2024-06-02
Cambia la toga del processo sulle mascherine farlocche: Arcuri a rischio prescrizione
Il pm chiese 16 mesi per l’ex commissario, ma il trasferimento del gup dilata i tempi del procedimento. Che, per non cadere nel vuoto, deve concludersi entro il 2027.La vicenda processuale del clamoroso e discusso affare da 1,25 miliardi di euro per 800 milioni di mascherine considerate in buona parte non a norma, che vede tra gli imputati, con l’accusa di abuso d’ufficio, l’ex commissario per l’emergenza Covid Domenico Arcuri, sta diventando una storia infinita. Con il rischio, sempre più concreto, che l’intera vicenda finisca spazzata via dalla prescrizione dei reati e dalla sempre più vicina abrogazione dell’abuso d’ufficio. Eppure, neanche due mesi fa, a quattro anni dall’inizio della pandemia, e dalla firma dei contratti della maxicommessa, sembrava arrivato il momento delle prime risposte, almeno di quelle giudiziarie. Il giudice dell’udienza preliminare Mara Mattioli doveva infatti decidere se mandare a processo 14 imputati (dieci persone fisiche e quattro società o persone giuridiche), accusati a vario titolo di traffico di influenze illecite, abuso d’ufficio, autoriciclaggio, riciclaggio, frode nelle pubbliche forniture, falso ideologico (per induzione, ovvero ingannando il Cts), oltre agli illeciti amministrativi collegati ai reati commessi a vantaggio delle società. E soprattutto, avrebbe dovuto decidere se accogliere la richiesta di condanna a 16 mesi di reclusione avanzata il 15 aprile dai pm nei confronti di Arcuri, che aveva materialmente firmato i contratti con i consorzi cinesi che hanno fornito i dispositivi di protezione a un prezzo non proprio competitivo, come ha raccontato in anteprima questo giornale, svelando l’affare. Arcuri durante la complessa fase delle indagini è stato accusato anche di corruzione e peculato, contestazioni che la Procura di Roma ha successivamente ritirato. Resta quindi solo la contestazione di abuso d’ufficio, un reato che il Parlamento è in procinto di abolire. Per questo i legali dell’ex commissario ed ex ad di Invitalia sono particolarmente agguerriti. Ad aprile, la difesa di Arcuri «ha chiesto l’assoluzione perché il fatto non sussiste» dopo aver scelto per il proprio cliente, unico degli imputati, il rito abbreviato, che garantisce uno sconto di un terzo della pena e costringe il giudice a decidere sulla base delle prove raccolte durante le indagini e non su quelle formate in un pubblico dibattimento. Gli avvocati hanno specificato: «Arcuri non ha mai inteso difendersi dal processo, ma nel processo; si è sempre reso disponibile con l’autorità giudiziaria a rendere interrogatorio e a fornire chiarimenti in ogni fase delle indagini». Ma subito hanno aggiunto: «L’iter dell’udienza preliminare ha subito diversi rinvii che ne hanno prolungato la durata sino ad oggi. Nel frattempo, il Senato ha approvato in prima lettura il disegno di legge che abroga il reato di abuso d’ufficio, il cui testo è ora in discussione alla Camera. Non abbiamo mai auspicato l’intervento di una legge “salvifica” e ci batteremo per ottenere l’affermazione della piena e totale innocenza di Arcuri». La decisione del gup era attesa nell’udienza prevista il 27 maggio scorso, ma, a sorpresa, è arrivato uno spostamento di data. Che potrebbe preludere a un ulteriore lungo rallentamento, visto che il 10 giugno il gup Mattioli prenderà servizio a Latina. A meno di una sua auspicabile applicazione al processo delle mascherine, l’udienza preliminare, iniziata nel settembre 2023, continuerà con un nuovo giudice, che, nella migliore delle ipotesi, dovrà studiarsi da zero la voluminosa documentazione. Con esiti imprevedibili sullo slittamento dei tempi, e con la prescrizione che arriverà dopo 7 anni e mezzo, quindi nel 2027. Un tempo, che a meno di una calendarizzazione molto stretta delle udienze, difficilmente basterà per portare a termine tre gradi di giudizio. Il manager è accusato di abuso d’ufficio insieme con Antonio Fabbrocini, suo storico braccio destro in Invitalia e Responsabile unico del procedimento per le forniture sotto esame, e Andrea Tommasi, la mente dell’operazione. Un reato che sarebbe stato commesso «in concorso e con mutuo accordo» con lo stesso Tommasi. Le violazioni contestate sono numerose: per esempio non sarebbe stata rispettata la vecchia norma che impone alla pubblica amministrazione di stipulare i contratti nella forma scritta, cosa che per la mediazione non sarebbe accaduta, come non ci sarebbe stato il rendiconto delle spese della struttura commissariale coperte dal Fondo speciale costituito presso la presidenza del Consiglio dei ministri.