2020-12-20
Caos manovra: chi decide su tasse e lavoro?
Tutti a parlare di Recovery fund (che ci darà spiccioli), intanto la legge di Bilancio non è mai stata così in ritardo: le Camere non potranno fare quasi nulla. Quando scadrà il divieto di licenziare sarà un disastro. La fondazione Prometeia non è certo di destra né sovranista: è stata fondata da Beniamino Andreatta. Però fa i conti e ha calcolato che i soldi del Recovery fund impatteranno sul nostro Pil soltanto per l'1,3%. E solo dal 2023. Il prossimo anno, se va bene, incasseremo dal programma al massimo 15 miliardi. Eppure la bagarre che si è accesa attorno alla task force che dovrà gestire il potere di questi soldi nel prossimo settennio ha quasi fatto cadere il governo. È certamente un tema importante ed è fondamentale che qualcuno inizi a porre rimedio al delirio accentrativo di Giuseppe Conte. Lo si vede anche con le deleghe all'intelligence. Ma i partiti non possono perdere di vista la realtà. Non devono farsi trascinare su un terreno che è in ogni caso deleterio per il Paese. Mentre ci si azzuffa per denaro (comunque debito sulle spalle degli italiani) senza che ci siano date certe per i programmi di spesa, si sta perdendo di vista la legge finanziaria. La più importante dal 2011 a oggi. Non solo in termini di importo. Parliamo, al netto dei fondi Ue, di 38 miliardi più 26 già messi a bilancio con la manovra del dicembre 2019. Tre volte la media delle ultime Finanziarie. È la legge più importante in termini di salvezza del Paese, prostrato da una pandemia che azzera interi settori e non lascia tempo alla riconversione. Gli spicci del Recovery fund arriveranno nel secondo semestre del 2021, ma gli italiani - tra gennaio e giugno - non potranno certo stare in apnea, senza lavorare, mangiare, ammalarsi o fare tutto ciò che è previsto in una democrazia. Fa dunque arrabbiare il silenzio attorno all'inedia con cui il governo e pure il Parlamento trattano la bibbia del bilancio pubblico. Oggi è il 20 dicembre. La settimana appena trascorsa ha visto sconvocare le commissioni bilancio almeno cinque volte, l'ultima ieri mattina. Gli emendamenti entrano ed escono senza una vera discussione, né strategia macro economica. Il ritardo nell'iter è ormai incolmabile. Tanto che c'è solo una soluzione alternativa all'esercizio provvisorio. Cioè, un maxi emendamento che dovrà passare a occhi chiusi sia alla Camera sia al Senato. Un insulto per cui bisogna ringraziare Pd e 5 stelle. I due partiti hanno continuato a farsi la lotta non solo sul tema del superbonus (diventato per Luigi Di Maio la bandiera da salvare come è stato a suo tempo il reddito di cittadinanza), ma anche sul futuro di Mps. Il Pd sostiene la vendita veloce. Magari a Unicredit, il cui nuovo presidente, Pier Carlo Padoan, ha preso per il naso due volte i senesi (prima da ministro poi da candidato piddino). I 5 stelle, invece, stanno cercando fino all'ultimo di boicottare la cessione sperando che il Monte resti pubblico dentro una accozzaglia che guardi a Pop Bari. In ogni caso, si tratta di giochi di potere che in nessun modo giustificano la mancanza di rispetto per la democrazia parlamentare. Quella per Mps è una lotta intestina che nulla ha a che vedere con la manovra. Tanto che arrivati a oggi - sprecata una ventina di giorni - ci si accorge che la legge di bilancio ha tutto fuorché ciò che serve all'Italia. L'opposizione dovrebbe urlare e chiedere la sfiducia di Roberto Gualtieri. Non fermarsi alla bagarre messa in atto per i decreti Sicurezza. Servirebbe un boicottaggio programmato e ricco di contenuti. Esattamente quelli che la maggioranza giallorossa ha fatto evaporare. In questa manovra ci sono marchette, soldi per la cassaintegrazione, mance per i ristori, fondi per la digitalizzazione. Per il lavoro e il fisco c'è il vuoto pneumatico. A fine marzo scadrà il divieto di licenziamento. I 5 miliardi stanziati per la Cig bastano per 12 settimane. Che succederà dopo? Ci auguriamo che il divieto non permanga. Sarebbe una ulteriore lapide sul mondo del lavoro. Ma anche abolendolo, il governo dovrebbe mettere mano e stravolgere tutte le politiche attive sul lavoro. Da aprile avremo come minimo un altro mezzo milione di disoccupati. Che faranno? Che fine farà il welfare? Nella manovra non c'è traccia di queste domande. Non dico che ci vorrebbero le risposte. Ma almeno bisognerebbe inserire dei tentativi di soluzione. La stessa cosa vale per le tasse. Il gettito del 2020 è sceso di oltre il 20%. Significa a spanne 100 miliardi scarsi. I continui rinvii sono dei nodi che arriveranno al pettine il prossimo giugno. Conte insiste con l'ignorare il muro verso cui sta spedendo ad alta velocità il nostro Paese. Le aziende non avranno i soldi per pagare le tasse. Servirebbe un condono. Ma il condono sarà un buco di bilancio da coprire in ogni caso. Se il governo volesse salvare gli italiani dovrebbe in queste ore cercare di prevedere lo scenario. Se le aziende non versano le imposte per via del Covid vanno tutelate, non perseguite. Per farlo bisognerebbe però inventare un fondo o un sistema cartolarizzato che tappi i buchi ed eviti che sbarchi a Roma la Troika. La quale tirerebbe una linea con il righello. Tagli e massacri lineari alla spesa, alle pensioni e al welfare. Questo è lo scenario da evitare. Che poi arrivino i soldi del Recovery fund è un'altra cosa che in nessun caso cambierebbe la sostanza dei nostri problemi economici. Se uno perde il lavoro e non sa come pagare il mutuo, inutile che perda tempo a litigare con la moglie sulle orchidee del giardino.