2022-09-30
Camera in tilt ancor prima di iniziare: nessuno ha riformato le commissioni
L’ostruzionismo di Pd e Leu ha impedito di correggere il regolamento. E di aggiornare le soglie numeriche alla luce del taglio dei parlamentari. Il Senato è in regola, ma la nuova maggioranza ha una gatta da pelare.Nel bailamme del totoministri, sport preferito di tutti i malati di retroscena, si sta perdendo di vista una questione non meno seria per l’efficienza del futuro governo di centrodestra. Stiamo parlando del funzionamento del Parlamento che andrà a insediarsi il prossimo 13 ottobre, su cui pende un’incognita fortissima e senza precedenti. Non è stato infatti evidenziato a dovere - complice la crisi repentina che ha portato alle dimissioni di Mario Draghi - il fatto che la diciottesima legislatura si è chiusa senza la riforma del regolamento della Camera dei deputati. Una riforma resa indispensabile dal taglio dei parlamentari e che ovviamente comporta la necessità di rivedere tutta una serie di soglie numeriche e di meccanismi. A partire dal numero delle commissioni, passando per il numero dei membri che debbono comporle, per arrivare alla delicata questione del numero minimo di deputati necessario per formare un gruppo. Ebbene, a Montecitorio, nei due anni che sono passati dall’approvazione del referendum sul taglio dei parlamentari allo scioglimento delle Camere, non sono riusciti ad approvare la revisione di un regolamento che, riformato più di 50 anni fa, anche senza l’impellenza del taglio dei parlamentari risultava già obsoleto. Tale grave mancanza, stando a quanto affermato da chi ha partecipato al tentativo di riforma e agli atti parlamentari, è da addebitarsi principalmente all’accoppiata Pd-Leu, che a inizio agosto ha declinato la proposta dei colleghi degli altri gruppi di calendarizzare una sessione ad hoc per sanare l’anomalia e arrivare alle elezioni senza lasciare il problema ai prossimi eletti. Nell’altro ramo del Parlamento i senatori sono invece riusciti a licenziare in extremis la riforma, che verosimilmente farà da guida per quello che dovranno fare i neodeputati nei primissimi giorni della nuova legislatura. Al Senato, infatti, il nuovo regolamento è intervenuto sostanzialmente su tre temi: la revisione di tutte le soglie numeriche, riducendole in misura direttamente proporzionale al taglio degli eletti (quindi circa un terzo), la riduzione delle commissioni e le norme che scoraggino i cambi di casacca. Visto che si è passati da 315 eletti a 200, d’ora in poi per formare un nuovo gruppo non servirà più un minimo di dieci senatori bensì un minimo di sei, ma per chi vorrà formare un nuovo gruppo in corso di legislatura lasciando quello con cui è stato eletto, la soglia resterà più alta (nove senatori), così come chi deciderà di cambiare gruppo dovrà decidere entro tre giorni in che gruppo approdare, pena la non iscrizione ad alcun gruppo, il che significa la non partecipazione alle riunioni degli organismi interni e soprattutto il mancato incasso dei rimborsi. Questa assurda dicotomia, con un ramo del Parlamento adeguato alla nuova composizione numerica e un altro lasciato com’è, non potrà che avere delle conseguenze politiche, finora ampiamente sottovalutate. Partiamo dalla Camera: qui si rischia il caos, perché le commissioni permanenti sono ancora 14 ma gli eletti sono ben 230 in meno della scorsa legislatura. La conseguenza più immediata è che, almeno all’inizio della legislatura, i deputati faranno fatica a completare i ranghi, con il rischio serio che provvedimenti importanti e urgenti (data anche la fase di crisi energetica che si sta attraversando) possano subire dei ritardi. Sarà impossibile - ad esempio - far lavorare le commissioni in parallelo, visto che molti deputati faranno parte di più di una commissione, e la conseguenza immediata sarà che ci saranno meno finestre disponibili per le sessioni d’Aula che prevedano delle votazioni. Allo stesso modo, la riforma portata ad approvazione a Palazzo Madama comporta delle responsabilità e un peso specifico maggiore sia per il prossimo presidente d’Assemblea che per i presidenti di commissione. In un contesto numericamente più ridotto, anche se reso più armonico dalla maggiore efficienza di Maria Elisabetta Alberti Casellati e dei suoi uffici rispetto agli omologhi della Camera, le commissioni accorpate vedranno aumentare i dossier sul tavolo e le proprie competenze. Sarà dunque importante per la nuova maggioranza di governo scegliere con cura i profili più adeguati per compiti così delicati. Senza esagerare, si può dire che i presidenti delle commissioni saranno rilevanti quasi come i ministri. Basti pensare che al Senato la legislatura aprirà con le nuove «Supercomissioni» nate dall’accorpamento delle vecchie: Esteri-Difesa, Ambiente-Lavori pubblici, Industria-Agricoltura e Lavoro-Sanità, mentre alla commissione Affari costituzionali sono state attribuite le deleghe all’editoria e alla digitalizzazione. Alla Camera, come detto, ci sarà da gestire il passaggio dal vecchio regolamento al nuovo e il prossimo presidente dovrà avere polso di fronte ai partigiani del caos, beneficiari del vuoto normativo lasciatogli in dote dalla sinistra. Ecco perché non è una cosa buona che tutta l’attenzione si stia concentrando sull’analisi e sulla scelta dei profili dei nuovi ministri, soprattutto se si considera che l’apertura del nuovo Parlamento precede l’insediamento del nuovo esecutivo e che i presidenti delle Camere dovranno essere dotati e affidabili, perché una volta eletti sono impossibili da rimpiazzare, a differenza dei ministri.
Giancarlo Tancredi (Ansa)
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