linea Gotica allora in stallo per l’inverno rallentando l’avanzata degli angloamericani che puntavano verso Bologna e la Pianura Padana. Il teatro delle operazioni fu la valle del Serchio nella Garfagnana, in provincia di Lucca, dove gli americani del 92° Infantry Regiment, i famosi «Buffalo Soldiers» a maggioranza afroamericana, si erano acquartierati nei giorni precedenti al Natale, ritenendo le ostilità in pausa. L’effetto sorpresa era proprio il punto cardine dell’operazione pianificata dal comando tedesco guidato dal generale Otto Fretter-Pico. Le forze dell’Asse consistevano sostanzialmente di reparti da montagna, i «Gebirgsjaeger» tedeschi e gli alpini italiani della Divisione «Monterosa», uno dei primi reparti addestrati in Germania dopo la nascita della Repubblica Sociale. L’attacco fu fissato per la mezzanotte, tra il 25 e il 26 dicembre e procedette speditamente. I reparti speciali tedeschi e gli alpini iniziarono una manovra di accerchiamento da Montebono per Bobbio, Tiglio e Pian di Coreglia, mentre un reparto leggero prendeva in poche ore Sommocolonia. Contemporaneamente tutti i reparti si muovono, compreso un nucleo del Battaglione «San Marco», che in poco tempo occupava Molazzana. Entro la sera di Santo Stefano la linea dei Buffalo Soldiers era sfondata, mentre i reparti americani arretravano in massa. I prigionieri erano circa 250, mentre numerose armi e munizioni venivano requisite. Anche vettovaglie e generi di conforto cadevano nelle mani degli attaccanti.
Gli americani praticamente non reagirono, ma si spostarono in massa verso la linea difensiva di Bagni di Lucca. Per un breve tempo sembrò (soprattutto agli italiani, mentre i tedeschi sembravano paghi della riuscita sorpresa) che il fronte potesse cedere fino in Versilia e verso Livorno. L’ordine di Fretter-Pico di arrestare l’avanzata fu una doccia fredda. Le ragioni dell'arresto risiedevano principalmente nella difficoltà di mantenere le posizioni, la scarsità ormai cronica di uomini e munizioni (c’era solo l’artiglieria, nessun carro armato e soprattutto nessun supporto dall’Aviazione, praticamente sparita dai cieli del Nord Italia). Gli americani invece avevano il dominio assoluto del cielo, con i cacciabombardieri che potevano decollare dai vicini aeroporti della Toscana occupata, come quelli di Grosseto e Rosignano. Tra il 27 e il 30 dicembre 1944 i P-47 Thunderbolt dell’Usaf bombardarono a tappeto, mietendo vittime soprattutto tra la popolazione civile. La linea difensiva dell’Asse ritornò nei giorni successivi alle posizioni di partenza, mentre il fronte si assestava fino all’inizio del febbraio 1945 quando gli alleati lanciarono l’operazione «Fourth Term», che portò in pochi giorni alla conquista della Garfagnana. Durante l’operazione «Wintergewitter» lo scontro più violento si verificò nell’abitato di Sommocolonia dove la guarnigione americana perse quasi tutti gli uomini, compreso il proprio comandante tenente John R. Fox che, vistosi ormai circondato dai tedeschi, chiese all’artiglieria della 92ª di sparare sull’abitato nel tentativo disperato di rallentare l’attacco a sorpresa. Morì sotto le macerie della sua postazione e solamente nel 1997 fu insignito della medaglia d’onore.
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Lee Raybon avrebbe ambizioni da detective. Non da investigatore tout court. Piuttosto, vorrebbe essere un reporter, di quelli capaci - forti solo delle proprie risorse - di portare a termine indagini e inchieste, di dar forma alle notizie prima ancora che queste vengano diffuse dalle autorità competenti.
L'ambizione, tuttavia, è rimasta tale, nel corso di un'esistenza che ha costretto Raybon a ripiegare su altro per il mero sostentamento. Si è reinventato libraio, Lee Raybon, gestendo di giorno un negozio di libri rari. La notte, però, ha continuato a seguire il cuore, dando spazio alle sue indagini scalcagnate. Qualcuna è riuscito a trasformarla in articolo di giornale, venendola alle pagine di cronaca locale di Tulsa, città che ospita il racconto. E sono i pezzi ritagliati, insieme ai libri ormai giallognoli, ad affollare l'apportamento di Raybon, che la moglie ha mollato su due piedi, quando ben ha realizzato che non ci sarebbe stato spazio per altro nella vita di quell'uomo. Raybon, dunque, è rimasto solo. Non solo come il crime, per lo più, ha raccontato i suoi detective. Non è, cioè, una solitudine disperata, quella di Raybon. Non c'è tristezza né emarginazione. C'è passione, invece: quella per un mestiere cui anche la figlia dell'uomo sembra guardare con grande interesse.
Francis, benché quattordicenne, ha sviluppato per il secondo mestiere del padre una curiosità quasi morbosa, in nome della quale ha cominciato a seguirlo in ogni dove, partecipando lei pure alle indagini. Cosa, questa, che si ostina a fare anche quando la situazione diventa insolitamente complicata. Lee Raybon ha messo nel mirino i Washberg, una tra le famiglie più potenti di Tulsa. Ma uno di loro, Dale, si è tolto la vita, quando l'articolo di Raybon sulle faccende losche della dinastia è stato pubblicato su carta. Perché, però? Quali segreti nascondo i Washberg? Le domande muovono la nuova indagine di Raybon, la sostanziano. E, attorno alla ricerca di risposte, si dipana The Lowdon, riuscendo a bilanciare l'irrequietezza del suo protagonista, il suo cinismo, con il racconto di una dinamica familiare di solito estranea al genere crime.
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Secondo i calcoli di Facile.it, il 2025 si chiuderà con un calo di circa 50 euro per la rata mensile di un mutuo variabile standard, scesa da 666 euro di inizio anno a circa 617 euro. Un movimento coerente con il progressivo rientro delle componenti di costo indicizzate (Euribor) e con l’aspettativa di stabilizzazione di breve periodo.
Sul versante dei mutui a tasso fisso, il 2025 è stato invece caratterizzato da un lieve aumento dei costi per i nuovi mutuatari, in larga parte legato alla risalita dell’indice IRS (il riferimento tipico per i fissi). A gennaio 2025 l’IRS a 25 anni è stato in media pari a 2,4%; nell’ultimo mese è arrivato al 3,1%. L’effetto, almeno parziale, si è trasferito sulle nuove offerte: per un finanziamento standard la rata risulta oggi più alta di circa 40 euro rispetto a inizio anno.
«Il 2025 è stato un anno positivo sul fronte dei tassi dei mutui: i variabili sono scesi a seguito dei tagli della Bce, mentre i fissi, seppur in lieve aumento, offrono comunque buone condizioni per chi vuole tutelarsi da possibili futuri aumenti di rata. Oggi, quindi, l’aspirante mutuatario può godere di un’ampia offerta di soluzioni: scegliere il tasso variabile significa partire con una rata più contenuta, ma il vantaggio economico iniziale può essere ritenuto da molti ancora non sufficiente per giustificare il rischio connesso a questo tipo di finanziamento. Per chi non è disposto a rischiare, invece, i fissi garantiscono comunque condizioni favorevoli, oltre alla certezza che la rata resti uguale per tutte la durata del mutuo. Non esiste in assoluto una soluzione giusta o sbagliata, la scelta va presa da ciascun richiedente secondo le proprie caratteristiche; un consulente esperto può essere d’aiuto per valutare pregi e difetti di ciascuna proposta e identificare quella più adatta», spiegano gli esperti di Facile.it
Guardando in avanti, un’indicazione operativa sui variabili arriva dai Futures sugli Euribor (aggiornati al 10 dicembre 2025): per il 2026 non vengono prezzate grandi variazioni. L’Euribor a 3 mesi, oggi sotto il 2,1%, è atteso su livelli simili anche nel prossimo anno.
«In questo momento il mercato non prevede ulteriori tagli da parte della BCE nel 2026 e al netto di qualche piccola oscillazione al rialzo verso fine anno, nei prossimi 12 mesi le rate dovrebbero rimanere tendenzialmente stabili», continuano gli esperti di Facile.it
Lo snodo resta l’inflazione: se dovesse tornare ad accelerare, non si potrebbero escludere nuove mosse restrittive della Bce, con un impatto immediato sugli indici e quindi sulle rate dei variabili. Più difficile, invece, «leggere» i fissi: finché i rendimenti dei titoli europei resteranno in salita, è complicato immaginare una traiettoria diversa per gli Irs e, a cascata, per i mutui collegati.
Per chi deve scegliere adesso, lo scenario è nettamente diverso rispetto a inizio anno. Nel 2025, il tasso variabile è tornato mediamente più conveniente. Secondo l’analisi** di Facile.it sulle migliori offerte online, per un mutuo da 126.000 euro in 25 anni (LTV 70%) i variabili partono da un TAN del 2,54%, con rata di 554,5 euro. A parità di profilo, i fissi partono da un TAN del 3,10%, con rata di 604 euro: circa 50 euro in più al mese.
«Scegliere oggi un tasso variabile significa partire con una rata più contenuta, ma il vantaggio economico iniziale può essere ritenuto da molti ancora non sufficiente per giustificare il rischio connesso a questo tipo di finanziamento. Per chi non è disposto a rischiare, invece, i fissi garantiscono comunque condizioni favorevoli, oltre alla certezza che la rata resti uguale per tutte la durata del mutuo. Non esiste in assoluto una soluzione giusta o sbagliata, la scelta va presa da ciascun richiedente secondo le proprie caratteristiche; un consulente esperto può essere d’aiuto per valutare pregi e difetti di ciascuna proposta e identificare quella più adatta», concludono gli esperti di Facile.it.
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Brahim Diaz esulta dopo aver segnato un gol durante la partita inaugurale della 35ª Coppa d'Africa tra Marocco e Comore allo stadio Prince Moulay Abdellah di Rabat (Getty Images)
Serve a spostare l’immaginario: non più periferia, non più frontiera, ma piattaforma. Il governo marocchino non lo nasconde. «La Coppa d’Africa è una prova generale per il Mondiale 2030 e un simbolo della nostra capacità di organizzare eventi globali con standard elevati», ha dichiarato recentemente un portavoce del governo di Rabat, sottolineando l’utilizzo dello sport come leva di soft power e di consolidamento di immagine internazionale. Il re Mohammed VI ha insistito pubblicamente sul ruolo dello sport come strumento di dialogo e cooperazione regionale, definendo iniziative come Afcon e il Mondiale 2030 parte integrante della «strategia marocchina di apertura e modernizzazione». Questa visione è stata ripresa anche dai media di Stato come elemento di legittimazione politica e di promozione dell’identità nazionale. I numeri aiutano a capire la traiettoria. Il Marocco conta oggi circa 37 milioni di abitanti e una crescita demografica relativamente contenuta dell’1 per cento annuo circa, molto più bassa rispetto a molte economie subsahariane.
Questo rallentamento demografico consente una pianificazione a medio-lungo termine più sostenibile. Sul piano economico, il pil ha superato i 140 miliardi di dollari nel 2023, con un pil pro capite attorno ai 3.700 dollari, superiore a molti Paesi dell’Africa subsahariana e stabile negli ultimi anni. Il calcio entra qui. La Coppa d’Africa diventa una vetrina perché cade in un momento preciso. Il Paese è nel pieno di un ciclo di investimenti pubblici legati a grandi eventi. Strade, aeroporti, linee ferroviarie ad alta velocità, stadi. Secondo stime ufficiali, tra infrastrutture sportive e opere collegate il Marocco ha messo sul piatto investimenti nell’ordine di oltre 21 miliardi di dirham — quasi 2 miliardi di euro — per modernizzare stadi e città in vista di Afcon 2025 e del Mondiale 2030. Questa spinta è percepita anche a livello diplomatico.
Nel corso degli ultimi anni Rabat ha promosso nuove alleanze economiche in Africa occidentale, con piani di investimento in energia, telecomunicazioni e infrastrutture. La Coppa d’Africa è intesa come un elemento di “soft power” che attraversa i confini: non solo uno spettacolo sportivo, ma un’occasione per creare reti di relazioni, far visita a delegazioni internazionali e mostrare un’immagine di stabilità e apertura. Il messaggio è rivolto prima di tutto al continente africano. Il Marocco si propone come modello alternativo: africano per storia e geografia, ma sempre più occidentale per governance, modelli economici e partner strategici. “Lo sport è parte integrante della nostra politica estera e interna”, ha detto un consigliere politico marocchino parlando della Coppa d’Africa come di un evento che rafforza l’influenza regionale di Rabat. La Coppa d’Africa serve anche a rafforzare una narrativa interna. Il Paese viene da anni di riforme graduali, non sempre popolari, tra cui la promozione di miglioramenti nei servizi pubblici. Il consenso passa anche dalla capacità di offrire orgoglio nazionale e visibilità internazionale.
Dopo il quarto posto al Mondiale 2022, la nazionale è diventata un moltiplicatore emotivo, un simbolo di successo collettivo. Ma non mancano le critiche. In un anno segnato da proteste giovanili e richieste di maggiori investimenti in sanità ed educazione, alcuni osservatori ricordano che infrastrutture sportive e servizi sociali competono per risorse limitate. «Vogliamo ospedali, non stadi» è stato lo slogan di manifestazioni che hanno investito diverse città marocchine nei mesi scorsi, sottolineando il rischio di disallineamento tra spesa per eventi e bisogni sociali. Nel contesto internazionale il torneo assume un ulteriore significato. La Coppa d’Africa 2025 arriva pochi anni prima del Mondiale 2030, che il Marocco ospiterà insieme a Spagna e Portogallo. Non come semplice partecipante, ma come Paese co-organizzatore, una delle prime volte che un Paese africano riveste questo ruolo congiunto nel calcio globale. Il Marocco conta di vincere la Coppa D'Africa. Il risultato sportivo conterà. Ma conterà meno del messaggio lasciato. Rabat vuole usare il calcio per ribadire che il centro può spostarsi, che l’Africa non è solo luogo di risorse e problemi, ma anche piattaforma, regia e snodo geopolitico. E nel 2030, quando il mondo guarderà lo stesso pallone rimbalzare tra Europa e Africa, quella storia sarà già stata scritta.
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