2021-05-25
Cambiare l’ordinamento giudiziario. La riforma impossibile di Mattarella
Sergio Mattarella (Getty images)
La magistratura oggi raccoglie poca fiducia tra gli italiani ma il suo potere d'interdizione è intatto. Il presidente appoggia Marta Cartabia, però non è credibile che la maggioranza si accordi sulle misure, a cominciare dal Csm«La magistratura superi le polemiche interne e sia credibile». Per un po' era stato silenzioso, Sergio Mattarella, ma finalmente ha parlato. Esattamente un anno fa, davanti allo scandalo sconvolgente delle chat dell'ex pubblico ministero Luca Palamara, e all'emersione dello squallido mercato correntizio delle nomine e promozioni di giudici e pubblici ministeri, si era limitato a dichiarare che «non ci sono le condizioni per lo scioglimento del Consiglio superiore della magistratura». Da un mese, dopo le ancor più le sconvolgenti faide interne scoppiate tra magistrati e membri togati del Csm sui verbali dell'avvocato Pietro Amara e sui misteri della loggia massonica Ungheria, il Quirinale non aveva detto molto. Ma poi, domenica 23 maggio, anniversario della strage di Capaci, il presidente della Repubblica ha parlato: basta con «contrapposizioni, contese, divisioni, polemiche che minano il prestigio e l'autorevolezza dell'ordine giudiziario» e «si affrontino sollecitamente e in maniera incisiva i progetti di riforma nelle sedi cui questo compito è affidato dalla Costituzione». I quirinalisti si sono sbracciati a sottolineare soprattutto questa parte del discorso del presidente. E a interpretarne le parole. Hanno spiegato che la parola «sedi» esclude il Csm, di cui il capo dello Stato è presidente, in quanto tutto deve essere fatto in Parlamento. Questa spiegazione-interpretazione, però, è difensiva, oltre che in parte ipocrita. Perché è poco probabile che il Parlamento vari la riforma dell'ordine giudiziario impostata dal governo di Mario Draghi. Ovvio che i partiti che lo sostengono si dicano d'accordo su processi più rapidi ed equi. Quando poi dagli aurei princìpi si passa alle ipotesi concrete, divisioni e contrapposizioni tornano irriducibili. Non per nulla, anche nel Recovery plan che a fine aprile il governo ha spedito alla Commissione europea si parla molto degli strumenti per accelerare i tempi della giustizia, civile e penale, ma poco delle grandi riforme, quelle più «divisive». Per questo, pare ovvio che Mattarella appoggi le iniziative del ministro della Giustizia, Marta Cartabia. Ma è poco credibile che la maggioranza di governo trovi unità sulle misure che dovrebbero modificare i difetti più macroscopici dell'ordinamento giudiziario, a partire dal Csm. Per questo, rinfranca sapere che Mattarella è turbato dai duelli rusticani tra magistrati e dallo scambio sommerso di verbali segreti, che nel Csm passano di mano in mano come accadeva a scuola alle figurine dell'album Panini, e poi vengono utilizzati come frecce intinte nel curaro. E conforta sentirgli affermare che «la credibilità della magistratura è imprescindibile per il positivo svolgimento della vita della Repubblica». Allo stesso modo, di fronte agli osceni mercanteggiamenti tra correnti, è consolatorio che il presidente della Repubblica alzi la voce per dire: «Provoca turbamento il solo dubbio che la giustizia possa non essere, sempre, esercitata esclusivamente in base alla legge».Però viene fatto di ricordare che, soltanto per provare a riformare il Csm, nel settembre 2015 Andrea Orlando, ministro della Giustizia del Pd, aveva varato ben due commissioni di studio: perché sei anni fa il problema dello strapotere delle correnti era già grave, e da parecchio. Malgrado quel dispiegamento di forze, però, Orlando non combinò nulla. Eppure il suo governo, guidato dal volitivo Matteo Renzi, aveva una solida maggioranza. Se si pensa al fallimento di quella riforma della giustizia (che poi è solo uno dei tanti), che cosa si può sperare possa uscire dalla maggioranza patchwork che sorregge Draghi & Cartabia?E sarà anche vero che la magistratura oggi tra gli italiani raccoglie poca fiducia (pare sia al minimo storico, il 39%, contro il 95% del 1993), ma il suo potere d'interdizione sulle riforme è intatto: due giorni fa Giuseppe Santalucia, presidente dell'Anm, l'Associazione nazionale magistrati che è il sindacato delle toghe, ha silurato il sorteggio per eleggere i membri togati del Csm, cioè l'unica strada che davvero toglierebbe potere alle correnti: «È fuori luogo e incostituzionale». Chi avrà il coraggio di proseguire? E poi i collegamenti tra la magistratura e certi partiti restano più che stretti, organici. Nicola Morra, già presidente grillino della commissione antimafia, ha appena rivelato senza problemi le sue intense frequentazioni con Piercamillo Davigo, fondatore della corrente Autonomia e indipendenza e fino a ottobre membro del Csm, e con Sebastiano Ardita, pm antimafia e ancora membro di quel Consiglio, figure definite «di riferimento» per la politica giudiziaria. Il timore, insomma, è che le frasi pronunciate per il ventinovesimo anniversario della strage di Capaci dal presidente Mattarella, in fondo, siano illusorie. Nel 1992 un magistrato onesto aveva detto: «Se l'autonomia della magistratura è in crisi, dipende anche dalla crisi che da tempo investe l'Anm, diretto alla tutela di interessi corporativi, dove le correnti si sono trasformate in macchine elettorali per il Csm». Era Giovanni Falcone.