2022-11-16
L’Ambrogino di Sala diventa trofeo alla morte
Beppe Sala e Marco Cappato (Ansa)
L’onorificenza di Milano, destinata a chi ha dato lustro alla città, sarà conferita anche a Marco Cappato, il politico paladino del diritto all’eutanasia. Un ammiccamento al coro mediatico che plaude a chi sfrutta i vuoti di legge per portare i fragili a perire in Svizzera.Premiare la morte per proprietà transitiva. Accade anche questo nella Milano del nichilismo sfrenato, dove Marco Cappato ha ottenuto l’Ambrogino d’oro, massima onorificenza pubblica, e il 7 dicembre la riceverà dal sindaco Beppe Sala con fascia tricolore e prevedibile orgoglio liberal. Quella assunta dalla Commissione per le Benemerenze è una decisione che lascia esterrefatti perché regala lustro sociale al suicidio assistito, lo sdogana al di là delle diatribe politiche e legali. E innalza a benemerito chi, approfittando di un vuoto legislativo e di un imbarazzante coro mediatico, accompagna a morire in Svizzera persone fragili che hanno perso la speranza.Nella metropoli del conformismo e dell’apparenza la chiassosa mancanza di sobrietà sta diventando un valore. Storicamente l’Ambrogino «è destinato a chi ha reso lustro alla città», recita il regolamento. Sarebbe interessante sapere quale prestigio sfavillante Milano possa trarre dalle imprese del tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni, leader radicale del ramo psico-sanitario, che a colpi di provocazioni tenta da qualche anno di scardinare la tutela del «bene vita» dall’ordinamento italiano. E di far passare il concetto che l’unica via pietosa per accompagnare la sofferenza sia quella che porta alla morte per autodeterminazione. Ora ci sta provando anche con i malati di cancro. Reso famoso dal caso di Dj Fabo, Cappato si fa forte della sentenza della Corte Costituzionale di non punibilità nei confronti di chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di una persona che abbia quattro requisiti: il valido consenso del paziente, la sofferenza da lui ritenuta intollerabile, una prognosi infausta irreversibile, la dipendenza da supporti vitali. In assenza di un provvedimento legislativo in merito, in questi anni ogni tribunale chiamato a sentenziare casi analoghi, su autodenuncia di Cappato, non ha fatto altro che allargare la breccia creando i presupposti per l’accettazione di fatto del suicidio assistito vietato dalla legge.La Milano dei diritti prêt à porter premia l’attivismo border line, lancia provocazioni di retroguardia, diventa sponsor ufficiale della dolce morte. E così facendo dimentica di essere il cuore della diocesi più estesa d’Europa, caposaldo di quel cattolicesimo lombardo che da oltre mille anni veicola valori assoluti come la vita, la solidarietà, la speranza. Davanti a un’istituzione che allegramente si schiera contro la Costituzione e brinda ai viaggi in Svizzera, ovviamente il più contento è Cappato. «Dedico questo riconoscimento a Dj Fabo, a Elena e al coraggio di chi vuol essere libero fino alla fine. Milano ha sempre giocato d’anticipo sui diritti, la società è più avanti della politica». Nella sfida al premio, l’attivista della buona morte ha battuto l’artista Maurizio Cattelan, il settimanale Tv Sorrisi e Canzoni, il giornalista e conduttore televisivo Paolo Del Debbio, il cantante Memo Remigi e l’allenatore Stefano Pioli, che ha portato lo scudetto sulla sponda milanista dopo undici anni e avrebbe meritato il riconoscimento a furor di popolo. Fra i premiati ci sono anche Diego Abatantuono, il musicista della fu Pfm, Mauro Pagani, l’ex prefetto Francesco Paolo Tronca. Per tentare di riequilibrare con il bilancino l’Ambrogino radicale, la Commissione guidata dalla presidente del Consiglio comunale a trazione piddina, Elena Buscemi, ha deciso di attribuire la Grande medaglia d’oro alla memoria a don Luigi Giussani, fondatore di Comunione e Liberazione, utilizzato per provare invano a riequilibrare lo sbilanciamento a sinistra. A proposito del rapporto vita-morte quest’ultimo diceva: «Tutto il mondo non vale la più piccola persona umana, che non ha nulla di paragonabile a sé nell’universo, dal primo istante della concezione fino all’ultimo passo della decrepita vecchiaia». Un corto circuito da Oscar. Dedicando anche alla signora Elena il riconoscimento, Cappato non ha avuto timore di aprire un altro fronte, quello dei malati di cancro, e di trasformare l’Ambrogino in uno strumento di propaganda. Nell’agosto scorso si è infatti autodenunciato (nella stessa caserma milanese in cui si era presentato nel 2017 dopo il viaggio con Dj Fabo) per aver accompagnato a morire una malata terminale di tumore ai polmoni, 69 anni, di Spinea in Veneto, non sottoposta a trattamenti di sostegno vitale. Sul tema si è espresso l’ex ministro della Giustizia del governo Prodi I , Giovanni Maria Flick: «Quello di Elena è un caso che si colloca al di fuori del sistema previsto dalla Consulta ed è stato reso possibile dall’assenza della legge. Qui manca il quarto criterio, la dipendenza da un intervento medico-sanitario che la tenesse in vita, come avevano confermato le ultime sue dichiarazioni. Così si apre la strada alla liberalizzazione del suicidio assistito». Non solo, il neo Ambrogino rischia 12 anni di carcere. Per la Gotham City di Sala resta un fulgido esempio.
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