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2025-03-13
29 settembre 1538: quando i Campi Flegrei distrussero Pozzuoli
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Incisione dell'eruzione dei Campi Flegrei del 1538 (Getty Images)
Una scossa di magnitudo 4,4 ha colpito nella notte del 13 marzo la zona di Pozzuoli. Un fortissimo boato ha svegliato gli abitanti, che si sono precipitati in strada in preda al panico. Nella zona di Bagnoli si sono verificati alcuni crolli e 11 persone sono state ospedalizzate, la maggior parte colte da malore. Oggi il ministro per la Protezione civile Nello Musumeci ha firmato il decreto di mobilitazione nazionale e il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha chiamato il sindaco di Napoli Gaetano Manfredi per esprimere la vicinanza delle Istituzioni. Giorgia Meloni e il governo stanno monitorando da vicino la situazione.
Proprio come sta accadendo in questi giorni, anche cinque secoli fa nella zona dei Campi Flegrei il suolo si sollevò, accompagnato da forti scosse di terremoto, tra il 1501 e il 1503. Di fronte alla cittadina campana emersero nuove spiagge, assegnate dal demanio alla città di Pozzuoli. Trentasei anni più tardi, alla fine del settembre 1538, la bocca del grande vulcano infine si svegliò dopo circa 3.000 anni di quiescenza. Nei giorni immediatamente precedenti si susseguirono a distanza ravvicinata violentissime scosse sismiche, che produssero la graduale fuga della popolazione verso Napoli. Il 28 settembre il mare si ritirò quasi all’improvviso, lasciando una distesa di pesci argentei in secca, come già era avvenuto in occasione della grande eruzione del Vesuvio nel 79 d.C.
Nella notte tra il 29 e il 30 settembre 1538 iniziò l’eruzione. Il fenomeno fu talmente violento da coprire di lava e ceneri la zona circostante, cambiando per sempre la morfologia dell’area. Dall’esplosione nacque una nuova montagna, detta «Monte Nuovo», alta 133 metri (chiamata inizialmente anche Mons Cineris, montagna di cenere) e i due laghi vulcanici di Averno e Lucrino subirono un repentino ridimensionamento. Nelle vicinanze della bocca del supervulcano fu cancellata dalle mappe la località detta Tripergole (o delle tre pergole, un antico centro termale corredato da un Ospitale (una sorta di albergo per i viandanti) e Pozzuoli risultò gravemente danneggiata. L’attività eruttiva dei Campi Flegrei durò fino al 6 ottobre successivo, cominciando con una fase conflagrante seguita da una violenta eruzione piroclastica. Il 3 ottobre la fase detta «stromboliana» proiettò a distanza grosse pietre incandescenti mentre una massa di fango e lava copriva il terreno giungendo sino alle mura di Pozzuoli. L’ultima, minore eruzione, si ebbe il 6 ottobre quando già alcuni osservatori si erano avvicinati al cratere. Per fortuna fu più debole di quella che precedette e non vi furono vittime. Pozzuoli e la zona circostante erano devastati. Tanto da generare l’impegno del vicerè Don Pedro da Toledo, che fu tra coloro che testimoniarono le fasi eruttive. Volle personalmente presenziare alla ricostruzione delle abitazioni facendo costruire una villa-castello per sé e nuove case per gli sfollati, che per sua delibera, furono esentati dal versamento dei tributi.
Nel 1970, esattamente 55 anni fa, gli abitanti di Pozzuoli scesero nuovamente in strada presi dal panico. Il 3 marzo la solfatara evidenziò un’attività bradisismica intensa, mentre nei giorni precedenti si era verificato nuovamente l’innalzamento del terreno, arrivato a 20 centimetri. Nel Rione Terra, quartiere di Pozzuoli, vi furono ingenti danni a causa del dissesto del terreno e fu decisa l’evacuazione del quartiere prima che il fenomeno si interrompesse alcuni giorni più tardi. Un'altra fase bradisismica importante si registrò nuovamente nel 1983 e 1984.
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Il ministro Musumeci ha firmato lo stato di mobilitazione nazionale dopo il violento sisma del 13 marzo. Cinque secoli fa il supervulcano campano eruttò per una settimana intera, cambiando per sempre la geografia della zona circostante. Una scossa di magnitudo 4,4 ha colpito nella notte del 13 marzo la zona di Pozzuoli. Un fortissimo boato ha svegliato gli abitanti, che si sono precipitati in strada in preda al panico. Nella zona di Bagnoli si sono verificati alcuni crolli e 11 persone sono state ospedalizzate, la maggior parte colte da malore. Oggi il ministro per la Protezione civile Nello Musumeci ha firmato il decreto di mobilitazione nazionale e il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha chiamato il sindaco di Napoli Gaetano Manfredi per esprimere la vicinanza delle Istituzioni. Giorgia Meloni e il governo stanno monitorando da vicino la situazione.Proprio come sta accadendo in questi giorni, anche cinque secoli fa nella zona dei Campi Flegrei il suolo si sollevò, accompagnato da forti scosse di terremoto, tra il 1501 e il 1503. Di fronte alla cittadina campana emersero nuove spiagge, assegnate dal demanio alla città di Pozzuoli. Trentasei anni più tardi, alla fine del settembre 1538, la bocca del grande vulcano infine si svegliò dopo circa 3.000 anni di quiescenza. Nei giorni immediatamente precedenti si susseguirono a distanza ravvicinata violentissime scosse sismiche, che produssero la graduale fuga della popolazione verso Napoli. Il 28 settembre il mare si ritirò quasi all’improvviso, lasciando una distesa di pesci argentei in secca, come già era avvenuto in occasione della grande eruzione del Vesuvio nel 79 d.C.Nella notte tra il 29 e il 30 settembre 1538 iniziò l’eruzione. Il fenomeno fu talmente violento da coprire di lava e ceneri la zona circostante, cambiando per sempre la morfologia dell’area. Dall’esplosione nacque una nuova montagna, detta «Monte Nuovo», alta 133 metri (chiamata inizialmente anche Mons Cineris, montagna di cenere) e i due laghi vulcanici di Averno e Lucrino subirono un repentino ridimensionamento. Nelle vicinanze della bocca del supervulcano fu cancellata dalle mappe la località detta Tripergole (o delle tre pergole, un antico centro termale corredato da un Ospitale (una sorta di albergo per i viandanti) e Pozzuoli risultò gravemente danneggiata. L’attività eruttiva dei Campi Flegrei durò fino al 6 ottobre successivo, cominciando con una fase conflagrante seguita da una violenta eruzione piroclastica. Il 3 ottobre la fase detta «stromboliana» proiettò a distanza grosse pietre incandescenti mentre una massa di fango e lava copriva il terreno giungendo sino alle mura di Pozzuoli. L’ultima, minore eruzione, si ebbe il 6 ottobre quando già alcuni osservatori si erano avvicinati al cratere. Per fortuna fu più debole di quella che precedette e non vi furono vittime. Pozzuoli e la zona circostante erano devastati. Tanto da generare l’impegno del vicerè Don Pedro da Toledo, che fu tra coloro che testimoniarono le fasi eruttive. Volle personalmente presenziare alla ricostruzione delle abitazioni facendo costruire una villa-castello per sé e nuove case per gli sfollati, che per sua delibera, furono esentati dal versamento dei tributi. Nel 1970, esattamente 55 anni fa, gli abitanti di Pozzuoli scesero nuovamente in strada presi dal panico. Il 3 marzo la solfatara evidenziò un’attività bradisismica intensa, mentre nei giorni precedenti si era verificato nuovamente l’innalzamento del terreno, arrivato a 20 centimetri. Nel Rione Terra, quartiere di Pozzuoli, vi furono ingenti danni a causa del dissesto del terreno e fu decisa l’evacuazione del quartiere prima che il fenomeno si interrompesse alcuni giorni più tardi. Un'altra fase bradisismica importante si registrò nuovamente nel 1983 e 1984.
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Meloni ha poi lanciato un altro attacco all’opposizione a proposito di Abu Mazen, presidente della Palestina: «La sua bella presenza qui ad Atreju fa giustizia delle accuse vergognose di complicità in genocidio che una sinistra imbarazzante ci ha rivolto per mesi». E ancora contro la sinistra: «La buona notizia è che ogni volta che loro parlano male di qualcosa va benissimo. Cioè parlano male di Atreju ed è l’edizione migliore di sempre, parlano male del governo, il governo sale nei sondaggi, hanno tentato di boicottare una casa editrice, è diventata famosissima. Cioè si portano da soli una sfiga che manco quando capita la carta della Pagoda al Mercante in fiera, visto che siamo in clima natalizio. E allora grazie a tutti quelli che hanno fatto le macumbe». L’altra stilettata ironica a proposito del premio dell’Unesco che riconosce la cucina italiana come bene immateriale dell’umanità: «A sinistra non è andato bene manco questo. Loro non sono riusciti a gioire per un riconoscimento che non è al governo ma alle nostre mamme e nonne, alle nostre filiere, alla nostra tradizione, alla nostra identità. Hanno rosicato così tanto che è una settimana che mangiano tutti dal kebabbaro. Veramente roba da matti». Ricordando l’unità della coalizione, Meloni ha sottolineato che questa destra «non è un incidente della storia» rivendicando le iniziative adottate in tre anni di esecutivo. Il premier ha poi toccato i temi di attualità e a proposito dell’equità fiscale rivendicata dall’opposizione ha scandito: «Non accettiamo lezioni da chi fa il comunista con il ceto medio e il turbo capitalista a favore dei potenti. Oggi il Pd si indigna perché gli Elkann vogliono vendere il gruppo Gedi e non ci sarebbero garanzie per i lavoratori però quando chiudevano gli stabilimenti di Stellantis ed erano gli operai a perdere il posto di lavoro, tutti muti. Anche Landini sul tema fischiettava». Non sono mancati i riferimenti ai temi caldi del centrodestra: immigrazione, riforma della giustizia, guerra in Ucraina ed Ue con il disimpegno di Trump e il Green Deal.
Sul palco anche i due vicepremier. «La mia non vuole essere solo una presenza formale, ma una presenza per riconfermare un impegno che tutti noi abbiamo preso nel 1994» ha detto il leader di Fi Antonio Tajani. «Ma gli accordi di alleanze fatte soprattutto di lealtà e impegno, devono essere rinnovati ogni giorno. La ragione di esistere di questa coalizione è fare l’interesse di ciascuno dei 60 milioni di cittadini italiani. E lo possiamo fare garantendo, grazie all’unità di questa coalizione, stabilità politica a questo Paese». Per il leader leghista Matteo Salvini “c’è innanzitutto l’orgoglio di esserci dopo tanti anni. Ci provano in tutti i modi a far litigare me e Giorgia. Ma amici giornalisti, mettetevi l’anima in pace: non ci riuscirete mai». Poi il ministro dei Trasporti ha assicurato che farà «di tutto» per avviare i lavori per il Ponte sullo Stretto, ha rilanciato sull’innalzamento del tetto del contante e sull’impegno anti maranza e infine ricordato come il governo stia facendo un buon lavoro nella tassazione delle banche.
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C'è un'invenzione che si deve agli aviatori, anzi, a un minuto personaggio brasiliano stanco di dover cercare l'orologio nel suo taschino mentre pilotava l'aeroplano.
Getty Images
Se a causa degli scandali, il supporto alla resistenza ucraina mostra vistose crepe, con più della metà degli italiani che non è intenzionata a sostenere militarmente le truppe che cercano di respingere l’armata russa, non è che i soldati che da quasi quattro anni combattono sembrano poi pensarla in modo molto diverso. Sul Corriere della Sera ieri è stata pubblicata un’immagine in cui si vedono militari in divisa sfatti dalla fatica. Tuttavia, a colpire non è la stanchezza dei soldati, ma la loro età. Si capisce chiaramente che non si tratta di giovani bensì di anziani, considerando che comunque l’età media dei militari è superiore ai 40 anni. Uomini esausti, ma soprattutto anagraficamente lontani da un’immagine di agilità e forza. Intendiamoci, a volte gli anni portano esperienza e competenza, soprattutto al fronte, dove serve sangue freddo per non rischiare la pelle. Ma non è questo il punto: non si tratta di pensionare i militari più vecchi, ma di reclutare i giovani e questo è un problema che la fotografia pubblicata sul quotidiano di via Solferino ben rappresenta. Il giornale, infatti, ci informa che 235.000 militari non si sono presentati ai loro reparti e quasi 54.000 sono già stati ufficialmente dichiarati disertori. In pratica, un soldato su quattro del milione mobilitato pare non avere alcuna intenzione di imbracciare un fucile. Per quanto le guerre moderne si combattano con l’Intelligenza artificiale, con i satelliti e i droni, poi alla fine la differenza la fanno sempre gli uomini. A Pokrovsk, la città che da un anno resiste agli assalti delle truppe russe, impedendo agli uomini di Putin di dilagare nel Donbass, se non ci fossero reparti coraggiosi che continuano a respingere gli invasori, Mosca avrebbe già visto sventolare la sua bandiera sui tetti delle poche costruzioni rimaste in piedi dopo mesi di bombardamenti devastanti.
Il tema delle diserzioni, della fuga all’estero di centinaia di migliaia di giovani che non vogliono morire sotto le bombe, è tale che in Polonia e Germania, ma anche in altri Paesi confinanti, si sta facendo pressione per impedire l’arrivo di ulteriori fuggiaschi. Se si guarda al numero di chi non ha intenzione di combattere si capisce perché è necessario raggiungere una tregua. Quanto ancora potrà resistere l’Ucraina in queste condizioni? A marzo comincerà il quinto anno di guerra. Un conflitto che rischia di non avere precedenti, per numero di morti e per la devastazione. E soprattutto uno scontro che minaccia di trascinare in un buco nero l’intera Europa, che invece di cogliere il pericolo sembra scommettere ancora sulle armi piuttosto che sulla tregua. C’è chi continua a invocare una pace giusta, ma la pace giusta appartiene alle aspirazioni, non alla realtà.
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