2020-03-30
Pupi Avati: «Cambiamo i palinsesti Rai E pure quelli della nostra vita»
Il regista: «Davanti a file di camion carichi di bare va riscoperto ciò che conta davvero. La tv si liberi della dittatura dell'Auditel. E noi proviamo a fare cose mai fatte prima».Una lettera aperta provocatoria e inaspettata ha scosso la cultura italiana nei giorni scorsi: l'ha scritta il regista Pupi Avati chiedendo ai vertici della Rai di modificare i palinsesti. «Cambiamo la tv, è ora di fare crescere culturalmente il Paese», ha scritto aggiungendo: «Solo con la cultura e la bellezza potremo trovarci migliori. Perché non approfittiamo di questa così speciale opportunità per stravolgere i vecchi parametri contando sull'effetto terapeutico della bellezza?».Lei ha scritto: «È il primo periodo della mia vita in cui anziché abbracciare preferirei essere abbracciato». Perché?«È una frase che riflette questa stagione della mia vita. Appartengo a quella categoria di persone che le statistiche definiscono le più fragili, le più esposte. Quelle che numericamente sono più presenti nell'elenco dei deceduti stilato ogni giorno. Persone che muoiono nella distanza siderale dei propri congiunti, perché purtroppo, ma giustamente, non è possibile che i congiunti siano vicini nel momento dell'ultimo saluto. E tutto questo circondati da un insieme di macchine e di persone disumanizzate da quelle tute che li proteggono, da quei caschi, da quei guanti, anch'esse a loro volta prive di un contatto».È inevitabile, in queste condizioni. «Questo destino mi fa desiderare di essere abbracciato più che di abbracciare. Mi pare una cosa comprensibile e condivisibile. Ho paragonato questa età, questo stato d'animo, a quello dei bambini, che piangono e ridono con molta facilità. Aggiungiamo a tutto ciò la preoccupazione dei propri cari. Io ho due figli a Londra che non stanno bene, hanno la febbre e la tosse. Sono giovani e mi auguro che siano in grado di affrontare il virus».Un padre quando sente queste notizie se la prende con qualcuno? Con il destino piuttosto che con Boris Johnson?«Ma come faccio a prendermela con qualcuno... È qualcosa che va al di là delle responsabilità. A Londra è evidente che, almeno all'inizio, il primo ministro ha avuto un atteggiamento di sottovalutazione. Ma c'è stato anche da noi: si sarebbe dovuto anticipare, intuire che quanto succedeva in Cina poteva essere trasmesso anche qua, e organizzarsi. Ma adesso queste polemiche sono fuori luogo. Vedo questo povero governatore della Lombardia stremato, in una condizione psicologica difficile. Mi auguro che non si arrenda. Mi immagino quale possa essere lo sforzo per una persona che ha la responsabilità di un territorio preso così di punta. E faccio una riflessione che penso abbiano fatto tutti».Ovvero?«Che se l'epidemia fosse scoppiata al Sud sarebbe stata una carneficina. Già la Lombardia ha dimostrato di non essere all'altezza di uno sforzo di questo genere. Siamo in una situazione diabolica. Ma non devo dirlo io».Ha paragonato questo momento a quando, una volta, al cinema le pellicole si spezzavano e si attendeva che il proiezionista le aggiustasse.«Da bambino tenevo gli occhi chiusi in queste pause per non essere costretto a vedere quello che mi accadeva attorno e che non mi piaceva. E per essere restituito il prima possibile a quel film interrotto che mi portava finalmente in un altrove».Vuol dire che vive con gli occhi chiusi?«Certamente no. È un periodo che ognuno di noi vive con uno stato d'animo, una sensibilità e una percettività speciali. Ecco perché ho pensato che anche la bellezza potrebbe essere un conforto».Che accoglienza ha avuto la sua lettera aperta?«Il presidente della Rai mi ha risposto ed è andato anche a Porta a porta da Bruno Vespa dicendo che i palinsesti terranno conto di quanto ho segnalato. Ma è evidente che la mia richiesta è di una rivoluzione copernicana, totale».Che intende?«Vedo che ancora oggi l'unico criterio per giudicare il successo o l'insuccesso di un programma sono gli ascolti. La serata si vince o si perde in base ai parametri attraverso i quali la qualità è così tanto scaduta. Se abbiamo proposte televisive che non ci paiono all'altezza di quelle che dovrebbero essere, è perché purtroppo i palinsesti li fanno gli inserzionisti pubblicitari».Ce l'ha con l'auditel?«Non so quale altra calamità peggiore avrebbe potuto subire l'ambito cinetelevisivo. L'auditel è diventato l'unico parametro attraverso il quale gli stessi critici analizzano e valutano i programmi». Lei ha scritto che la bellezza ha un effetto terapeutico.«Non l'ho scritto io ma Dostoevskij. Credo che sia vero».Come si dispiega questo effetto?«Nel fatto che ti commuovi, ti rassereni, vedi che c'è una cosa bella che ti allontana dalle angustie. È una commozione sana e positiva, ti riconosci in una scoperta. Un'opera d'arte di qualunque genere ti porta in un altrove, stimola la parte migliore di te stesso. Può essere una poesia, un brano musicale, un'opera figurativa».Qual è il suo palinsesto ideale di un giorno sulla Rai?«Attingerei esclusivamente dalle teche Rai, a costo zero per l'azienda. Toscanini, Nureyev, Bergman, Billy Wilder, Alda Merini, Troisi, Paolo Conte, Totò. Proporrei una guida alla Camera degli sposi del Mantegna, al Cristo velato di Napoli, alla Battaglia di Anghiari dipinta da Leonardo. Sono opere fantastiche e molta gente non sa nemmeno che esistono. E senza pubblicità, naturalmente. Un insieme di cose belle, senza disarmonicità, andando a pescare in quello che c'è».Nemmeno noi abbiamo il senso della bellezza che abbiamo prodotto?«Quello che c'è, è sterminato. Il problema è che giace sotto la polvere. Così la gente riscoprirebbe che esiste dell'altro. Io rivedrei cose che vorrei riguardare, e una marea di persone vedrebbe cose mai viste e che fanno la storia e la cultura di questo Paese, e non solo di questo Paese».Che film trasmetterebbe?«Il primo sarebbe Il posto delle fragole, un film sulla vecchiaia che fa capire chi sono queste migliaia di persone anziane morte. Il film sulla vita e sulla vecchiaia più straordinario che sia mai stato fatto. Penso che la maggior parte degli italiani non l'abbiano mai visto: non è grave?».Che tipo di film aiuta a capire meglio questo periodo? Un film sul dolore?«No. Non aggiungiamo dolore al dolore, non dev'essere un palinsesto punitivo o penitenziale, ma che apra alla bellezza di una gioia misteriosa».È soddisfatto della risposta che le ha dato la Rai?«A parole, sì. Vedremo i fatti».Lei ha anche proposto una «vita di Dante» attraverso Boccaccio.«Bè, l'ho proposta nel 2002 e sono ancora in attesa di poter finalmente avere un via. Boccaccio è stato il primo biografo di Dante, dobbiamo a lui tutto quello che sappiamo sull'Alighieri. Ho un buon rapporto con Rai Cinema ma il progetto non si è ancora concretizzato. Adesso abbiamo tradotto il testo in inglese e l'abbiamo mandato ad Al Pacino per proporgli di fare Boccaccio».Come mai la Rai è così poco sensibile al suo stesso patrimonio culturale?«È l'intero Paese. Chi ci comanda è dell'idea che qualunque cosa di tipo culturale metta a repentaglio le poltrone. È evidente che fa più ascolto la Ferragni che Dante, non ho dubbi, ma bisognerebbe invertire la tendenza».E come si inverte?«Approfittando di un periodo come questo per fare capire che c'è dell'altro. È una finestra che si apre, tanto più che fare le rilevazioni auditel oggi non ha senso: non c'è mercato per la pubblicità, si compra soltanto da mangiare. In questo periodo sabbatico si potrebbe proporre cose che in altri momenti nessuno avrebbe il coraggio di mandare in onda perché sarebbero destinate ad avere ascolti molto modesti, almeno all'inizio».Ha definito questo «sterminato silenzio» come «sacro e misterioso».«Non ci siamo più abituati. Da 50 anni abito in questa casa nel centro di Roma e questo silenzio profondissimo non c'è mai stato. Mai. Ogni tanto passa una sirena». Come vive questa sospensione?«Mi nascondo nelle cose che faccio. Scrivo. È un modo per scappare via, ti nascondi nella storia che scrivi e tutte le ore che trascorro seduto nel mio studio davanti alla mia tastiera non sono qui. È per questo che suggerisco alle persone di fare cose che non hanno mai fatto. O almeno di provarci».Per esempio?«Ho ritirato fuori il clarinetto e ricominciato a esercitarmi. A 81 anni. Sembra una pazzia, e invece ha un effetto terapeutico meraviglioso. Quando comincio gli esercizi un po' più difficili e non riesco, mi arrabbio e poi m'impegno, ma sento che mi fa bene. Anche fisicamente».Che senso dà a questo periodo? «Il senso del limite, che abbiamo completamente perduto. L'essere umano ha limiti pazzeschi, siamo di una vulnerabilità che supera ogni immaginazione. Ci serve per riconsiderare le cose che veramente contano, cambiarne la gerarchia. Di fronte alla verità di quei camion militari in fila che portano le bare al crematorio, forse si spegnerà tutto questo cazzeggio superficiale di cui ci siamo nutriti e che continuiamo a proporre come se nulla fosse. Non è vero che la gente si vuole soltanto distrarre».