2025-08-03
Calenda, il risolutore (a parole) che cerca un posto al sole a destra
Carlo Calenda (Imagoeconomica)
Dispensa proposte su ogni problema, gioca con l’opposizione ma bussa al governo.Quando il Paese tace, Carlo Calenda parla. Quando tutti rallentano, lui accelera.È una strategia che, se non paga in voti, paga almeno in visibilità. Calenda lo ha capito benissimo: in un’epoca in cui esistere mediaticamente conta più che contare politicamente, lui si assicura di essere sempre presente. Ogni giorno è buono per rilasciare una dichiarazione roboante, un cinguettio al vetriolo, un’apparizione in tv dove alterna l’immagine del manager indignato a quella dell’accademico dei Lincei, con quella punta di superiorità che è la sua cifra. Si sa, ogni patria ha bisogno del suo salvatore. E noi abbiamo lui: l’uomo «di centro» per definizione, moderato per autoproclamazione, riformista per autodefinizione e compiacimento.Ha la soluzione pronta per tutto, dal conflitto in Ucraina ai dazi trumpiani, passando per il salario minimo, i trasporti in Calabria e il destino dell’Occidente. Dà continuamente lezioni pubbliche di politica economica dall’alto della sua cattedra immaginaria, dimenticando la sua gestione non proprio idilliaca da ministro dello Sviluppo economico: crisi industriali irrisolte come Embraco, Alcoa e Ilva, Sud e Pmi completamente lasciati indietro. La coerenza, dopotutto, non è mai stata di casa (nemmeno a Capalbio). In mezzo a questo profluvio di dichiarazioni sulla qualunque e a un ego inversamente proporzionale ai risultati elettorali, una domanda sorge spontanea: ma chi lo ascolta, davvero, Calenda? Eppure, per quanto sembri assurdo, qualcuno il credito glielo dà. La strategia del centrista serio, dell’esperto di tutto, dell’avversario «corretto» ma pronto all’assalto verbale quando serve, sembra pagare soprattutto a destra. Giulio Andreotti diceva: «Sono di statura media, ma non vedo giganti intorno a me». Calenda, pur non essendo propriamente un gigante, preferisce forse cercare fortune altrove. E così, mentre il campo progressista continua a inseguire formule e fallimenti, lui si fa trovare pronto a tendere più di una mano al governo. Una mano signorile, si intende, ma sempre più frequente. E sempre più complice.Perché, diciamolo: Calenda non gioca per l’opposizione. Gioca una partita tutta sua. Non vuole sfidare davvero il governo, preferirebbe (chissà, magari alle prossime elezioni comunali romane) potersi sedere accanto. Magari nel salotto buono del centrodestra, con l’aria dell’aristocratico d’un tempo che si spinge nei quartieri popolari per risolverne i problemi. E la maggioranza? Non lo respinge e lui continua a mettersi in vetrina: un giorno in versione liberal, un altro in versione neo-statalista. Calenda è il perfetto jolly da talk show: rumoroso, plastico e buono per tutte le stagioni.Non a caso, attacca il Pd, Giuseppe Conte, i suoi ex alleati, la sinistra intera. Ma con il governo, salvo qualche teatrino retorico, il tono resta sempre sorprendentemente morbido. Mai uno scontro vero, mai una linea chiara. Solo piccoli assaggi di dissenso, quanto basta per sembrare «autonomo».E allora la vera domanda è questa: Calenda vuole costruire un’alternativa? O sta solo bussando sperando che prima o poi qualcuno lo faccia accomodare? Delle due possibilità, la seconda è certamente la più convincente.
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Donald Trump (Getty Images)
Donald Trump (Getty Images)
Andrea Crisanti (Imagoeconomica)