2021-04-30
Buoni coi terroristi, duri con chi si difende
Ancora non ce li hanno consegnati che già si parla di come perdonarli. «Li avete presi. E adesso che ve ne fate?», ha aperto la strada Adriano Sofri, mandante dell'omicidio Calabresi, uno che da anni, nonostante sia stato riconosciuto colpevole dopo 15 gradi di giudizio, ancora sostiene che lo Stato avrebbe il dovere di risarcirlo per ingiusta detenzione. A lui si sono unite le voci degli ex compagni di Lotta continua, di alcuni ex brigatisti e pure quelle di qualche politico e di certi scrittori. Tutti a interrogarsi sul senso di un arresto a distanza di decine di anni dai fatti. «Cos'altro vi serve da queste vite?», si è lamentato Erri De Luca, reduce con molte nostalgie del Sessantotto, quasi che il nostro Paese perseguiti da un'eternità i signori per i quali l'altro ieri, in Francia, è scattato il mandato di cattura. «C'è una distanza abissale dai fatti accaduti e dalle condanne: è per questo che il significato di una sanzione perde completamente senso», ha sentenziato Paolo Persichetti, ex esponente della colonna romana delle Brigate rosse, condannato per l'omicidio del generale Licio Giorgieri. Al coro dei perdonisti si è unito Giampiero Mughini, intellettuale brillante e spesso contro corrente, uno spirito libero che nel passato prestò la sua firma al giornale di Sofri e compagni. Ciò che stupisce, però, è il desiderio di chiudere la stagione con un bell'indulto che viene perfino da dentro il governo. Marta Cartabia, il ministro che non ha ancora incassato il trasferimento dei latitanti in una cella italiana, parla di «riconciliazione» e per farlo cita l'esempio della commissione nata in Sudafrica per archiviare l'apartheid. «Non sete di vendetta, che non mi anima e spero non animi nessuno in questo Paese, ma sete di chiarezza e di reale conciliazione», ha spiegato a Repubblica. Ma che cosa c'è da chiarire? Davvero il Guardasigilli pensa che a 78 anni, dopo aver negato per una vita l'omicidio del commissario Calabresi, Giorgio Pietrostefani abbia voglia di raccontare come fu pianificato l'agguato e indicare chi dei suoi complici non è stato ancora identificato? Cartabia crede che Marina Petrella e Roberta Cappelli, due ex brigatiste, aggiungeranno qualche cosa a ciò che sappiamo dell'omicidio del generale Enrico Galvaligi? No, io ritengo che non ci sia nulla da chiarire, perché tutto o quasi è già stato chiarito da anni di indagini, da numerose inchieste e da varie commissioni parlamentari che hanno scandagliato il fenomeno del terrorismo. Che cosa c'è da sapere, oltre al fatto che una banda di feroci assassini comunisti, insieme con una banda altrettanto feroce ma meno numerosa di fanatici fascisti, nel nostro Paese ha seminato terrore e sangue, uccidendo un gran numero di servitori dello Stato, di politici e giornalisti? E in che modo potremmo riconciliarci con criminali che, per motivi ideologici, hanno tolto la vita a persone che neppure conoscevano e sono scappati come conigli per non assumersi le proprie responsabilità e non pagare il conto con la giustizia? Per anni, grazie al comportamento sciagurato di alcuni Stati (a proteggere gli ex terroristi non è stata la sola Francia, ma anche il Brasile e il Nicaragua), questi signori si sono fatti beffa delle sentenze e della sofferenza dei familiari delle vittime. Pietrostefani per oltre vent'anni se n'è stato tranquillo sulle rive della Senna, aiutato dagli ex compagni che periodicamente si recavano a fargli visita e sostenuto da una pensione che lo Stato puntualmente gli accreditava, assegno di gran lunga migliore di quello concesso alle vedove degli agenti assassinati. Non si tratta di vendetta, caro ministro Cartabia, si tratta di giustizia e non c'è nulla da riconciliare perché, nonostante ciò che sostengono Sofri e compagni, negli anni Settanta e Ottanta in Italia non c'è stata alcuna guerra, né vi è stato, come in Sudafrica, l'apartheid o una guerra civile. La rivoluzione e il terrorismo non furono la risposta a una strage, furono una strategia politica portata avanti con lucidità e cinismo da una minoranza sanguinaria. Quale riconciliazione è possibile dunque con terroristi del calibro di Narciso Manenti, un tipo che sparò a Giuseppe Gurrieri, appuntato dei carabinieri, sotto gli occhi del figlioletto? Invece di dolersi per quelle vite strappate, Sofri si preoccupa per quella del compagno Pietrostefani. «È malato», scrive l'ex capo di Lotta continua, «ha 78 anni». E Persichetti, ex brigatista, anch'egli per anni latitante in Francia, oggi diventato saggista e blogger, gli dà man forte: «Queste persone, che hanno in media 65 anni, hanno fatto un percorso d'esilio, che è anche sofferenza e nel frattempo hanno ricostruito un'esistenza». Certo, un'esistenza negata all'appuntato Gurrieri e a molti altri come lui. Ma tra coloro che invocano l'indulto, la riconciliazione, la necessità di chiudere una stagione che risale a cinquant'anni fa, ci sono molti di coloro che sollecitarono l'estradizione e la condanna di Erik Priebke, il nazista colpevole della strage delle Fosse Ardeatine. A lui fu chiesto di scontare la pena fino all'ultimo giorno, a prescindere dall'età. Per Pietrostefani e compagni dovremmo essere clementi. Così si arriva al paradosso di parlare di grazia per gli ex terroristi mentre un orefice di provincia, già rapinato e aggredito in passato, rischia il processo per essersi difeso. Mario Roggero, il gioielliere di Grinzane Cavour che ha reagito a un tentativo di rapina uccidendo due banditi e ferendone un terzo, è indagato per omicidio. La sua storia ricorda quella di Pierluigi Torregiani, che a Milano aveva un piccolo negozio di orologi e anelli. Una sera di gennaio del 1979 fu vittima di un tentativo di rapina e reagì sparando, colpendo a morte un malvivente. Un mese dopo, un commando dei Proletari armati per il comunismo, il gruppo terroristico guidato da Cesare Battisti, s'incaricò di sparare a sangue freddo a lui e al figlio, che da allora vive su una sedia a rotelle. Ecco, di fronte a tutto ciò, di che riconciliazione parliamo? Possibile che la comprensione sia solo per i carnefici e mai per le vittime? Dice bene Mughini: i terroristi erano feccia e feccia rimangono. Dunque, finalmente scontino la loro pena, perché i familiari di chi hanno ammazzato la scontano già da anni.
Matteo Salvini (Imagoeconomica)
La stazione di San Zenone al Lambro, dove il 30 agosto scorso un maliano ha stuprato una 18enne (Ansa)