2025-08-20
Così il beato «lavora» anche dopo la morte
Dal prete a cui appare in sogno al blogger convertito, fino alla giovane costaricana guarita inspiegabilmente. All’evento annuale di Comunione e liberazione una mostra racconta i miracoli che hanno garantito a Carlo Acutis l’ingresso nella schiera dei santi.Al Meeting di Cl, la testimonianza di chi non è scappato dalla persecuzione islamica.Lo speciale contiene due articoli.Con l’avvicinarsi, il 7 settembre, della canonizzazione di Carlo Acutis, una delle mostre più interessanti del Meeting, che si terrà a Rimini dal 22 al 27 agosto, è dedicata al giovane beato. Lo scopo di «Carlo Acutis. Una semplicità straordinaria» è far conoscere la sua normalità, anche attraverso i ricordi di chi lo ha conosciuto. Nella mostra, che è collocata nel padiglione A3 e si può visitare previa prenotazione sull’app del Meeting, ci sono 15 tappe, come gli anni della sua vita: ognuna rappresenta un macrotema fondamentale, tra cui l’amicizia, la carità, la speranza, l’eucarestia. Nell’ultima, si affronta il tema dell’eredità di Carlo. In poco tempo la sua storia è arrivata in ogni angolo del mondo, portando milioni di giovani fedeli a fare visita al Santuario della Spogliazione, il luogo in cui è sepolto. Sono numerose le testimonianze di chi è stato toccato dai suoi insegnamenti pur non avendolo mai conosciuto. Nel settembre del 2011, un parroco della Costa Rica ha sognato per tre volte un ragazzo sorridente: gli ha comunicato di voler spiegare agli amici che cosa Dio ha compiuto attraverso di lui. Un mese dopo, vedendolo in foto, realizzerà che quell’adolescente comparso in sogno è Carlo. Peraltro, sempre lo stesso Paese è stato decisivo per avviare la canonizzazione di Carlo: una ragazza della Costa Rica, Valeria Valverde, è guarita miracolosamente dopo un grave incidente a Firenze nel 2022, nello stesso momento in cui la madre era inginocchiata sulla tomba del giovane. Anche un giovane blogger, dopo aver scoperto la sua storia in rete, non ha potuto fare a meno di interrogarsi sulla fede e sul suo essere al mondo, aprendo la via per una conversione. Un’altra testimonianza riferisce: «Dopo la morte di Carlo mi sono riavvicinato alla Chiesa e penso possa essere merito di una sua intercessione».Carlo in vita ha pienamente abbracciato l’invito pronunciato da papa Leone XIV al Giubileo dei Giovani qualche settimana fa: «C’è una domanda importante nel nostro cuore, un bisogno di verità che non possiamo ignorare, che ci porta a chiederci: cos’è veramente la felicità? Qual è il vero gusto della vita? Cosa ci libera dagli stagni del non senso, della noia, della mediocrità?». Nella mostra, infatti, risulta evidente la curiosità di Carlo: si è interrogato sul mistero eucaristico, sulle apparizioni a Lourdes e a Fatima, sulle parole dei pastorelli. Sin dalla tenera l’età, alla tata che gli suggerisce di difendersi da uno sgarbo, lui risponde: «Se reagisco, Gesù non sarebbe contento». La passione per la tecnologia non si è mai tradotta in un isolamento dalla realtà che spesso caratterizza molti giovani di oggi: Nicholas Carr ha dedicato il suo ultimo libro - Superbloom. Le tecnologie di connessione ci separano? - proprio a questo tema, illustrando come la rete sia in grado di distorcere le nostre percezioni. Al contrario, questo interesse di Carlo si è unito alla missione di mettersi al servizio degli altri: non si è chiuso in sé stesso, ma ha condiviso la sua conoscenza. Ecco quindi che, per esempio, quando nel 2004 diventa vice catechista, insegna anche a utilizzare il computer, crea siti web per le scuole e le parrocchie, pianifica mostre sui miracoli eucaristici, peraltro ideate dopo la sua visita al Meeting nel 2002. E mentre si dedica al catechismo, elabora anche un «kit di santità» per i bambini: un elenco di consigli che hanno l’obiettivo di avvicinare i ragazzi all’amicizia con Dio. Un anno dopo, nel 2005, realizza un video incentrato sul volontariato. Diventa per lui un’altra occasione per trasmettere il suo sapere in ambito tecnologico ai compagni di scuola, ma anche per diffondere il messaggio che la vita è un dono. Oltre alla rete, viene anche raccontato il suo amore per la natura e per gli animali e quindi per la Creazione: i giochi al parco con gli amici diventano l’occasione per ripulirlo dai rifiuti. Tra i suoi libri preferiti si ricorda Il Piccolo Principe di Antoine de Saint-Exupéry. Particolarmente cara è la frase: «È il tempo che hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa così importante». Un’espressione che Carlo fa propria nei rapporti di amicizia. Al ritorno a scuola, dopo la pausa estiva, porta dei regali ai compagni di classe o una merenda in più. Terminate le lezioni, si ferma sempre a salutare per strada chiunque incontri, dal panettiere al macellaio. Prende più volte le parti di alcuni disabili, bersagli di offese o aiuta i compagni di classe con difficoltà a integrarsi. Nel giorno del suo funerale, un amico di scuola ha detto: «Caro Carlo, non ho mai trovato nella mia vita un’amicizia come la tua: vera, sincera». E sempre al suo funerale emerge un altro aspetto che ha fatto parte della sua vita: la carità e il desiderio di passare il suo tempo con gli ultimi nella «Calcutta sotto casa». Come ricorda il Vescovo di Assisi, Domenico Sorrentino: «Era, la sua, una carità nascosta. Ai suoi funerali la mamma scoprì che il figlio era stato amico di tanti poveri, senza che ella se ne fosse accorta».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/carlo-acutis-meeting-2673904306.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="le-storie-dei-martiri-algerini-che-insegnano-il-coraggio-di-restare" data-post-id="2673904306" data-published-at="1755696099" data-use-pagination="False"> Le storie dei martiri algerini che insegnano il coraggio di restare Nell’Algeria del cosiddetto decennio nero, il periodo che dal 1992 al 2002 è stato segnato da attentati terroristici, a perdere la vita sono stati 150.000 algerini, tra cui 19 martiri cristiani, proclamati beati sette anni fa. La mostra «Chiamati due volte. I martiri d’Algeria», che sarà esposta al Meeting di Rimini nel padiglione A7 a partire da venerdì, racconta la loro storia e il coraggio di restare. La prima chiamata è rivolta alla fedeltà a Gesù, mentre la seconda al popolo algerino.Sin da dopo l’indipendenza del 1962, con l’Algeria che si svuota, «la Chiesa è diventata una cosa di poca gente», ricorda Thomas Georgeon, postulatore della causa di beatificazione. Dopo anni di tensioni sociopolitiche, la violenza esplode nel Paese soprattutto all’inizio degli anni Novanta, quando prende piede il terrorismo di matrice islamica. Inevitabilmente si apre l’interrogativo: «rester ou partir?», restare o partire? Lo stesso quesito si trova all’interno di un documento rivolto alle diverse congregazioni presenti nel Paese. A tal proposito, il cardinale Jean-Paul Vesco, arcivescovo di Algeri, spiega: «Questa chiesa così piccola è voluta restare assumendo il rischio che viveva tutta la popolazione e anche un po’ di più, perché erano stranieri e dunque più esposti e perché erano cristiani, ma in fondo hanno condiviso il rischio dell’insieme della popolazione».Nella mostra emergono, tramite diversi video, le personalità dei 19 martiri, la loro missione improntata al dialogo e alla pace, e l’eredità che hanno lasciato nel Paese. Tra le testimonianze raccolte, vi è quella di Anne-Claire Humeau, nipote di Jean Chevillard, uno dei quattro Padri bianchi uccisi nel 1994 a Tizi Ouzou: «Aveva come sua vocazione quella di essere la piccola fiamma che è il Cristo in un universo a maggioranza musulmana». A ricordare Christian de Chergé, priore dei monaci trappisti di Tibhirine, ucciso nel 1996, è Claude Rault, vescovo emerito di Laghouat, Ghardaia. In particolare, i due hanno condiviso gli «incontri con i musulmani» che «nella maggior parte dei casi erano caratterizzati da buon vicinato, una buona intesa, degli amici» ma talvolta sono stati «incontri d’ordine spirituale». Tra l’altro, ai monaci di Tibhirine è dedicato il film Uomini di Dio. Il produttore della pellicola, Etienne Comar (che sarà presente al Meeting insieme al cardinale Vesco), ha sottolineato: «L’idea era di cercare in ogni modo di scampare alla morte. Ma se un giorno la morte fosse arrivata, sarebbe stata anch’essa una testimonianza della loro fede». L’ultimo martire è il vescovo di Orano, Pierre Claverie, ucciso insieme all’amico musulmano, Mohamed Bouchikhi, nel 1996: il loro «sangue mischiato» è stato «un segno di pace», ricorda la madre di Bouchikh.Poco prima di varcare l’uscita dalla mostra, è possibile ascoltare il testamento spirituale di de Chergé. «Se mi capitasse un giorno di essere vittima del terrorismo», «vorrei che la mia comunità, la mia Chiesa, la mia famiglia si ricordassero che la mia vita era donata a Dio e a questo Paese», si legge. Come spiegato dal cardinale Angelo Scola nel 2018, in occasione dell’incontro «Dare la vita cambia il mondo. Gli uomini nuovi d’Algeria», organizzato dal Centro culturale di Milano, si tratta di «una delle espressioni più elevate incontrate nel secolo scorso», in cui si affronta il significato più profondo del dialogo interreligioso. Anche il direttore della comunicazione della Fondazione Oasis e curatore della mostra, Alessandro Banfi, sottolinea: «Quello che potrebbe apparire un fallimento, cercare il dialogo ed essere uccisi, è la manifestazione di una fede, di una fedeltà, di un amore».
Francesca Albanese (Ansa)
Andrea Sempio. Nel riquadro, l'avvocato Massimo Lovati (Ansa)