2023-01-09
A Camere sciolte l’ex governo piazza 82 nomine
Nonostante la circolare per limitare le attività agli affari correnti, i ministri di Mario Draghi hanno riempito cda e affidato incarichi fiduciari. Dario Franceschini, Roberto Speranza e Andrea Orlando da soli hanno scelto 50 nomi per sistemare Siae, casse di previdenza e partecipate.Il meraviglioso mondo del Pd e dei suoi alleati non finisce di stupire. Nell’ultima settimana, la sinistra politica e quella mediatica hanno sparato a palle incatenate contro il governo guidato da Giorgia Meloni, a loro avviso «colpevole», dopo una netta e indiscutibile vittoria elettorale, di aver avvicendato due funzionari: il capo dell’Aifa e il responsabile della struttura della ricostruzione post terremoto. Peccato che - in base a un documento che La Verità è in grado di rendere noto - i ministri uscenti del vecchio governo, a Camere sciolte (cioè dopo il 21 luglio scorso), e in qualche caso perfino in piena campagna elettorale o a elezioni già avvenute, abbiano sparato un’ultima impressionante raffica di incarichi. Complessivamente, si tratta di ben 82 nomine disposte da nove ministri di punta del governo guidato da Mario Draghi: Elena Bonetti (1 nomina), Luigi Di Maio (11 nomine), Luciana Lamorgese (3 nomine), Dario Franceschini (18 nomine), Marta Cartabia (3 nomine), Patrizio Bianchi (1 nomina), Roberto Cingolani (4 nomine), Andrea Orlando (16 nomine), Roberto Speranza (16 nomine), Lorenzo Guerini (6 nomine), e infine 3 nomine in condominio tra Mef e Mur. Quindi, sul gradino più alto del podio c’è Franceschini, seguito da Orlando e Speranza: tre uomini di Pd e Articolo Uno che hanno sparato ben 50 colpi andati a segno.E non finisce qui: perché all’incredibile elenco occorre aggiungere un’altra raffica, quella attribuibile a un altro autentico recordman di questa speciale classifica, Vittorio Colao, protagonista (La Verità se n’era già occupata in più occasioni) di 109 tra assunzioni e nomine con particolare simpatia per il mondo francese.Intendiamoci bene. In qualche caso, si tratta di incarichi che erano già in itinere e che magari sono stati formalizzati dopo lo scioglimento delle Camere. Ad esempio, tutte le nomine del comparto Difesa sono frutto di valutazioni tecniche avvenute ben prima della caduta del governo. In altri casi, si può agevolmente concedere che si sia trattato di atti dovuti (vale per una fetta di incarichi formalizzati alla Farnesina e riguardanti nuovi ambasciatori). In altri casi ancora, sono state scelte persone meritevoli. Ma, al netto di queste eccezioni, siamo di fronte a uno scandalo in termini di opportunità politica. Ma come? Dal 21 luglio le Camere sono sciolte; il vecchio governo è in carica solo per il disbrigo degli affari correnti; un imminente risultato elettorale avverso al Pd appare chiaro dal primo all’ultimo minuto della campagna elettorale: per questo si fa lavorare a pieno regime la macchina delle nomine? Tutto ciò nonostante a fine luglio il sottosegretario Roberto Garofoli abbia emanato una circolare per limitare il più possibile il perimetro di libertà dei singoli ministri. Ecco perché non si può non pensare a una precisa e scatenata volontà lottizzatoria di ogni postazione disponibile, e magari anche al retropensiero di gettare un po’ di sabbia nell’ingranaggio di chi andrà a governare dopo. D’altro canto la cronologia parla chiaro: dopo lo scioglimento delle Camere, nell’ultima decade di luglio, sono avvenute 13 nomine; ad agosto, altre 11; altre 4 a cavallo tra agosto e settembre; sempre a settembre, altre 34 (di cui 12 dopo le elezioni del 25); 15 addirittura a ottobre; 1 a novembre; una manciata, infine, con collocazione cronologica meno certa. L’ex ministro della Cultura, Dario Franceschini, è riuscito a chiudere il cerchio della Siae, la società dei diritti musicali. A settembre, il già capo di gabinetto Salvatore Nastasi diventa presidente Siae, riuscendo nell’impresa fallita nel 2018 e nonostante un parere negativo della commissione. Nello stesso mese anche Francesca Saccone passa al servizio Eventi, mostre e manifestazioni, in questo caso grazie a una mossa dello stesso Nastasi. Stefano Campagnolo, già assessore del Pd di Cremona, finisce alla biblioteca Marciana di Venezia, mentre Andrea Pessina, con decreto di Nastasi, finisce a fare il segretario regionale Fvg del ministero. Giusto per fare alcuni esempi tratti dalla lista della Cultura. Italia Viva si ferma a una sola nomina. Ma è ben assestata. È l’ex tesoriere del partito di Renzi e segretario del ministro Bonetti, Mattia Peradotto, che ad agosto diventa coordinatore Unar. Ovviamente con l’ok della stessa Bonetti. Luigi Di Maio da vero democristiano muove le pedine lateralmente. Da segnalare Luca Sabbatucci, suo ex capo di gabinetto, nominato rappresentante permanente presso l’Ocse. Premiato anche Carmelo Barbarello, segnalato a diversi convegni targati Pd e primo diplomatico a ottenere un passaporto per il marito. Scegliendo nel cesto di ciliegie, si nota anche Alessandro Bratti, nominato segretario generale dell’Autorità del bacino del Po. Era un deputato Pd e direttore Ispra. E Cristina Grieco, già assessore piddino in Toscana, voluta ad agosto dal ministro Bianchi nel ruolo di presidente del cda di Indire, l’Istituto nazionale per documentazione, innovazione e ricerca educativa. Pedine che viste da lontano sembrano piccine, ma che analizzate da vicino formano una strategia precisa e capillare: una occupazione territoriale.Così, per rimanere in tema, non mancano, come vedremo in dettaglio, anche particolari geografici e una pesca a piene mani dal personale politico d’area dei vari ministri: anticipiamo la propensione di Orlando a scegliere in Liguria, così come resta leggendaria la scelta di Speranza di nominare pure un suo compagno di scuola. Tra le nomine di Orlando spicca Cristina Tajani (già sua consigliera nonché ex assessore delle giunte di Giuliano Pisapia e Giuseppe Sala) come ad di Anpal servizi. Notevoli anche gli incarichi all’ex deputato Pd Massimo Fiorio (cda Enpaia) e a Giuseppe Berretta (già vicesindaco di Catania ai tempi di Enzo Bianco, poi deputato Pd e sottosegretario nel governo di Enrico Letta) alla cassa psicologi Enpap. Una serie di professionisti (commercialisti, tributaristi, notai) sono stati pescati nella natia La Spezia o al massimo a Savona. La maggior parte di queste figure liguri sono state collocate negli organi di casse che erano scaduti: una ragione di più, a nostro avviso, per non procedere a nomine all’ultimo istante, dando la sensazione di una corsa a piazzare pedine in extremis. Quanto a Speranza, attrae l’occhio la scelta dell’ex compagno di scuola Stefano Lorusso, (di cui La Verità si era già occupata) nientemeno che come direttore generale per la Programmazione sanitaria. Ad alta intensità politica la nomina di Mario Giro (già viceministro nei governi Renzi e Gentiloni) all’Istituto nazionale salute migrazione e povertà, dove Speranza ha collocato pure Paolo Fontanelli, già deputato, sindaco di Pisa e assessore regionale toscano. Significativa anche l’indicazione di Patrizia Popoli, dirigente Aifa, alla Commissione nazionale formazione continua. Pure nel caso di Speranza non manca il fattore territorio, con speciale attenzione alla natia Basilicata e alla Puglia. Da ultimo, il feudo lettiano della Fondazione Biotecnopolo di Siena. Posizioni scadute, dunque Mef e Mur avrebbero fatto bene a lasciar scegliere il futuro governo. Sono invece scattate le nomine, inclusa quella indubbiamente di alto livello del Nobel Giorgio Parisi, che è comunque di opinioni politiche di sinistra.
Un appuntamento che, nelle parole del governatore, non è solo sportivo ma anche simbolico: «Come Lombardia abbiamo fortemente voluto le Olimpiadi – ha detto – perché rappresentano una vetrina mondiale straordinaria, capace di lasciare al territorio eredità fondamentali in termini di infrastrutture, servizi e impatto culturale».
Fontana ha voluto sottolineare come l’esperienza olimpica incarni a pieno il “modello Lombardia”, fondato sulla collaborazione tra pubblico e privato e sulla capacità di trasformare le idee in progetti concreti. «I Giochi – ha spiegato – sono un esempio di questo modello di sviluppo, che parte dall’ascolto dei territori e si traduce in risultati tangibili, grazie al pragmatismo che da sempre contraddistingue la nostra regione».
Investimenti e connessioni per i territori
Secondo il presidente, l’evento rappresenta un volano per rafforzare processi già in corso: «Le Olimpiadi invernali sono l’occasione per accelerare investimenti che migliorano le connessioni con le aree montane e l’area metropolitana milanese».
Fontana ha ricordato che l’80% delle opere è già avviato, e che Milano-Cortina 2026 «sarà un laboratorio di metodo per programmare, investire e amministrare», con l’obiettivo di «rispondere ai bisogni delle comunità» e garantire «risultati duraturi e non temporanei».
Un’occasione per il turismo e il Made in Italy
Ampio spazio anche al tema dell’attrattività turistica. L’appuntamento olimpico, ha spiegato Fontana, sarà «un’occasione per mostrare al mondo le bellezze della Lombardia». Le stime parlano di 3 milioni di pernottamenti aggiuntivi nei mesi di febbraio e marzo 2026, un incremento del 50% rispetto ai livelli registrati nel biennio 2024-2025. Crescerà anche la quota di turisti stranieri, che dovrebbe passare dal 60 al 75% del totale.
Per il governatore, si tratta di una «straordinaria opportunità per le eccellenze del Made in Italy lombardo, che potranno presentarsi sulla scena internazionale in una vetrina irripetibile».
Una Smart Land per i cittadini
Fontana ha infine richiamato il valore dell’eredità olimpica, destinata a superare l’evento sportivo: «Questo percorso valorizza il dialogo tra istituzioni e la governance condivisa tra pubblico e privato, tra montagna e metropoli. La Lombardia è una Smart Land, capace di unire visione strategica e prossimità alle persone».
E ha concluso con una promessa: «Andiamo avanti nella sfida di progettare, coordinare e realizzare, sempre pensando al bene dei cittadini lombardi».
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Francesco Zambon (Getty Images)
La deposizione in mare della corona nell'esatto luogo della tragedia del 9 novembre 1971 (Esercito Italiano)
Quarantasei giovani parà della «Folgore» inghiottiti dalle acque del mar Tirreno. E con loro sei aviatori della Royal Air Force, altrettanto giovani. La sciagura aerea del 9 novembre 1971 fece così impressione che il Corriere della Sera uscì il giorno successivo con un corsivo di Dino Buzzati. Il grande giornalista e scrittore vergò alcune frasi di estrema efficacia, sconvolto da quello che fino ad oggi risulta essere il più grave incidente aereo per le Forze Armate italiane. Alle sue parole incisive e commosse lasciamo l’introduzione alla storia di una catastrofe di oltre mezzo secolo fa.
(…) Forse perché la Patria è passata di moda, anzi dà quasi fastidio a sentirla nominare e si scrive con la iniziale minuscola? E così dà fastidio la difesa della medesima Patria e tutto ciò che vi appartiene, compresi i ragazzi che indossano l’uniforme militare? (…). Buzzati lamentava la scarsa commozione degli Italiani nei confronti della morte di giovani paracadutisti, paragonandola all’eco che ebbe una tragedia del 1947 avvenuta ad Albenga in cui 43 bambini di una colonia erano morti annegati. Forti le sue parole a chiusura del pezzo: (…) Ora se ne vanno, con i sei compagni stranieri. Guardateli, se ci riuscite. Personalmente mi fanno ancora più pietà dei leggendari piccoli di Albenga. Non si disperano, non singhiozzano, non maledicono. Spalla a spalla si allontanano. Diritti, pallidi sì ma senza un tremito, a testa alta, con quel passo lieve e fermissimo che nei tempi antichi si diceva appartenesse agli eroi e che oggi sembra completamente dimenticato (…)
Non li hanno dimenticati, a oltre mezzo secolo di distanza, gli uomini della Folgore di oggi, che hanno commemorato i caduti di quella che è nota come la «tragedia della Meloria» con una cerimonia che ha coinvolto, oltre alle autorità, anche i parenti delle vittime.
La commemorazione si è conclusa con la deposizione di una corona in mare, nel punto esatto del tragico impatto, effettuata a bordo di un battello in segno di eterno ricordo e di continuità tra passato e presente.
Nelle prime ore del 9 novembre 1971, i parà del 187° Reggimento Folgore si imbarcarono sui Lockheed C-130 della Raf per partecipare ad una missione di addestramento Nato, dove avrebbero dovuto effettuare un «lancio tattico» sulla Sardegna. La tragedia si consumò poco dopo il decollo dall’aeroporto militare di Pisa-San Giusto, da dove in sequenza si stavano alzando 10 velivoli denominati convenzionalmente «Gesso». Fu uno di essi, «Gesso 5» a lanciare l’allarme dopo avere visto una fiammata sulla superficie del mare. L’aereo che lo precedeva, «Gesso 4» non rispose alla chiamata radio poiché istanti prima aveva impattato sulle acque a poca distanza dalle Secche della Meloria, circa 6 km a Nordovest di Livorno. Le operazioni di recupero dei corpi furono difficili e lunghissime, durante le quali vi fu un’altra vittima, un esperto sabotatore subacqueo del «Col Moschin», deceduto durante le operazioni. Le cause della sciagura non furono mai esattamente definite, anche se le indagini furono molto approfondite e una nave pontone di recupero rimase sul posto fino al febbraio del 1972. Si ipotizzò che l’aereo avesse colpito con la coda la superficie del mare per un errore di quota che, per le caratteristiche dell’esercitazione, doveva rimanere inizialmente molto bassa.
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