2022-09-16
La campagna elettorale per il Csm finisce col ritardare l’inchiesta Mps
La candidatura del pm Roberto Fontana avrebbe contribuito a posticipare il deposito del rinvio a giudizio o dell’archiviazione, ora previsto a ridosso del voto. Atteso anche il secondo grado per il processo Profumo. Ci mancavano solo le elezioni del Consiglio superiore della magistratura a creare qualche malumore al Palazzo di giustizia di Milano, nello specifico per il timore di ulteriori perdite di tempo nel procedimento a carico dell’ex presidente di Mps Alessandro Profumo che giace in Procura ormai da sei anni. È quello dove l’attuale numero uno di Leonardo è indagato per falsa contabilizzazione dei crediti deteriorati di Rocca Salimbeni dal 2012 al 2015, insieme con il suo ex amministratore delegato Fabrizio Viola. Tra i candidati togati a Palazzo dei Marescialli per le elezioni di questo fine settimana, infatti, c’è anche Roberto Fontana, titolare del fascicolo insieme con Giovanna Cavalleri. La candidatura di Fontana, oltre appunto a gettare qualche preoccupazione tra chi segue l’indagine per possibili ritardi con il rischio della prescrizione dei reati o al contrario lungaggini che non tutelano certo gli indagati, ha creato non poche polemiche tra le toghe progressiste di Area dg. Fontana, infatti, insieme con Luisa Savoia, aveva deciso di auto candidarsi in luglio non passando dalle primarie della propria corrente. La candidatura del titolare dell’inchiesta su Mps è stata di rottura, anche perché legato storicamente ai duri e puri di Magistratura democratica (tra cui l’ex capo della procura Edmondo Bruti Liberati), in dissenso con gli attuali vertici di Area che avrebbero voluto invece un candidato unico, individuato in Mario Palazzi. A meno di 48 ore dal voto, il borsino di Palazzo dei Marescialli dà più di qualche possibilità di entrare alla toga milanese, molto impegnato negli ultimi due mesi per la campagna elettorale. Va comunque ricordato che Fontana aveva già depositato a luglio una nuova perizia sui conti del Monte dei Paschi, dopo che il procedimento era stato riaperto dal gip Guido Salvini grazie a un’altra perizia, questa volta firmata dagli esperti Giangaetano Bellavia e Fulvia Ferradini, incaricati di verificare la corretta contabilizzazione, tra il 2012 e il 2015, delle rettifiche nei bilanci su miliardi di crediti deteriorati e i relativi accantonamenti. Dalla perizia emerge che nell’arco di quegli anni Mps non avrebbe contabilizzato tempestivamente nei propri bilanci rettifiche su crediti complessivamente per 11,42 miliardi di euro, pari a 7,77 miliardi al netto dell’effetto fiscale, cifra «di importo pressoché analogo» agli 8 miliardi chiesti al mercato con gli «aumenti di capitale avvenuti fra il 2014 ed il 2015».In ogni caso, a quanto trapela in Procura, la chiusura delle indagini dovrebbe essere in dirittura d’arrivo. A ridosso delle elezioni politiche del 25 settembre, forse già a metà della prossima settimana, potrebbe quindi arrivare una richiesta di rinvio a giudizio oppure una nuova richiesta di archiviazione. Il condizionale, dopo tutto quello che è successo negli ultimi anni, è d’obbligo. Del resto al Palazzo di giustizia meneghino non è mancato un pizzico di irritazione e di preoccupazione per la candidatura di Fontana al Consiglio superiore della magistratura, dal momento che le posizioni di Profumo e Viola sono diventate negli anni non solo un vero e proprio tormentone giudiziario, ma anche - come noto - un terreno di scontro tra giudici e magistrati. Più che altro c’è chi teme, soprattutto tra le parti civili, che le guerre interne alla Procura, come le varie perdite di tempo, potrebbero alla fine pesare sui tempi della prescrizione, ma anche inserirsi nelle logiche del mercato agevolando chi specula, oppure chi usa le carte giudiziarie per martoriare una banca che ne ha viste di tutti i colori. Ai ritardi si aggiungono poi altri ritardi. Oltre all’indagine nata nel 2016, non si sa più nulla neppure della data d’appello dell’altro procedimento a carico di Viola e Profumo, dove sono invece accusati di false comunicazioni sociali, manipolazione del mercato e falsa contabilizzazione dei derivati nei bilanci Mps dal 2012 al 2015. In primo grado, con sentenza del 15 ottobre 2020, i due sono stati condannati a sei anni di reclusione e a una multa di 2,5 milioni e mezzo ciascuno. I giudici ribaltarono la posizione della Procura di Milano che aveva invece chiesto l’assoluzione per tutti e tre gli imputati: fu condannato a 3 anni e 6 mesi per false comunicazioni sociali anche l’ex presidente del collegio sindacale, Paolo Salvadori. I legali di Profumo, Franco Coppi e Adriano Raffaelli, avevano definito la sentenza «sbagliata» presentando appello lo scorso anno e chiedendo la piena assoluzione con l’annullamento delle condanne della sentenza di primo grado. Di date, però, al momento non ce ne sono. Il tema non è secondario. I tempi stringono anche qui. Perché le date dell’udienza d’appello andranno in un modo o nell’altro a impattare sulla tornata di nomine della prossima primavera, quando scadrà il consiglio di amministrazione di Leonardo. È evidente che una conferma della condanna, oppure un’assoluzione, saranno tenute in considerazione dal governo per la conferma o meno di Profumo, come anche per una sua nomina in altre partecipate statali. La cosa peggiore è però il limbo. La condanna di primo grado e l’attesa del secondo può comunque essere usata politicamente per congelare il manager ed escluderlo in ogni caso dalla tornata della prossima primavera. E questo certo non è un favore a Profumo.
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Riyadh e Islamabad hanno firmato un patto di difesa reciproca, che include anche la deterrenza nucleare pakistana. L’intesa rafforza la cooperazione militare e ridefinisce gli equilibri regionali dopo l’attacco israeliano a Doha.
Emanuele Orsini e Dario Scannapieco