2021-08-14
La Cartabia ha già seri problemi con la Carta
Marta Cartabia (Getty Images)
Numerose criticità mettono la riforma a rischio di incostituzionalità. Dalle valutazioni caratterizzate da un ampio margine di discrezionalità all'illogica classificazione dei reati. E infine la sostanziale abolizione del principio di uguaglianza tra imputati.È stato posto in luce, nel precedente articolo, come la progettata riforma del processo penale si possa frequentemente tradurre, ad onta delle proclamate intenzioni dei suoi autori, in un maggiore incentivo alla proposizione di impugnazioni puramente dilatorie, con conseguente ulteriore aggravio degli uffici giudiziari. Essa presenta però anche delle notevoli criticità sotto il diverso profilo della sua compatibilità con taluni principi costituzionali.La prima di tali criticità è quella ravvisabile nella previsione che i termini entro i quali, a pena di estinzione del processo, debbono essere definiti i giudizi di impugnazione possano essere prorogati, in varia misura, con ordinanza del giudice procedente «quando il giudizio di impugnazione è particolarmente complesso, in ragione del numero delle parti o delle imputazioni o del numero o della complessità delle questioni di fatto o di diritto da trattare». Ora, la verifica di tali condizioni non può che essere frutto di valutazioni necessariamente caratterizzate da un ampio margine di discrezionalità; il che appare difficilmente compatibile con le esigenze di certezza e di uniformità di trattamento che, in una materia come quella in discorso, dovrebbero essere considerate ineludibili. Di qui la possibile violazione del principio di uguaglianza e del diritto di difesa, previsti, rispettivamente, dall'art. 3 e dall'art. 24 della Costituzione; violazione che non è invece prospettabile con riguardo alla causa estintiva del reato costituita dalla prescrizione, dal momento che i termini di quest'ultima sono stabiliti direttamente dalla legge in misura uguale per tutti coloro i quali siano imputati degli stessi reati, per cui l'eventualità che essa operi per un imputato piuttosto che per un altro non dipende mai direttamente dalla volontà del giudice ma soltanto dalla ineliminabile varietà delle vicende di ogni singolo processo. Né potrebbe dirsi che l'uniformità di trattamento sarebbe comunque assicurata dalla possibilità, pure prevista nel progetto di riforma, del ricorso per cassazione avverso i provvedimenti con i quali il giudice dell'impugnazione disponga la proroga del termine per la definizione del relativo giudizio. Trattandosi, infatti, di provvedimenti la cui adozione non è subordinata alla presenza di condizioni rigidamente e tassativamente stabilite, in via preventiva, dalla legge, la stessa Corte di cassazione, quale giudice di mera legittimità, altro non potrebbe fare se non verificare che l'ordinanza di proroga non sia viziata a causa di «mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità» della motivazione, senza poter in alcun modo sindacare il suo fondamento nel merito. E ciò senza considerare la singolarità (per non dire altro) del fatto che, quando il procedimento penale fosse pendente davanti alla Corte di cassazione, è a quest'ultima che spetterebbe la competenza ad adottare l'eventuale provvedimento di proroga del termine stabilito per la sua definizione e a decidere, quindi, essa stessa, sul ricorso che avverso quel provvedimento venisse proposto dall'imputato. Ulteriore profilo di possibile incostituzionalità è poi quello nascente dal fatto che nel progetto di riforma è previsto che la proroga del termine di definizione dei giudizi di impugnazione, normalmente possibile per una sola volta, sia illimitatamente reiterabile quando si procede per taluni reati nominativamente indicati. Ora, già il prevedere che, per tali reati, il giudice, sulla base di valutazioni che (come si è detto) non possono che essere largamente discrezionali, possa prorogare pressoché all'infinito un termine posto a garanzia del diritto riconosciuto all'imputato di non rimanere sottoposto a giudizio per un tempo ritenuto dallo stesso legislatore come eccessivo non appare facilmente conciliabile con i già ricordati articoli 3 e 24 della Costituzione. E la difficoltà aumenta ove si consideri che la selezione dei reati per i quali non sono previsti limiti alla reiterabilità delle proroghe non appare fondata su alcun riconoscibile criterio logico. Nel relativo elenco, infatti, sono compresi, fra gli altri, reati in materia sessuale, indubbiamente gravi, ma ne rimangono esclusi, inspiegabilmente, altri puniti assai più gravemente quali, ad esempio, l'omicidio semplice, la rapina aggravata e il sequestro di persona a scopo di estorsione, e suscettibili di produrre allarme sociale non certo inferiore a quello prodotto dai reati sessuali. Di qui la non remota possibilità che la scelta del legislatore, siccome priva di ragionevolezza, cada, alla prima occasione, sotto la mannaia della Corte costituzionale, avendo quest'ultima da gran tempo adottato una interpretazione dell'art. 3 della Costituzione secondo cui il principio di uguaglianza, affermato in detto articolo, può dirsi violato anche quando la norma ordinaria sia da ritenere, a giudizio della stessa Corte, viziata da irragionevolezza. Esposta a grave rischio di incostituzionalità appare infine anche la norma con la quale è stato previsto che la nuova disciplina sui termini stabiliti per la definizione dei giudizi di impugnazione e sulle conseguenze della loro inosservanza valga soltanto per i procedimenti aventi ad oggetto reati commessi successivamente al 1° gennaio 2020. Trattandosi, infatti, di norma che pur avendo carattere formalmente processuale è dotata di effetti sicuramente sostanziali e spesso più vantaggiosi per l'imputato (come si è visto nel precedente articolo) rispetto a quelli della vecchia disciplina in materia di prescrizione, essa dovrebbe poter trovare applicazione in tutti i procedimenti ancora pendenti, a prescindere dalla data di commissione dei reati cui essi si riferiscono. Ciò in applicazione della regola della cosiddetta «retroattività della norma più favorevole», la quale, pur non essendo espressamente prevista dalla Costituzione ma soltanto dall'art. 2 del codice penale, deve tuttavia ritenersi, secondo quanto più volte affermato dalla Corte costituzionale (ad esempio le sentenze nn. 393/2006, 394/2006, 236/2011), «non priva di fondamento costituzionale», essendo questo da individuarsi, ancora una volta, nel «principio di eguaglianza, che impone, in linea di massima, di equiparare il trattamento sanzionatorio dei medesimi fatti, a prescindere dalla circostanza che essi siano stati commessi prima o dopo l'entrata in vigore della norma che ha disposto l'abolitio criminis o la modifica mitigatrice». Ed a tale regola, sempre secondo la Corte costituzionale, può derogarsi soltanto in presenza di ragioni oggettivamente valide quali, in particolare, quelle dettate dalla necessità di salvaguardare interessi di rilievo costituzionale non inferiore a quello dell'uguaglianza, come specificato, in particolare, nella sentenza n. 393/2006, la quale aggiunge che, per non incorrere in un giudizio di incostituzionalità, non è sufficiente che la norma derogatoria «non sia manifestamente irragionevole», ma occorre che essa sia tale da «superare un vaglio positivo di ragionevolezza»; condizione, quest'ultima, che, nel nostro caso, difficilmente potrebbe dirsi soddisfatta, non risultando in alcun modo né enunciate né comunque riconoscibili le ragioni della deroga e non vedendosi, d'altra parte, per quale motivo il regime transitorio che pure è stato previsto per i processi già pendenti in grado di appello o di cassazione non potesse estendersi anche a quelli aventi ad oggetto reati commessi prima del 1° gennaio 2020.Pietro DubolinoPresidente di sezione a riposo della Corte di cassazione
Nella prima mattinata del 28 ottobre 2025 la Guardia di Finanza e la Polizia di Stato hanno eseguito numerose perquisizioni domiciliari in tutta Italia ed effettuato il sequestro preventivo d’urgenza del portale www.voltaiko.com, con contestuale blocco di 95 conti correnti riconducibili all’omonimo gruppo societario.
Si tratta del risultato di una complessa indagine condotta dal Nucleo Operativo Metropolitano della Guardia di Finanza di Bologna e dal Centro Operativo per la Sicurezza Cibernetica per l’Emilia-Romagna, sotto la direzione del Pubblico Ministero Marco Imperato della Procura della Repubblica di Bologna.
Un’azione coordinata che ha visto impegnate in prima linea anche le Sezioni Operative Sicurezza Cibernetica delle varie Regioni e gli altri reparti territoriali della Fiamme Gialle nelle province di Bologna, Rimini, Modena, Milano, Varese, Arezzo, Frosinone, Teramo, Pescara, Ragusa.
L’operazione ha permesso di ricostruire il modus operandi di un gruppo criminale transnazionale con struttura piramidale tipica del «network marketing multi level» dedito ad un numero indeterminato di truffe, perpetrate a danno anche di persone fragili, secondo il cosiddetto schema Ponzi (modello di truffa che promette forti guadagni ai primi investitori, a discapito di nuovi investitori, a loro volta vittime del meccanismo di vendita).
La proposta green di investimenti nel settore delle energie rinnovabili non prevedeva l’installazione di impianti fisici presso le proprie abitazioni, bensì il noleggio di pannelli fotovoltaici collocati in Paesi ad alta produttività energetica, in realtà inesistenti, con allettanti rendimenti mensili o trimestrali in energy point. Le somme investite erano tuttavia vincolate per tre anni, consentendo così di allargare enormemente la leva finanziaria.
Si stima che siano circa 6.000 le persone offese sul territorio nazionale che venivano persuase dai numerosi procacciatori ad investire sul portale, generando un volume di investimenti stimato in circa 80 milioni di euro.
La Procura della Repubblica di Bologna ha disposto in via d’urgenza il sequestro preventivo del portale www.voltaiko.com e di tutti i rapporti finanziari riconducibili alle società coinvolte e agli indagati, da ritenersi innocenti fino a sentenza definitiva.
Nel corso delle perquisizioni è stato possibile rinvenire e sottoporre a sequestro criptovalute, dispositivi elettronici, beni di lusso, lingotti d’oro e documentazione di rilevante interesse investigativo.
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