2025-07-24
Bruxelles come Tokyo. Vicina un’intesa con gli Stati Uniti per dazi al 15%
Ursula von der Leyen, President of the European Commissio, European Council President Antonio Costa with Japanese Prime Minister Ishiba Shigeru (Ansa)
Secondo il «Ft» l’ultima parola spetta a Trump. L’Unione pronta a capitolare, ma ancora minaccia ritorsioni in caso di «no deal».Stati Uniti e Ue sono vicini a un accordo sui dazi al 15%. L’indiscrezione è stata rilanciata dal Financial Times dopo il colloquio tra il commissario europeo al Commercio, Maros Sefcovic, con il segretario al Commercio americano, Howard Lutnick. Da Bruxelles invece le fonti sono più caute, ovvero che il negoziato sta andando avanti sul 15% e con esenzioni da definire. La piattaforma prevede la clausola Nmf, cioè della nazione più favorita, che corrisponde a una media del 4,8% per gli scambi commerciali Ue-Usa. L’Europa potrebbe a sua volta ridurre i suoi dazi alla tariffa Nmf o allo 0% per alcuni prodotti. La decisione finale spetta comunque al presidente americano Donald Trump, che ieri ha rincarato la dose delle minacce: «Abbasserò i dazi solo se un Paese accetta di aprire il suo mercato agli Usa. In caso contrario saranno molto più alti».Non si è ancora alla quadratura del cerchio, tant’è che, come ha comunicato una fonte diplomatica, l’arma dell’anti-coercizione, cioè i contro dazi, è ancora sul tavolo. È una soluzione estrema, in caso di mancato accordo, che vede il consenso, sempre secondo le indiscrezioni, di un’ampia maggioranza qualificata. La Commissione avrebbe condiviso una scheda informativa sui passi da compiere nella preparazione della procedura per l’anti-coercizione. Al momento solo la Francia ha chiesto l’istituzione immediata di questo strumento. La lista dei contro-dazi del 30% sui prodotti americani, è pronta. È un elenco del valore complessivo di 93 miliardi di euro, che va ad accorpare le due precedenti liste presentate da palazzo Berlaymont, rispettivamente di 21 e 72 miliardi di euro. L’agenzia Bloomberg parla addirittura di un provvedimento ancora più duro, cioè tariffe al 30% su 100 miliardi di merci a stelle e strisce. «La priorità è negoziare, ma stiamo lavorando a contromisure che comunque non entreranno in vigore fino al 7 di agosto», ha sottolineato il portavoce della Commissione europea Olof Gill.Un’ostentazione di muscoli che non ha provocato alcuna reazione da Washington. Anzi, il segretario al Tesoro, Scott Bessent, ha minimizzato limitandosi a dire che «è una tattica negoziale, ed è quello che avrei fatto anch’io al posto loro».I rumors sullo stato di avanzamento della trattativa sono arrivati nel tardo pomeriggio mentre ancora rimbalzavano i commenti del risultato raggiunto da Tokyo e a conclusione del summit Giappone-Ue al quale ha partecipato la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. La giornata si è aperta con una valanga di agenzie dal titolo secco: «Accordo raggiunto tra Usa e Giappone», «Il Giappone apre il suo mercato agli Usa per la prima volta». Tokyo, con la determinazione e il pragmatismo orientali, ha accelerato mettendo a segno un risultato che è stato subito interpretato dai mercati, tutti in positivo, come l’unica soluzione onorevole per entrambi gli interlocutori e un apripista per la Ue. La formula è quella che il presidente americano Trump ha suggerito sin dall’inizio della strategia dei dazi: ovvero tariffe ridotte in cambio di maggiori investimenti negli Stati Uniti. L’accordo raggiunto tra Tokyo e Washington prevede infatti il taglio drastico dal 25 al 15% dei dazi voluti dalla Casa Bianca (va ricordato che il Giappone è il principale alleato asiatico degli Stati Uniti) e, in cambio, investimenti negli Usa fino a un massimo di 550 miliardi di dollari. Nell’intesa è incluso anche il settore dell’automotive, che da solo vale un quarto dell’export nipponico verso gli States ed è uno dei principali «responsabili» del surplus commerciale giapponese verso Washington. Il primo ministro giapponese, Shigeru Ishiba, ha spiegato che l’intesa prevede «prestiti e garanzie da parte delle istituzioni affiliate al nostro governo per consentire alle aziende giapponesi di costruire catene di approvvigionamento resilienti in settori chiave come i prodotti farmaceutici e i semiconduttori». Non è stato affrontato il nodo della debolezza dello yen, perché si è convenuto di trattarlo separatamente dalle tariffe. Il Giappone, su questo tema, parte da una posizione di forza in quanto detiene oltre 1.100 miliardi di dollari di debito Usa, più di ogni altro Paese al mondo. Ursula von der Leyen, colta di sorpresa dalla notizia dell’accordo, non si è sbilanciata sul negoziato europeo, limitandosi a congratularsi con i vertici giapponesi.Messo a segno il risultato con Tokyo, Trump ora può davvero mettere l’Ue nell’angolo. «Per la prima volta il Giappone apre il suo mercato agli Stati Uniti, persino ad auto, Suv, camion, persino all’agricoltura e al riso, che è sempre stato un no assoluto», ha scritto il presidente americano su Truth. «Il libero mercato giapponese potrebbe essere un fattore di profitto tanto importante quanto i dazi, ed è stato ottenuto solo grazie al potere delle tariffe. Hanno anche accettato di acquistare miliardi di dollari in equipaggiamenti militari e di altro tipo».Il segretario al Tesoro statunitense, Scott Bessent, è stato più esplicito: «La Ue prenda spunto dalla proposta del Giappone».