2019-04-05
Cardarelli ci regala una Maremma perduta
In Villa Tarantola rivivono i ricordi di un mondo scomparso: la banda di paese, l'arrivo dell'acqua potabile a Tarquinia, le case abitate solo dai ragni. L'opera singola oggi è introvabile. Per leggerla bisogna sborsare 80 euro per la raccolta dei Meridiani.«Fin da ragazzo ho amato le distanze e la solitudine. Uscire dalle porte del mio paese e guardarlo dal di fuori, come qualche cosa di perduto, era uno dei miei più abituali diletti. Piacere e terrore mi portavano in certi luoghi romiti, sacri alla morte, a cui però non pensavo se non per quel tanto che m'impediva d'inoltrarmi troppo in un così pauroso reame».Va centellinata la lettura di Villa Tarantola, opera composta da otto brevi prose autobiografiche del grande poeta Vincenzo Cardarelli, nato illegittimo e battezzato Nazareno, fin da ragazzo inquieto di spirito e cagionevole di salute, una menomazione al braccio sinistro che non dovette aiutarlo nella lotta. Sono tornato a cercarlo dopo un casuale soggiorno a Tarquinia (Viterbo), un tempo Corneto, quel «paese urbano e campagnolo, rustico e civile», dove il padre conduceva il buffet della stazione e lui gli faceva da garzone. Mi s'è riaccesa la sua fiamma scendendo e risalendo i gradini delle tombe etrusche nei pressi del cimitero che ospita la sua, di tomba, e quindi davanti alla casa natia, per quelle strade che poco lo ricordano. Vi ho trovato la biblioteca e una scuola a lui intitolate, nessun museo, nessun libro speciale, giusto la promessa di occasionali iniziative per cui ho lasciato i miei recapiti.L'opera di Cardarelli è reperibile soltanto nel mastodontico Meridiano Mondadori, per i suoi buoni 80 euro che non ne aiutano la diffusione. Io ho recuperato questo libro targato Club degli Editori, marchio di replica che istintivamente tendo a evitare, in una libreria della Onlus Emmaus, a Prato; penso che il suo legittimo proprietario sarà morto e penso che quando morirò saranno loro a svuotare i miei scaffali e rivendere i miei libri e ben mi sta, affezionato come sono al passar di mano del cartaceo e inorridito dai formati digitali. La collana si chiama I Premi Strega, copertina e «controfrontespizio» riproducono gli originali dell'edizione Meridiana 1948, in prefazione uno scritto dell'amico Libero Bigiaretti che vale il prezzo del biglietto. E in aggiunta al testo, dall'esigua mole per sfidar le costolone dei libroni nel mercatone da un tanto al chilo, la riproposizione di una precedente opera prosastica, Il cielo sulle città (1939), e quella di Astrid ovvero temporale in estate (oggi in libreria per Helicon), forse l'unico racconto in cui Cardarelli si trincera dietro un personaggio narrativo che fin troppo gli somiglia.Villa Tarantola appare come biografia pura, dei posti e delle genti e della sua vita. Il capitolo che titola il libro racconta quel «piccolo e ombreggiato edificio, somigliante più a un mulino che a una casa di abitazione», le cui «persiane color cenere apparivano costantemente chiuse come il cancello a cui mi affacciavo»; un edificio che è un mistero, il frutto «di una impresa archeologica mal riuscita, il ripiego d'un deluso cercatore d'oro etrusco» che ha finito per dar dimora alle tarantole, «ragno elegiaco e terraiolo» che ben conoscono gli abitanti di Maremma. Siamo quindi a Tarquinia come nel secondo testo, Fine di una banda, ove la politica s'intreccia all'epopea dei corpi musicali cittadini, a inizio Novecento, la svolta dell'acqua potabile «che ha moltiplicato la popolazione e fatto rifiorire le guance di quelle giovinette che a tempo mio, in primavera, apparivano tutte un po' estenuate ed anemiche». In Memorie, memorabili sono le pagine dedicate al padre. Marchigiano, emigrato povero, «veniva dal nulla, benché di buona famiglia, finita in malora. Da bambino aveva conosciuto la dura poesia delle strade carreggiabili» e pretendeva che il figlio crescesse commerciante come lui. «Cercai allora la scuola nella vita, nel mondo. A 16 anni, cioè un anno avanti che mio padre morisse, ero già lontano da lui e dal mio paese […]. La sua morte l'ho scontata prima che avvenisse. Tutte le lacrime di cui potevo disporre le ho versate un giorno che, recatomi a visitarlo al Policlinico di Roma [...], lo trovai come un albero secco, mangiato dalle formiche». Ecco l'Urbe, la città che lo adottò. In Primi passi c'è il suo approdo al mondo delle lettere: «Incredibile, strapazzosa, fu la mia fecondità giovanile. Tra i 22 e i 24 anni, redattore di un giornale quotidiano, mi feci conoscere come uno dei più fertili imbrattacarte che si siano mai scatenati in una redazione». Gli anni de L'Avanti, ma poi scrisse anche per La Voce e Il Marzocco, fu tra i fondatori de La Ronda. Come il fulmine sopraggiunse la malattia, nonché la fine della gioventù: «nella stessa corsia dove mio padre era morto […] avevo smarrito, rinnovandomi, gran parte del mio furore narrativo». E nelle prose a seguire, per chiudere, ecco rievocate tutte le sue stanze in affitto, le padrone di casa, le figlie, «le famiglie di cui sono stato inquilino, io che non ho famiglia».Ma casa per Cardarelli furono perlopiù i tavolini di certi caffè romani, su tutti la terza saletta del celebre Caffè Aragno da dividere con Emilio Cecchi, Ardengo Soffici, Giuseppe Ungaretti, e più avanti il Caffè Strega in via Veneto, seduto «sempre al solito posto», come raccontò Alberto Bevilacqua al Corriere della Sera. E quando «il posto era occupato, lo vedevo che alzava il bastone. Caro vecchio, strafottente e scostante, l'aveva davvero succhiata dal mistero etrusco, la sua anarchia; ma la pagava cara».Fraterno a Friedrich Nietzsche e Blaise Pascal, a Giacomo Leopardi, cattolico di stampo «antico, robusto», avrebbe detto «romano», Libero Bigiaretti sostiene che lo Strega quale premio ebbe per lui «il valore e il significato di un recupero, di un riconoscimento di tutta l'opera». Ricorda la sua morale intransigente: «Non ammetteva concessioni e patteggiamenti quanto all'esercizio della professione letteraria». In merito, due affermazioni del poeta che lasciano il segno: «La vita per l'artista è tutta da mortificare e da reprimere in vista dell'opera che ne dovrà scaturire: una perpetua attesa, una costante vigilia». E ancora: «Odio le improvvisazioni, i fuochi di paglia, i libri scritti tutti di seguito e che si leggono d'un fiato. L'epoca se ne compiace, ma il tempo non sa che farsene».Il tempo rischia di rimuovere anche Cardarelli. Cercate Cardarelli, pretendete Cardarelli, resuscitate Cardarelli in ogni sua forma: l'epoca ne ha parecchio bisogno.
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La consulenza super partes parla chiaro: il profilo genetico è compatibile con la linea paterna di Andrea Sempio. Un dato che restringe il cerchio, mette sotto pressione la difesa e apre un nuovo capitolo nell’indagine sul delitto Poggi.
La Casina delle Civette nel parco di Villa Torlonia a Roma. Nel riquadro, il principe Giovanni Torlonia (IStock)
Dalle sue finestre vedeva il Duce e la sua famiglia, il principe Giovanni Torlonia. Dal 1925 fu lui ad affittare il casino nobile (la villa padronale della nobile casata) per la cifra simbolica di una lira all’anno al capo del Governo, che ne fece la sua residenza romana. Il proprietario, uomo schivo e riservato ma amante delle arti, della cultura e dell’esoterismo, si era trasferito a poca distanza nel parco della villa, nella «Casina delle Civette». Nata nel 1840 come «capanna svizzera» sui modelli del Trianon e Rambouillet con tanto di stalla, fu trasformata in un capolavoro Art Nouveau dal principe Giovanni a partire dal 1908, su progetto dell’architetto Enrico Gennari. Pensata inizialmente come riproduzione di un villaggio medievale (tipico dell’eclettismo liberty di quegli anni) fu trasformata dal 1916 nella sua veste definitiva di «Casina delle civette». Il nome derivò dal tema ricorrente dell’animale notturno nelle splendide vetrate a piombo disegnate da uno dei maestri del liberty italiano, Duilio Cambellotti. Gli interni e gli arredi riprendevano il tema, includendo molti simboli esoterici. Una torretta nascondeva una minuscola stanza, detta «dei satiri», dove Torlonia amava ritirarsi in meditazione.
Mussolini e Giovanni Torlonia vissero fianco a fianco fino al 1938, alla morte di quest’ultimo all’età di 65 anni. Dopo la sua scomparsa, per la casina delle Civette, luogo magico appoggiato alla via Nomentana, finì la pace. E due anni dopo fu la guerra, con villa Torlonia nel mirino dei bombardieri (il Duce aveva fatto costruire rifugi antiaerei nei sotterranei della casa padronale) fino al 1943, quando l’illustre inquilino la lasciò per sempre. Ma l’arrivo degli Alleati a Roma nel giugno del 1944 non significò la salvezza per la Casina delle Civette, anzi fu il contrario. Villa Torlonia fu occupata dal comando americano, che utilizzò gli spazi verdi del parco come parcheggio e per il transito di mezzi pesanti, anche carri armati, di fatto devastandoli. La Casina di Giovanni Torlonia fu saccheggiata di molti dei preziosi arredi artistici e in seguito abbandonata. Gli americani lasceranno villa Torlonia soltanto nel 1947 ma per il parco e le strutture al suo interno iniziarono trent’anni di abbandono. Per Roma e per i suoi cittadini vedere crollare un capolavoro come la casina liberty generò scandalo e rabbia. Solo nel 1977 il Comune di Roma acquisì il parco e le strutture in esso contenute. Iniziò un lungo iter burocratico che avrebbe dovuto dare nuova vita alle magioni dei Torlonia, mentre la casina andava incontro rapidamente alla rovina. Il 12 maggio 1989 una bimba di 11 anni morì mentre giocava tra le rovine della Serra Moresca, altra struttura Liberty coeva della casina delle Civette all’interno del parco. Due anni più tardi, proprio quando sembrava che i fondi per fare della casina il museo del Liberty fossero sbloccati, la maledizione toccò la residenza di Giovanni Torlonia. Per cause non accertate, il 22 luglio 1991 un incendio, alimentato dalle sterpaglie cresciute per l’incuria, mandò definitivamente in fumo i progetti di restauro.
Ma la civetta seppe trasformarsi in fenice, rinascendo dalle ceneri che l’incendio aveva generato. Dopo 8 miliardi di finanziamenti, sotto la guida della Soprintendenza capitolina per i Beni culturali, iniziò la lunga e complessa opera di restauro, durata dal 1992 al 1997. Per la seconda vita della Casina delle Civette, oggi aperta al pubblico come parte dei Musei di Villa Torlonia.
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Oltre quaranta parlamentari, tra cui i deputati di Forza Italia Paolo Formentini e Antonio Giordano, sostengono l’iniziativa per rafforzare la diplomazia parlamentare sul corridoio India-Middle East-Europe. Trieste indicata come hub europeo, focus su commercio e cooperazione internazionale.
È stato ufficialmente lanciato al Parlamento italiano il gruppo di amicizia dedicato all’India-Middle East-Europe Economic Corridor (IMEC), sotto la guida di Paolo Formentini, vicepresidente della Commissione Affari esteri, e di Antonio Giordano. Oltre quaranta parlamentari hanno già aderito all’iniziativa, volta a rafforzare la diplomazia parlamentare in un progetto considerato strategico per consolidare i rapporti commerciali e politici tra India, Paesi del Golfo ed Europa. L’Italia figura tra i firmatari originari dell’IMEC, presentato ufficialmente al G20 ospitato dall’India nel settembre 2023 sotto la presidenza del Consiglio Giorgia Meloni.
Formentini e Giordano sono sostenitori di lunga data del corridoio IMEC. Sotto la presidenza di Formentini, la Commissione Esteri ha istituito una struttura permanente dedicata all’Indo-Pacifico, che ha prodotto raccomandazioni per l’orientamento della politica italiana nella regione, sottolineando la necessità di legami più stretti con l’India.
«La nascita di questo intergruppo IMEC dimostra l’efficacia della diplomazia parlamentare. È un terreno di incontro e coesione e, con una iniziativa internazionale come IMEC, assume un ruolo di primissimo piano. Da Presidente del gruppo interparlamentare di amicizia Italia-India non posso che confermare l’importanza di rafforzare i rapporti Roma-Nuova Delhi», ha dichiarato il senatore Giulio Terzi di Sant’Agata, presidente della Commissione Politiche dell’Unione europea.
Il senatore ha spiegato che il corridoio parte dall’India e attraversa il Golfo fino a entrare nel Mediterraneo attraverso Israele, potenziando le connessioni tra i Paesi coinvolti e favorendo economia, cooperazione scientifica e tecnologica e scambi culturali. Terzi ha richiamato la visione di Shinzo Abe sulla «confluenza dei due mari», oggi ampliata dalle interconnessioni della Global Gateway europea e dal Piano Mattei.
«Come parlamentari italiani sentiamo la responsabilità di sostenere questo percorso attraverso una diplomazia forte e credibile. L’attività del ministro degli Esteri Antonio Tajani, impegnato a Riad sul dossier IMEC e pronto a guidare una missione in India il 10 e 11 dicembre, conferma l’impegno dell’Italia, che intende accompagnare lo sviluppo del progetto con iniziative concrete, tra cui un grande evento a Trieste previsto per la primavera 2026», ha aggiunto Deborah Bergamini, responsabile relazioni internazionali di Forza Italia.
All’iniziativa hanno partecipato ambasciatori di India, Israele, Egitto e Cipro, insieme ai rappresentanti diplomatici di Germania, Francia, Stati Uniti e Giordania. L’ambasciatore cipriota ha confermato che durante la presidenza semestrale del suo Paese sarà dedicata particolare attenzione all’IMEC, considerato strategico per il rapporto con l’India e il Medio Oriente e fondamentale per l’Unione europea.
La presenza trasversale dei parlamentari testimonia un sostegno bipartisan al rapporto Italia-India. Tra i partecipanti anche la senatrice Tiziana Rojc del Partito democratico e il senatore Marco Dreosto della Lega. Trieste, grazie alla sua rete ferroviaria merci che collega dodici Paesi europei, è indicata come principale hub europeo del corridoio.
Il lancio del gruppo parlamentare segue l’incontro tra il presidente Meloni e il primo ministro Modi al G20 in Sudafrica, che ha consolidato il partenariato strategico, rilanciato gli investimenti bilaterali e discusso la cooperazione per la stabilità in Indo-Pacifico e Africa. A breve è prevista una nuova missione economica guidata dal vicepresidente del Consiglio e ministro degli Esteri Tajani.
«L’IMEC rappresenta un passaggio strategico per rafforzare il ruolo del Mediterraneo nelle grandi rotte globali, proponendosi come alternativa competitiva alla Belt and Road e alle rotte artiche. Attraverso la rete di connessioni, potrà garantire la centralità economica del nostro mare», hanno dichiarato Formentini e Giordano, auspicando che altri parlamenti possano costituire gruppi analoghi per sostenere il progetto.
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