2019-06-29
Carola la piratessa è indagata e rischia anche l’espulsione
È accusata di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina e rifiuto d'obbedienza a nave militare. Può essere rimpatriata.Cinque nazioni europee offrono accoglienza agli extracomunitari della Sea Watch 3, però Bruxelles chiede di farli prima sbarcare. Matteo Salvini categorico: «Senza accordi firmati non lascio scendere nessuno».In barba al pacifismo della figlia, il papà della Rackete lavorava nell'industria bellica.Lo speciale contiene tre articoli. La celebrità in Italia passa anche (e soprattutto) per le aule di tribunale, avrà pensato Carola Rackete in queste ore. La «capitana» della Sea Watch 3, questa mattina, dovrebbe infatti essere interrogata dai pm della Procura di Agrigento, che l'hanno iscritta nel registro degli indagati per una duplice ipotesi accusatoria legata alla violazione del decreto sicurezza bis: favoreggiamento dell'immigrazione clandestina e violazione dell'articolo 1099 del codice della navigazione, reato contestato al comandante che non obbedisce all'ordine di una nave da guerra nazionale. Eppure lei - la giovane che si sente in difetto per essere bella, bianca e ricca e colpevolizza l'Occidente e, in particolare, l'Italia di non accogliere centinaia di migliaia di migranti provenienti dall'Africa - non sembra in alcun modo preoccupata dagli sviluppi dell'inchiesta che la riguarda. Tant'è che, prima, in presenza di indiscrezioni sulle mosse degli inquirenti, con consumata abilità aveva sottolineato di non essere abituata a «commentare i rumors», poi, quando la notizia è stata ufficializzata, l'ha presa molto con filosofia. «Affronterò tutto con il supporto dei legali e di Sea Watch, ora voglio solo le persone a terra», ha aggiunto, forte - molto probabilmente - dei 300.000 euro raccolti, con le donazioni, a favore della Ong in questi giorni. Rackete ha però sentito l'esigenza di ribadire che «la situazione psicologica dei naufraghi a bordo peggiora ogni ora di più, abbiamo persone con problemi post traumatici a bordo e il fatto che non si sappia come e quando la situazione si sbloccherà, peggiora le condizioni. Abbiamo avuto questa notte una evacuazione medica per un giovane di 21 anni». Dunque, nessun ripensamento rispetto al modo plateale con cui ha infranto una legge di uno Stato europeo, tutt'altro. Dall'ufficio dei pubblici ministeri arrivano invece parole felpate e improntate alla cautela. «Stiamo valutando il sequestro probatorio, stiamo studiando le carte. Noi facciamo il nostro lavoro non ci sostituiamo a nessuno», ha spiegato il procuratore aggiunto di Agrigento, Salvatore Vella, al suo arrivo a Lampedusa per coordinare la perquisizione a bordo del natante da parte della polizia e della guardia di finanza. A Roma però la percezione della gestione della crisi è particolarmente critica tant'è che ambienti del Viminale hanno fatto trapelare l'ipotesi che la «capitana» potrebbe essere ben presto destinataria di un provvedimento di espulsione. Una mossa - che è nei poteri del ministero dell'Interno - che di fatto lancerebbe un segnale di più immediata e facile comprensione anche ai partner europei, finora rimasti colpevolmente in silenzio, rispetto ai bizantinismi e alle articolate procedure della giustizia italiana. Giustizia che, peraltro, in questo caso sembra procedere con una maggiore riflessività rispetto alla tempestività con cui, in altre occasioni, pure si è mossa. Il Viminale starebbe inoltre lavorando pure a una multa da 50.000 euro da comminare alla organizzazione non governativa, con base a Berlino, così come previsto dal decreto sicurezza bis ed evocato più volte dal vicepremier Matteo Salvini. Malgrado le perquisizioni e le noie giudiziarie, nella giornata di ieri la «capitana» della Sea Watch 3 si è concessa a una lunga intervista di gruppo in collegamento Skype con la sala stampa estera. «Cibo e acqua non sono il problema. Quello vero di problema è che sfortunatamente a bordo non abbiamo psicologi perché queste persone hanno subito molti traumi e non abbiamo personale specializzato», ha detto. «Per farli distrarre li facciamo giocare a carte, li intratteniamo, insegniamo le lingue e cantiamo diverse canzoni e così facciamo passare questa orribile attesa». La capitana ha riferito che ai migranti viene fornito cibo tre volte al giorno ma «lavarsi è molto difficile poiché non abbiamo abbastanza acqua potabile a bordo ed anche i servizi igienici, ne abbiamo tre, sono diventati critici».La condotta della timoniera dell'ex peschereccio, trasformato nella imbarcazione acchiappa migranti nel Mediterraneo, sta dividendo non solo l'opinione pubblica ma anche il Partito democratico. Perché se da un lato ci sono i parlamentari dem che hanno deciso di salire a bordo per aumentare la pressione e favorire lo sbarco dei migranti, dall'altro c'è il governatore della Campania, Vincenzo De Luca, che ha assunto una posizione di forte intransigenza nei confronti di Carola: «Va bene esprimere solidarietà alla povera gente, ma non puoi far finta di niente davanti a una signora che viola la legge italiana», ha detto De Luca ai microfoni di Lira Tv. «Una signora tedesca, ricca di famiglia», ha affermato, «non è un problema di Salvini, ma di rispetto delle leggi. Non capisco perché questa signora non orienti la sua nave verso altri Paesi. Personalmente avrei fatto sbarcare i 42 migranti a bordo, aperto una trattativa con l'Europa per distribuirli su tutto il territorio», ha sottolineato «poi però avrei preteso gli arresti di chi dirige questa nave».La convulsa giornata di ieri si è conclusa con l'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza, Filomena Albano, che ha scritto al comandante generale della Guardia costiera, l'ammiraglio Giovanni Pettorino, per verificare se sia confermata la presenza di quattro minori non accompagnati ricordando, in questo caso, l'obbligo è di farli scendere a terra. Tutti, ormai, vogliono partecipare allo show.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/carola-la-piratessa-e-indagata-e-rischia-anche-lespulsione-2639022060.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="lue-promette-asilo-ai-clandestini-ma-il-governo-esige-un-patto-scritto" data-post-id="2639022060" data-published-at="1757811022" data-use-pagination="False"> L’Ue promette asilo ai clandestini. Ma il governo esige un patto scritto Finlandia, Francia, Germania, Lussemburgo e Portogallo hanno annunciato la propria disponibilità ad accogliere gli immigrati della Sea Watch 3. Al momento non c'è una ripartizione precisa. Si sa, ad esempio, che la Finlandia ha dato la sua disponibilità ad accogliere otto migranti. Queste, almeno, sono le prime comunicazioni trapelate dall'ufficio del primo ministro finnico Antti Rinne. E dall'Ue pressano: «Redistribuzione solo dopo lo sbarco». Ma la Sea Watch 3 resta in mare. Almeno fino a quando non verrà sottoscritto un documento. L'Italia, insomma, attende un passo ufficiale prima di far scendere gli immigrati. Il ministro dell'Interno, Matteo Salvini, è irremovibile su questo punto: senza garanzie non si sbarca. «Un forte grazie ai governi di Finlandia, Francia, Germania, Lussemburgo, Portogallo e al commissario europeo Dimitris Avramopoulos per la risposta positiva per le persone a bordo della Sea Watch». Il ministro degli Esteri, Enzo Moavero Milanesi, ha scelto Twitter per ringraziare chi si è fatto avanti e, contemporaneamente, per annunciare che la situazione è a una svolta. Dopo 17 giorni di stallo, dal governo del Paese che ospita l'Organizzazione non governativa Sea Watch, la Germania, arriva un flebile segnale: «La Commissione sta coordinando la vicenda, siamo molto preoccupati e impegnati in colloqui intensi e confidenziali. Speriamo in una soluzione a breve». A parlare è una portavoce del ministero degli Interni tedesco. La funzionaria ha ricordato la disponibilità, già manifestata da diversi comuni tedeschi, ad accogliere alcuni dei migranti. Il messaggio è questo: «Ci sono intensi colloqui con la Commissione Ue per trovare una soluzione a livello europeo. Si tratta dei confini europei, per questo serve una decisione condivisa e solidale e non solo di uno Stato. Tutti devono fare la propria parte». Al momento, però, oltre ai proclami, non ci sono atti ufficiali. Per questo, forse, dall'Europa provano a forzare: «Sulla Sea Watch lo sforzo di solidarietà, con la ridistribuzione dei migranti tra gli Stati membri Ue, può essere messo in atto solo se e quando lo sbarco sarà permesso». È la portavoce della Commissione europea, Natasha Bertaud, a giocare la carta del pressing. Poi cerca di addolcire la pillola: «Abbiamo visto le dichiarazioni sia del ministro dell'Interno sia del primo ministro. Stiamo facendo il massimo per sostenere gli Stati membri per fornire solidarietà alle persone a bordo. Abbiamo alcune notizie positive dagli Stati membri». Questa volta da Berlino, nel pomeriggio, tramite il portavoce del ministero degli Esteri tedesco, Reiner Breul, arrivano parole di apertura nei confronti dell'Italia: «Anche il governo italiano ha interesse a una soluzione europea del problema dei migranti e lavora al salvataggio di vite umane. Non è utile in questo momento puntare il dito sull'Italia. Gli Stati non vanno lasciati da soli». Ovviamente in fase di trattativa hanno pesato non poco il divieto allo sbarco e la linea dura del governo italiano e del ministro dell'Interno Salvini. «Prima di sbloccare la situazione, però, si attendono precise garanzie su numeri, tempi e modi», fanno sapere dal Viminale. Sono stufi anche i pentastellati. I senatori delle commissioni Affari esteri e Politiche Ue di Palazzo Madama sono stati netti: «È ora di battere i pugni sul tavolo di Bruxelles e di pretendere subito dall'Unione europea il superamento del folle e iniquo regolamento di Dublino che impone l'accoglienza dei migranti in Europa al solo Paese di sbarco. Sono almeno cinque anni che il M5s lo chiede: bisogna imporre un logico ed equo principio di distribuzione, che sia automatico e obbligatorio e che venga fatto rispettare dall'Ue con lo stesso rigore applicato ai conti pubblici. Non si può predicare responsabilità in economia e non assumersi la responsabilità condivisa di accogliere chi cerca rifugio nel nostro continente». Il premier Giuseppe Conte, in un'intervista al quotidiano nipponico Yomiuri Shimbun, in uscita nel giorno di apertura del G20 di Osaka in Giappone, ha ribadito la posizione italiana: «Nel contesto europeo, l'Italia ha promosso una gestione dell'immigrazione attraverso un approccio multilivello che punta, prima di tutto, sui movimenti primari». A margine del G20 c'è anche stato un lungo colloquio tra Conte e il collega olandese Mark Rutte, tutto dedicato alla vicenda della Sea Watch. Il governo aveva chiesto, anche tramite un passo formale con l'ambasciatore all'Aja, un intervento dell'Olanda sulla nave della Ong, alla quale ha concesso la propria bandiera. Intervento che non c'è stato. Perciò si cerca ora di accertare anche eventuali omissioni da parte dei Paesi Bassi: «L'Olanda non è stata collaborativa», ha sentenziato Salvini, rimasto di stucco per l'atteggiamento del governo olandese. «Un comportamento disgustoso», ha detto il ministro dell'Interno, «se ne strafregano di una nave che batte bandiera olandese. Ho scritto alla collega agli Interni del governo olandese, senza avere uno straccio di risposta». In Olanda si è aperto un fronte interno: «È imbarazzante», ha dichiarato la senatrice Tineke Strik, «che il governo dei Paesi Bassi eviti qualsiasi responsabilità per le persone sulla Sea Watch 3 e che da mesi cerchi di togliere la bandiera olandese a questa imbarcazione». E ha dato una zampata anche all'Europa: «Lasciano che l'Italia faccia il lavoro sporco». Ma gli olandesi non hanno risposto neppure alla Sea Watch. Giorgia Linardi, portavoce della Ong, ha svelato di aver «preso diretto contatto con il governo olandese molto prima del ministero di Salvini, chiedendo responsabilità, ma lo Stato di bandiera non è stato collaborativo, come anche gli altri Stati». Per questo Salvini non si fida a far scendere dalla nave gli immigrati: «Mi dicano dove vanno e me lo firmano. Faccio come San Tommaso, vedere per credere, visto che per troppe volte hanno fatto promesse che non hanno mantenuto». Promesse da marinaio. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/carola-la-piratessa-e-indagata-e-rischia-anche-lespulsione-2639022060.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="il-papa-della-fricchettona-ha-fatto-soldi-con-la-guerra" data-post-id="2639022060" data-published-at="1757811022" data-use-pagination="False"> Il papà della fricchettona ha fatto soldi con la guerra È il personaggio del momento Carola Rackete, colpisce l'immaginario suscitando reazioni nette. La sua fisionomia evoca una identità ben precisa che è quella della ragazza di buona famiglia, ma con vocazione rivoluzionaria. Capelli biondi e rasta. Non poteva non suscitare interesse la sua estrazione sociale: quell'alta borghesia tedesca che trasforma il suo «senso di colpa» in un programma politico e in una volontà capace di calpestare leggi e confini di un altro Stato. Quasi sempre l'Italia. Nelle scorse ore i riflettori sono stati puntati sul papà di Carola, pacato pensionato benestante con una laurea in ingegneria elettronica ma anche un curriculum significativo nell'industria militare. È il Corriere della Sera a specificare il mestiere di papà Rackete e, indirettamente, la fonte di quel benessere economico che ha permesso alla inquieta Carola di girare il mondo mentre tanti altri coetanei annaspavano tra lavoretti sottopagati e stage: uno dei mestieri più antichi del mondo, quello delle armi. «Sono colonnello della Marina» dichiara Ekkehart Rackete dal suo buon ritiro ad Hambühren, in Bassa Sassonia. Chi immaginava che i familiari di questa hippie del XXI secolo suonassero i tamburelli o girassero per le strade con i vestiti a fiori rimarrà forse deluso: la tradizione di famiglia si riconduce al militarismo della Germania del Nord. Tuttavia il Corriere non scrive che papà Rackete era semplicemente un militare, ma fa un riferimento più ghiotto alla sua appartenenza all'ambito dell'industria bellica. Sandro Orlando ieri lo presentava sulla pagina del quotidiano appunto come «un ingegnere elettronico in pensione dopo 30 anni di lavoro nell'industria militare». Questa cosa ha suscitato l'interesse di Francesca Totolo, autrice per le edizioni Altaforte di Inferno Spa, libro in cui si indaga sui tanti «gironi» del business dell'immigrazione e anche su nessi che le anime candide dell'accoglienza a prima vista non sospetterebbero: i nessi tra organizzazioni non governative che spostano navi nel Mediterraneo e compagnie di contractors, soldati mercenari, come la famosa Blackwater (oggi conosciuta con il nome di Academi), con alcuni soggetti che si muovono dall'uno all'altro ambito. Sulla sua pagina Facebook la Totolo ha rivolto apertamente «una domanda a Carola Rackete, comandante di Sea-Watch: Ekkehart Rackete (nome del padre riportato dal Corriere della Sera) è lo stesso Ekkehart Rackete, ex ufficiale dell'esercito tedesco ed esperto di armamenti ed ora consulente di sistemi militari?». La domanda viene accompagnata dal riferimento a una pagina di Linkedin appartenente a un signor Ekkehart Rackete appunto impegnato nel settore. Domandare è lecito, rispondere è cortesia recita l'adagio. Ma già il Corriere ha forse risolto il quesito parlando di una lunga esperienza nell'industria militare di papà Rackete. La giovane capitana con i rasta certo non maneggia gli esplosivi, ma chi considera l'immigrazione selvaggia come una bomba sociale ad orologeria potrebbe trarre qualche cinica battuta sulle attività predilette in famiglia. È sempre Francesca Totolo a sostenere come queste commistioni tra Ong «umanitarie» e compagnie che si occupano di armi e combattimento esistano. Scrive online la Totolo: “Tutto ciò mi ricorda la Ong maltese Moas che nel direttivo aveva assoldato due ex ufficiali dell'esercito di Malta e un esperto di “sopravvivenza" in zone di guerra e titolare di una società produttrice di coltelli da guerra». Sovrapposizioni abbastanza inquietanti, che meritano di essere approfondite o quantomeno smentite dagli interessati (ma non sembra che ne abbiano molta voglia). Parafrasando un altro tedesco non proprio pacifico, il generale Carl von Clausewitz: «L'immigrazione è la prosecuzione della guerra con altri mezzi».