2021-05-30
Il candidato di sinistra a Napoli «costa» 5 miliardi a tutti i cittadini
Imposte locali più alte per 30 anni per azzerare il debito del Comune che spaventa l'ex ministro Gaetano Manfredi. L'accordo tra Pd, M5s e Leu per blindare la corsa a sindaco del prof. Ma a pagare sarà anche il resto d'Italia.Giuseppe Sala a Milano (da ora in campagna elettorale) congela canoni, rette scolastiche e imposte di soggiorno che guarda caso torneranno «attive» da novembre.Lo speciale contiene due articoli.È inutile che cerchiate nelle classifiche delle presidenziali Usa o negli annali di qualche faraonica campagna elettorale sudamericana. La più costosa candidatura politica della storia è e resterà quella di Gaetano Manfredi, ex ministro dell'Università del governo giallorosso. Per convincerlo a correre per la carica di sindaco di Napoli, gli è stato promesso un assegno di oltre 5 miliardi di euro. Altro che Cristiano Ronaldo o Leo Messi, l'ingaggio del prof di ingegneria, con un passato da rettore dell'Università Federico II di Napoli, supera i confini della più bramosa fantasia turbocapitalistica. Ed è frutto dell'accordo del trio delle meraviglie: Enrico Letta, Giuseppe Conte e Roberto Speranza. Formalizzato e ufficializzato in un documento di sei paginette - a interlinea doppia - pomposamente denominato Un patto per Napoli.Chiariamo: la cosa andrebbe anche bene se, a onorare questo gigantesco impegno finanziario, fossero quelli che l'hanno proposto. Invece, a pagare saranno i napoletani. Saranno tutti i cittadini della disastrata metropoli, amministrata oggi da Luigi de Magistris, a dover sostenere con un incremento indiscriminato delle imposte locali la discesa in campo di un candidato di parte. E questo perché il centrosinistra a trazione grillopiddina non aveva altri nomi da gettare nella mischia al di fuori del povero (si fa per dire) Manfredi. Che appena il 18 maggio, buttando un occhio al bilancio di Palazzo San Giacomo, sede della casa comunale, aveva declinato l'invito inorridito. «Troppi debiti, rinuncio, grazie lo stesso». Per convincerlo a ripensarci, i tre capataz di Pd, M5s e Leu hanno partorito un piano che ricalca la legge speciale di Roma Capitale con l'obiettivo di recuperare i 5 miliardi di euro di extra deficit - appunto - che stanno facendo affondare le casse comunali. E come si possono rastrellare così tanti soldi? Facile: nominando un commissario che dovrà sgonfiare il «debito storico» del Comune alzando i tributi locali, a cominciare dall'Irpef (che potrebbe schizzare allo 0,9%), e i diritti di imbarco portuali e aeroportuali (+1 euro a persona). E questo nonostante le aliquote in città siano già ai massimi. Con queste garanzie, il prof ha detto sì. E i giallorossi hanno ripreso a sorridere. Chiaro: il problema è ora tutto dei contribuenti del capoluogo. E in parte anche del resto d'Italia se è vero che almeno la metà debito (pari a 2,5 miliardi) se la accollerà lo Stato. Insomma, saranno chiamati a pagare per Manfredi pure i cittadini che abitano a Lampedusa e i 539 residenti di Predoi, il Comune più a nord d'Italia, che con Napoli non è che abbiano un immediato e percepibile collegamento. Ma tant'è.Quanto durerà il salasso per i partenopei? Secondo fonti romane, interpellate dal nostro giornale, l'orizzonte è di almeno quindici anni. «Ma potrebbero tranquillamente diventare trenta se il Comune di Napoli continuerà a perdere milioni su milioni con la mancata riscossione delle tasse». D'altronde si sa: niente è più definitivo del provvisorio. La norma salva-Manfredi potrebbe trovare ospitalità nella prossima finanziaria ed è già stata spacciata, dalla propaganda di regime, come una assunzione di responsabilità dei partiti di sinistra nei confronti dell'ente municipale che rischia il crac. Peccato che: 1) il problema del debito ha tolto il sonno al solo Manfredi, non avendo gli altri candidati già in corsa (a cominciare dall'ex pm antimafia, Catello Maresca, a capo della coalizione di centrodestra) posto alcuna pregiudiziale; 2) buona parte delle passività sono eredità avvelenata delle stagioni dei sindaci dem Antonio Bassolino e Rosa Russo Iervolino. Il debito, insomma, è tutta roba loro. Roba di sinistra. Che fa e disfa.Curioso poi che l'occhiuto Manfredi non si sia ricordato che pure la sua università, fino al 2017, aveva accumulato nei confronti di Palazzo San Giacomo quasi 70 milioni di euro di debiti per il mancato pagamento della tassa sui rifiuti.Possibile quindi che, alla fine, Un patto per Napoli diventi Un «pacco» per Napoli. Non a caso il consigliere regionale della Lega, Severino Nappi, definisce «vergognoso» il metodo di reclutamento delle sinistre di un «candidato che giustamente non si fida di loro». E aggiunge: «Se davvero si vuole dare sostegno ai Comuni in difficoltà, ci aiutino ad eliminare i paletti che impediscono la gestione efficace delle nostre città ai sindaci, ovviamente a quelli competenti e onesti». I conti non tornano nemmeno dalle parti dei grillini, che pure dovrebbero sostenere l'ex rettore. Non foss'altro per la benedizione alla candidatura arrivata da Roberto Fico. Presidente napoletano della Camera e leader dell'ala sinistrorsa del Movimento. Invece, il capogruppo comunale Matteo Brambilla, che contesta l'imposizione dall'alto di Manfredi, ha imbracciato il fucile della rivolta e ha iniziato a sparare. «Ci volevate servi, ci troverete ribelli», ha scritto su Facebook. Ci sarà da divertirsi.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/candidato-sinistra-napoli-5-miliardi-2653147469.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="sala-ferma-la-tari-solo-fino-al-voto" data-post-id="2653147469" data-published-at="1622331713" data-use-pagination="False"> Sala ferma la Tari solo fino al voto «A pensar male si fa peccato, ma spesso s'indovina» diceva qualcuno che la politica la conosceva bene. Già perché la «misura straordinaria» causa Covid messa in campo dal sindaco di Milano, Beppe Sala, in piena campagna elettorale qualche sospetto lo crea. Palazzo Marino, infatti, ha deciso di rinviare il pagamento di asili, mense e rifiuti fino al prossimo autunno «perché la città sta vivendo un grave momenti di emergenza». Il sindaco meneghino, mentre l'intero Paese, tra calo dell'indice Rt e aumento delle vaccinazioni, sta uscendo dal lungo lockdown, ritiene che l'emergenza Covid non sia finita come non lo è la crisi economica e sociale innescata dalla pandemia. E così «congela» fino al prossimo 31 ottobre le scadenze dei pagamenti di tutti i tributi locali, dalla Tari (la tassa sui rifiuti) alle rette di nidi e di mense scolastiche, che vengono anche scontate per i giorni di zona rossa, dall'imposta di soggiorno ai costi sostenuti dalle famiglie che utilizzano i centri diurni per disabili fino al canone di occupazione del suolo per il commercio sulle aree pubbliche. Una «misura straordinaria, frutto del grande lavoro dei nostri uffici e testimonianza più che mai concreta dell'impegno di questa amministrazione per la città» ha sottolineato Sala, che una decina di giorni fa ha presentato i candidati (medici e professionisti del settore sanitario) che correranno nella lista «Milano in salute» per la sua rielezione a sindaco. In sostanza soltanto adesso la giunta ha approvato una delibera che rende operativa una richiesta della maggioranza di centrosinistra fatta durante la discussione in aula sul bilancio di previsione 2021: rinviare al 31 ottobre i pagamenti di tutte quelle partite su cui l'amministrazione ha competenza diretta, quindi asili, mense e rifiuti, ovvero le scadenze dei «prelievi fiscali dell'ente e dei pagamenti di contributi, dei canoni e delle quote associative e contributive dovute al Comune». Escluse quindi, Imu e Irpef. Particolarmente soddisfatto Sala che sui suoi profili social ha ribadito che «in questi mesi di emergenza, il Comune ha adottato tutti i provvedimenti in suo potere e messo in campo ogni iniziativa possibile per sostenere i cittadini e le cittadine in difficoltà, dalle famiglie ai commercianti fino ai gestori di attività pubbliche e sociali. Continuando a garantire i servizi e tenendo i conti in equilibro, abbiamo compiuto ogni sforzo per scongiurare il rischio concreto che alla crisi sanitaria si aggiungesse anche quella economica». Secondo il capogruppo del Pd Filippo Barberis, «diamo fiato a cittadini e categorie produttive. Procederemo nelle prossime settimane, utilizzando le risorse dell'avanzo di bilancio, con ulteriori sostegni, dagli sconti sulla Tari agli aiuti alle famiglie in difficoltà». Come funzionerà? Il pagamento dei bollettini Tari dell'anno in corso, che potrebbero arrivare a fine luglio, potrà essere fatto dal primo novembre in poi e per le annualità precedenti ci potranno essere piani di rateizzazione. Spostato in autunno il versamento del canone unico e quello per le occupazioni permanenti di suolo pubblico (chioschi ed edicole); oltre al rinvio al 3 settembre, le rette degli asili nido, nel periodo in cui la Lombardia è stata in zona rossa e il servizio è stato chiuso, vengono tagliate del 50%; dimezzati anche gli importi delle mense, mentre fino al 31 ottobre non si pagano i bollettini per i centri diurni disabili e i canoni di affitto degli immobili comunali. Anche l'ex sindaco Giuliano Pisapia adottò un analogo provvedimento in campagna elettorale, chissà se a Sala porterà fortuna per il bis.
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La consulenza super partes parla chiaro: il profilo genetico è compatibile con la linea paterna di Andrea Sempio. Un dato che restringe il cerchio, mette sotto pressione la difesa e apre un nuovo capitolo nell’indagine sul delitto Poggi.
La Casina delle Civette nel parco di Villa Torlonia a Roma. Nel riquadro, il principe Giovanni Torlonia (IStock)
Dalle sue finestre vedeva il Duce e la sua famiglia, il principe Giovanni Torlonia. Dal 1925 fu lui ad affittare il casino nobile (la villa padronale della nobile casata) per la cifra simbolica di una lira all’anno al capo del Governo, che ne fece la sua residenza romana. Il proprietario, uomo schivo e riservato ma amante delle arti, della cultura e dell’esoterismo, si era trasferito a poca distanza nel parco della villa, nella «Casina delle Civette». Nata nel 1840 come «capanna svizzera» sui modelli del Trianon e Rambouillet con tanto di stalla, fu trasformata in un capolavoro Art Nouveau dal principe Giovanni a partire dal 1908, su progetto dell’architetto Enrico Gennari. Pensata inizialmente come riproduzione di un villaggio medievale (tipico dell’eclettismo liberty di quegli anni) fu trasformata dal 1916 nella sua veste definitiva di «Casina delle civette». Il nome derivò dal tema ricorrente dell’animale notturno nelle splendide vetrate a piombo disegnate da uno dei maestri del liberty italiano, Duilio Cambellotti. Gli interni e gli arredi riprendevano il tema, includendo molti simboli esoterici. Una torretta nascondeva una minuscola stanza, detta «dei satiri», dove Torlonia amava ritirarsi in meditazione.
Mussolini e Giovanni Torlonia vissero fianco a fianco fino al 1938, alla morte di quest’ultimo all’età di 65 anni. Dopo la sua scomparsa, per la casina delle Civette, luogo magico appoggiato alla via Nomentana, finì la pace. E due anni dopo fu la guerra, con villa Torlonia nel mirino dei bombardieri (il Duce aveva fatto costruire rifugi antiaerei nei sotterranei della casa padronale) fino al 1943, quando l’illustre inquilino la lasciò per sempre. Ma l’arrivo degli Alleati a Roma nel giugno del 1944 non significò la salvezza per la Casina delle Civette, anzi fu il contrario. Villa Torlonia fu occupata dal comando americano, che utilizzò gli spazi verdi del parco come parcheggio e per il transito di mezzi pesanti, anche carri armati, di fatto devastandoli. La Casina di Giovanni Torlonia fu saccheggiata di molti dei preziosi arredi artistici e in seguito abbandonata. Gli americani lasceranno villa Torlonia soltanto nel 1947 ma per il parco e le strutture al suo interno iniziarono trent’anni di abbandono. Per Roma e per i suoi cittadini vedere crollare un capolavoro come la casina liberty generò scandalo e rabbia. Solo nel 1977 il Comune di Roma acquisì il parco e le strutture in esso contenute. Iniziò un lungo iter burocratico che avrebbe dovuto dare nuova vita alle magioni dei Torlonia, mentre la casina andava incontro rapidamente alla rovina. Il 12 maggio 1989 una bimba di 11 anni morì mentre giocava tra le rovine della Serra Moresca, altra struttura Liberty coeva della casina delle Civette all’interno del parco. Due anni più tardi, proprio quando sembrava che i fondi per fare della casina il museo del Liberty fossero sbloccati, la maledizione toccò la residenza di Giovanni Torlonia. Per cause non accertate, il 22 luglio 1991 un incendio, alimentato dalle sterpaglie cresciute per l’incuria, mandò definitivamente in fumo i progetti di restauro.
Ma la civetta seppe trasformarsi in fenice, rinascendo dalle ceneri che l’incendio aveva generato. Dopo 8 miliardi di finanziamenti, sotto la guida della Soprintendenza capitolina per i Beni culturali, iniziò la lunga e complessa opera di restauro, durata dal 1992 al 1997. Per la seconda vita della Casina delle Civette, oggi aperta al pubblico come parte dei Musei di Villa Torlonia.
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