2020-06-14
Sotto la fuffa Conte prende ordini
A Villa Pamphili show di Giuseppi tra dichiarazioni «green» e tante chiacchiere. Intanto l'Ue, mentre regala la passerella al premier, avanza le sue richieste: più eurotasse e riforme pro Germania subito. I soldi del Recovery fund? Forse dal 2021. Il Pd soffre il protagonismo del premier (ancora contestato) ma si trova con le mani legate. Bisogna prendere atto che gli Stati generali si sono trasformati. Da semplice passerella a operazione politica vera e propria. E lasciateci dire, il demerito non è di Giuseppe Conte. Infatti per comprendere la partita di scambio tra Ue e sopravvivenza dell'esecutivo non servono particolari informazioni d'intelligence. Basta leggere gli interventi dei rappresentanti di Bruxelles per capire come andrà a finire. Il premier terminerà la settimana di pseudo lavori con un'agenda di riforme e di investimenti apparentemente non suggerita dall'Unione europea. La presenterà agli stakeholder (le parti sociali, come ama ora chiamarle) e in cambio riceverà l'approvazione di Bruxelles. Al motto: finalmente le riforme le fa l'Italia di sua sponte, così si colgono le opportunità del Covid. Un gioco delle parti che non viene nemmeno occultato. Basta prendere due passaggi dello speech del presidente dell'Europarlamento, David Sassoli. «La proposta del Recovery fund modifica radicalmente le dinamiche fra governi nazionali e Bruxelles. Se prima era la Commissione a indicare ai governi come utilizzare i fondi, oggi i termini del meccanismo si sono invertiti», ha detto ieri. Salvo pochi istanti dopo spiegare che: «Ora i governi sono chiamati a una maggiore responsabilità dando prova della loro capacità di programmazione. [...] Ricordo che i fondi che arriveranno nelle casse nazionali saranno pubblici e non sarà ammissibile la perdita o lo spreco di questo denaro. La capacità di spesa dovrà aumentare considerevolmente. E i Paesi che hanno difficoltà nella progettazione ordinaria dovranno rapidamente modificare le loro procedure», ha aggiunto. Due frasi che nella loro lettura superficiale appaiono ineccepibili. Punto primo, il denaro pubblico non si spreca. Punto secondo, il Paese è ultra indebitato. Punto terzo, gli investimenti devono essere produttivi. Nessuna obiezione, ovviamente. Ma è la lettura in profondità che deve far drizzare le antenne. «I fondi che arriveranno nelle casse nazionali sono pubblici», ha detto Sassoli. In realtà i fondi non arrivano, ma sono pubblici alla fonte. In quanto il Recovery fund non è una donazione ma nuovo debito che sarà ripagato dai cittadini italiani con nuova fiscalità. «La capacità di spesa dovrà aumentare sensibilmente», ha aggiunto, facendo capire che è arrivato il momento di stilare un'agenda di governo che impegnerà non l'attuale esecutivo, ma i prossimi per almeno una decina d'anni. Insomma, sotto la fuffa degli Stati generali, Conte prende palesemente ordini pur di farsi legittimare ancora premier e superare l'assalto tutto interno alla maggioranza. L'ala ex democristiana e margheritina del Pd vuole metterlo all'angolo per evitare di scomparire dentro al Nazareno e farsi fagocitare dall'altra ala che vede in Massimo D'Alema il referente. In mezzo alle tensioni e al dissolvimento dei 5 stelle ci può scappare un rimpasto di governo. Gli ambienti vicini al Colle non sarebbero contrari a priori, purché non sfoci in un pericolo. Cioè, purché non porti le elezioni. Eventualità che fa rabbrividire la Commissione Ue di cui ora il piddino Paolo Gentiloni incarna in pieno la filosofia. Di fronte al timore di nuove elezione, Bruxelles è pronta a far di tutto pur di evitare il ritorno di Matteo Salvini. Persino dipingere Conte come uno statista e accorrere al suo capezzale, con il rischio di spaccare il Pd. Entro fine mese sapremo come finirà la battaglia politica. Ma il problema per gli italiani è un altro. I progetti che usciranno dagli Stati generali ci costeranno cari da un punto di vista democratico, da un punto di vista di bilancio e pure da un punto di vista industriale. Innanzitutto si decide il futuro del Paese al di fuori del Parlamento. «Nell'ambito di questo progetto rientra anche l'investimento nella bellezza del nostro Paese», ha detto il premier nel suo intervento introduttivo. Uno slogan che non funziona nemmeno sotto vuoto e che farà irritare le centinaia di migliaia di persone che hanno perso il posto di lavoro. Ma soprattutto è uno slogan che nasconde altri progetti: la «modernizzazione del Paese», la «transizione ecologica» e «inclusione sociale, territoriale e di genere». Sarebbero i «tre pilastri» del rilancio dell'Italia, secondo le parole di Conte. Ma è bene dire subito che i soldi del Recovery fund (che dovrebbero essere il motore degli investimenti) non ci sono e non arriveranno prima della fine del 2021. Dire che arriveranno prima è un bluff. Ma se gli impegni di bilancio e di deficit vengono presi subito, l'eredità non ricadrà solo sul prossimo governo, ma su tutti quelli che seguiranno almeno fino al 2030. Si parla di 172 miliardi contenuti nel Recovery plan, più di 80 di loans e gli altri ripagabili con le tasse. Le condizioni sottostanti sono la nuova forma di Troika. Come nel caso dell'unione bancaria, le spese per gli investimenti anche per le partecipate pubbliche e i colossi della Difesa c'è il rischio che debbano in futuro essere condivise con Bruxelles ed è facile capire chi deciderà gli indirizzi: Germania e Francia.Non bisogna farsi ingannare dagli appelli di unità nazionale e a nostro avviso bene ha fatto il centro destra non presentarsi a Villa Pamphili (se avesse potuto non ci sarebbe andato nemmeno il Pd). «Se riuscirò a portare a casa il Recovery fund che prevede ingenti risorse, sarà una vittoria», ha detto sempre ieri Conte ma per questo «rivolgo ai partiti di opposizione un appello: c'è ancora da lavorare su questo progetto, diano una mano con Paesi Visegrad nell'interesse nazionale». Non è così. Il gruppo di Visegrad è fatto da governi le cui forze politiche sono, in Ue, alleate di Pd e Forza Italia: semmai spetterà a loro convincerli. Soprattutto, non sappiamo se il Covid sia finito, ma non deve essere usato come scusa per un governo di unità nazionale. Contribuirebbe a impegnare il Paese per il prossimo decennio.