2025-01-05
«Un milione di posti di lavoro in più anche grazie alla riforma del Rdc»
Marina Calderone (Imagoeconomica)
Il ministro Marina Calderone: «Con l’addio alla logica dell’assistenzialismo possiamo raggiungere questo obiettivo. I sindacalisti politicizzati fanno più danni all’opposizione. Servono risorse Ue per riconvertire il personale dell’indotto auto».L’obiettivo di creare un milione di posti lavoro, la consapevolezza che sulla questione salariale la direzione imboccata è quella giusta ma c’è ancora tanta strada da fare e la necessità di spingere sulla previdenza complementare, perché senza il secondo pilastro gli assegni pensionistici dei più giovani rischiano di essere da fame. In questa chiacchierata con La Verità il ministro del Lavoro Marina Calderone si divide tra bilanci sul 2024 e prospettive per il nuovo anno, tenendo ferma la cifra della prudenza che ha contraddistinto la sua azione più da tecnico che non da politico.Cominciamo dalle note positive. I dati sull’occupazione sono un fiore all’occhiello di questo governo, cosa risponde all’opposizione che lamenta l’eccesso di precarietà? «Anche il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel suo discorso di fine anno ha sottolineato i dati positivi sull’occupazione. Ovviamente c’è sempre da migliorare per quanto concerne il lavoro stabile, quello femminile e quello giovanile. Ma siamo fieri - come governo - di aver raggiunto il massimo tasso di occupazione nella storia d’Italia». Secondo le proiezioni di Unioncamere, nel 2025 il governo supererà il milione di posti di lavoro creati nei tre anni di governo Meloni (siamo a quota 830.000). Ce lo può confermare? «Noi siamo sempre molto prudenti e parliamo solo sui dati consolidati. Di sicuro l’obiettivo è creare oltre un milione di nuovi posti nell’arco della legislatura e i dati ci fanno ben sperare».In Italia e non da adesso c’è un problema di bassi salari. Perché la ricetta del salario minimo non la convince? «È una proposta che forse “funziona” da un punto di vista della comunicazione, ma che avrebbe una portata limitata: riguarderebbe pochi lavoratori, certamente meritevoli di attenzione, ma penso sempre che la strada maestra sia la contrattazione tra le parti sociali, sia di primo che di secondo livello. Il salario minimo non è lo strumento adatto per fare crescere gli stipendi, perché riduce gli spazi reali di contrattazione sulle retribuzioni. I sindacati lo sanno».Per aumentare i salari puntate sul rinnovo dei contratti e l’incremento della produttività. I buoni risultati sono dimostrati anche dall’aumento del gettito fiscale. Ma bisogna accelerare. «Ci sono dei limiti strutturali del sistema Paese che non si superano con la bacchetta magica. Serve tempo ma i dati - come quelli del gettito fiscale - sono incoraggianti. Proprio questi numeri ci dimostrano che la collaborazione tra le parti sociali aiuta i lavoratori ad avere buste paghe più pesanti e le imprese sulla produttività».Ecco, appunto. Da Cgil e Uil non sembra arrivare una grande collaborazione. «La conflittualità sindacale storicamente non aiuta i lavoratori e nel lungo termine nemmeno i sindacalisti».Landini e Bombardieri fanno scioperi a priori contro la manovra e seguono una logica anti-governativa a prescindere. Sembrano fare più politica che attività sindacale. «Autorevoli esponenti delle opposizioni hanno messo in evidenza il ruolo esclusivamente “politico” di taluni esponenti dei sindacati, che tra le altre cose mi sembra mettano in difficoltà soprattutto il campo delle opposizioni. Tecnicamente mi limito a dire che sui tavoli concreti ho sempre trovato grande disponibilità al dialogo. Poi, certo, davanti le telecamere vediamo un altro film. Ci sta. Fa parte del gioco democratico».Strano poi che lo stesso Landini faccia molta fatica a criticare la strategia degli Elkann e di Stellantis in Italia».«Non entro nei percorsi politici individuali o nelle strategie di forza politiche in costruzione o in divenire. Ho letto anche su questo tema un grande dibattito all’interno delle opposizioni e ho apprezzato il coraggio di alcune dichiarazioni di chi non appoggia questo governo ma ha l’onestà intellettuale di analizzare la situazione in maniera obiettiva. Poi ci sono i tavoli concreti e su questi tavoli il clima è sempre diverso...». A proposito di cose concrete, il limite dei 3.000 euro per la detassazione al 5% dei premi di produttività, che sta avendo buoni risultati, non può essere superato? «Come al solito le risorse pubbliche non sono infinite e quindi dobbiamo confrontarci con il principio di realtà, un elemento che ha reso molto apprezzato il governo in Europa. Ovviamente cercheremo spazi di manovra ulteriori per agire ancora sulla detassazione dei premi di risultato». Torniamo su Stellantis, è uno dei grandi punti interrogativi per il 2025 del mondo del lavoro. Lei ha partecipato all’ultimo vertice con Imparato (responsabile Europa), si fida delle garanzie del manager sui posti di lavoro in Italia? «Su Stellantis abbiamo recentemente fatto un tavolo molto importante con Urso e Giorgetti. In quella sede i sindacati sono stati molto collaborativi, sottolineando il cambio di passo dell’azienda rispetto al passato. Noi dobbiamo fidarci di un piano molto concreto, stabilimento per stabilimento, e al contempo dobbiamo sfidare Stellantis a fare di più. Il comparto automotive è strategico per l’Italia e l’indotto merita le massime attenzioni. Il ministero del Lavoro non si tirerà indietro».Che poi il vero grande rischio occupazionale riguarda l’indotto auto? Servono politiche di formazione e riqualificazione perché è chiaro che chi lavora nella componentistica tradizionale dovrà riconvertirsi. Cosa state facendo? «Sì, indubbiamente l’indotto è il settore più a rischio, con la transizione energetica e le strategie aziendali che puntano a internalizzare quasi tutta la filiera di produzione. Serve una strategia europea sul punto, la chiedono anche i governi di sinistra, servono risorse europee e serve anche una visione territoriale per riconvertire forza lavoro e imprese molto qualificate. Non sarà un percorso semplice né breve, ma gli strumenti ci sono e sulle politiche attive stiamo lavorando tantissimo».Per esempio? «Stiamo attuando una completa digitalizzazione attraverso il sistema Siisl (riguarda anche la formazione ndr) che permette di scegliere le agenzie del lavoro pubbliche o private, attuando così il principio di condizionalità. Sarà possibile trovare in rete tutte le offerte e le domande di lavoro. L’applicazione verrà presto implementata anche dall’intelligenza artificiale».Un bilancio sull’addio al reddito di cittadinanza. I numeri dicono che si è ridotto il supporto alla povertà o che persone che prima venivano sussidiate senza averne reale bisogno sono state costrette a trovarsi un lavoro? «La migliore risposta a questa domanda la trova nei dati sull’occupazione. Quando sono arrivata al ministero il primo dossier sul tavolo era il superamento del reddito di cittadinanza. Lo abbiamo superato senza “rivolte sociali” e anzi abbiamo accompagnato tante persone verso il mondo del lavoro. I numeri ci dicono proprio questo: siamo passati dall’assistenzialismo al lavoro. Ovviamente abbiamo tutelato le persone più fragili, che meritano sempre una particolare attenzione dello Stato».Un’ultima sulle pensioni. Questo governo sembra puntare molto sulla previdenza complementare per integrare l’assegno che per migliaia di giovani rischia di essere molto magro. Perché credete che un sistema che non è mai decollato adesso possa crescere? «Noi dobbiamo guardare alle dinamiche demografiche in corso e al progressivo aumento della popolazione anziana. Non possiamo fare domani le stesse cose che facevamo ieri. La previdenza complementare è un supporto ulteriore al trattamento pensionistico e svolge anche una funzione educativa per una sana e libera cultura del risparmio».
Francesco Nicodemo (Imagoeconomica)
(Ansa)
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