2018-10-19
Carofiglio affianca Saviano nella sbobba dei luoghi comuni
Si indigna in tv, elogia Antonio Gramsci, taccia di cialtroneria il governo. Spocchioso esempio del malmesso pensatoio della sinistra. Più che ad Albert Camus, somiglia a un maestrino dalla penna rossa. I suoi sono freghi fatti alla lavagna, intorno a parole e grammatica.Ad affiancare un ormai cotto Roberto Saviano nel malmesso pensatoio di una malmessa sinistra si è appena aggiunto Gianrico Carofiglio. L'ex magistrato, nonché ex senatore piddino, nonché ex giallista, ora si reinventa come maître à penser alla Albert Camus, spaccia cioè il suo premio Bancarella per un Nobel alla letteratura.Non c'è trasmissione televisiva o evento pubblico, dove Carofiglio - con una spocchia davvero olimpica e insopportabile - non insegni ai poveri baluba di destra l'abbiccì della democrazia, tacciando inoltre di cialtroneria il nuovo governo e, con esso, quelli che l'hanno votato: tutti dei poveri fessi che si sbagliano o non hanno capito.Più che a Camus, Carofiglio somiglia a un maestrino dalla penna rossa. I suoi sono freghi fatti alla lavagna, intorno a parole e grammatica, quasi ne avesse il monopolio o fosse uno dei creatori della lingua italiana (un Dante o Manzoni ), insomma quasi avesse scritto il De vulgari eloquentia e non Il silenzio dell'onda. Ecco perciò le lezioncine cavillose sullo «sdegno» che, vocabolario alla mano, non è l'«indignazione» e, a seguire, il corollario bambinesco che in politica è meglio indignarsi che sdegnarsi. Tali sono le baie che con viso serissimo propina. Quando chiuderà il vocabolario di terza media per studiare Manzoni, scoprirà che, in fatto di lingua, a monte di tutto sta l'Uso il quale è «sovrano». La lingua - con buona pace dei cattivi scrittori - è populista.Con Saviano, Carofiglio è l'ennesimo esempio della sicumera intellettuale della sinistra e in specie del Pd (essendone stato un senatore non rimpianto); sicumera se possibile ancor più infida, perché espressa a voce bassa, con un'apparente e deamicisiana pacatezza di modi. Il suo ultimo libro-intervista sulla politica - Con i piedi nel fango - è un minestrone di luoghi comuni cari alla sinistra: dalla manipolazione delle masse all'impegno organico dell'intellettuale, tutta roba vecchia e muffita. C'è persino l'elogio a perdifiato di Antonio Gramsci, «mia fissazione», confessa Carofiglio, «e punto di partenza per ogni ragionamento sulla politica». Sorprende che nel terzo millennio, dopo l'emersione minuta e irrefutabile degli errori e orrori del comunismo, un ex magistrato della Repubblica guardi a Gramsci come a un indiscusso esempio di civismo, da additare ai giovani. Ciò significa o non conoscerlo (cosa spiacevole ma accettabile) oppure essere pericolosamente faziosi (cosa spiacevole e inaccettabile). Tralasciando l'immaginetta di un Gramsci martire aureolato «nutrito di cultura, studio e passione», si leggano in L'Ordine nuovo le lunghe pagine gramsciane sulla dittatura del proletariato e la rivoluzione «imposta e non proposta … sopprimendo le classi … nella disciplina ferrea del lavoro», per capire meglio chi fosse l'eroe di Carofiglio. In quelle tetre visioni, per nostra fortuna irrealizzate, stese in una prosa abominevole fitta di formule marxiane e nebbia stilistica, s'intravede con un brivido di morte tutto quello che il comunismo è poi stato altrove, tutte le vite che ha maciullato, beninteso sempre mirando con beffarda bonomia al «sole dell'avvenire». Diciamo la verità: Gramsci venne incarcerato prima che potesse incarcerare. E, anzi, vedendo cosa combinò Stalin in quegli stessi anni, avrebbe fatto forse di peggio (come d'altronde a fascismo finito i tribunali partigiani illustrano). Eppure a Carofiglio uno come Gramsci garba, per lui pensa dirittamente e occorre farlo leggere nelle scuole. Sarà che i magistrati, quando si danno alla politica, virano sempre per una deformazione professionale sul giustizialismo del dura lex sed lex; sono un po' come i giacobini del Comitato di salute pubblica che tagliavano teste per un eccesso di giustizia e senso civico. A sentirli argomentare tanto scopertamente, dopo che hanno smesso la toga, si dà volentieri ragione a chi pensa che la magistratura sia troppo politicizzata, benché, argomentano i magistrati offesi dalla bassa illazione, la toga li immunizzi da qualsivoglia passione o soggettivismo, rendendoli - non si sa come - delle entità impersonali e sovrumane. E come non credere a tale mistica rassicurazione?Ancora gramsciana infine e l'idea dell'intellettuale «dirigente e persuasore» che mena le coscienze obnubilate del popolo come un pastore il gregge, ovvero l'ideologismo al posto del populismo, ovvero Carofiglio che c'insegna come dobbiamo pensare: strambo, mal scritto intreccio tra il libro Cuore e Ordine nuovo.