2022-06-09
Il branco del Garda dilaga ovunque perché abbiamo ucciso il padre
Il pater è la figura simbolica che fissa i confini e detta legge, strappandoci dalla ricerca sregolata dei piaceri. I giovani delle nostre banlieue sono figli di una società che conosce solo i desideri e disprezza ogni limite.Per anni fior di esperti hanno ragionato sulla cosiddetta «evaporazione del padre». Sono stati scritti libri e prodotti (a destra ma pure a sinistra) grattacieli di articoli. Alcuni intellettuali hanno provato ad avanzare il tema della femminilizzazione della società occidentale, e il più delle volte sono stati ferocemente attaccati o, peggio, completamente ignorati dai colleghi più progressisti. Si sono spese tonnellate di carta per denunciare la drammatica mancanza di insegnanti maschi nelle scuole di ogni ordine e grado. E, di nuovo, salvo qualche polemichetta a mezzo stampa, l’argomento è passato in cavalleria. Ebbene, oggi paghiamo con gli interessi questa amara sottovalutazione.Di fronte allo sconcerto suscitato dalla scorreria africana di Peschiera del Garda, c’è chi ripete, con riflesso pavloviano, che servono più fondi per l’integrazione. Chi s’affanna a dare la colpa ai disastri della scuola. Chi prende di mira i social network e i gruppi costituiti online. Tutti, al solito, si interrogano e cercano spiegazioni le più articolate. Ci sarà di sicuro anche chi tirerà in ballo la mascolinità tossica e suggerirà di organizzare corsi di educazione sentimentale e sessuale a beneficio degli adolescenti magrebini, che ne trarranno sicuro giovamento. Il fatto è che si possono elaborare tutte le balzane teorie che si vogliono, ma è inevitabile rintracciare in quell’orgia violenta i frutti di decenni e decenni di soppressione del padre da parte dell’Occidente moderno.Stiamo parlando, ovviamente, del padre come principio, archetipo, e non soltanto come persona fisica. Direte: che c’entra la mancanza del padre con un’orda di ragazzetti che sbraita, picchia, molesta e spacca a tutto andare in una bella cittadina italiana? Cerchiamo di spiegare.Il padre è - o meglio dovrebbe essere - colui che ha il compito di fissare le regole, ovvero di disegnare i limiti all’interno dei quali si muoveranno in libertà i figli. In buona sostanza, il padre è colui che traccia i confini. Poiché nella società occidentale il padre è stato esautorato, i confini non valgono più nulla. È stato ripetuto fin troppe volte: l’assenza di limiti e confini è uno dei dogmi del neoliberismo. In questo sistema, gli uomini devono poter circolare liberamente ovunque esattamente come le merci, e poco importa se poi la differenza tra uomo e merce va sfumando. Tutti i confini devono saltare: quelli fra gli Stati, ma anche fra le età, fra le culture, perfino fra i sessi.La società materna è quella in cui prevale «l’accoglienza del femminile», peccato che si tratti di un femminile perverso, che invece di curare i figli li divora. L’accoglienza per anni è stata il dogma, e ha prodotto il mortifero sistema di migrazione di massa, del quale le seconde e terze e quarte generazioni di immigrati sradicati sono il frutto guasto. Per farla breve: niente immigrazione di massa, niente razzie nelle città da parte di giovani esagitati.Solo che i flussi sregolati ormai li subiamo da anni, e la mancanza del padre complica ulteriormente la situazione. Una società senza padre, infatti, non è in grado di difendere la propria patria. «L’espressione “patria”», sosteneva Giovanni Paolo II, «si collega con il concetto e con la realtà di padre (pater). La patria in un certo senso si identifica con il patrimonio, cioè con l’insieme di beni che abbiamo ricevuto in retaggio dai nostri padri».Se il padre svanisce o evapora, non rimane più nulla da conservare. Dunque si smette di prendersi cura della patria: spesso non lo fanno i giovani italiani, figuriamoci se possono farlo i giovani stranieri. I quali, anzi, questa patria la detestano, non la sentono propria, la depredano come fa il figlio ubriacone con la vecchia madre sofferente.A questo punto entra in gioco un altro aspetto della questione. I confini tracciati dal padre non sono soltanto fisici, ma anche simbolici, vanno assolutamente rispettati: la violazione del confine, la dismisura, suscita quasi sempre una brutale reazione avversa. Come ha scritto Frank Furedi, sono proprio i confini a renderci quello che siamo. «I confini», ha spiegato il celebre sociologo, «non sono soltanto realtà fisiche e geografiche, hanno anche una forte rilevanza simbolica, grazie alla quale le comunità acquisiscono consapevolezza di sé stesse e del senso della loro esistenza. […] Quando i confini simbolici perdono di significato, si arriva a una crisi culturale. Senza la guida offerta dalle frontiere simboliche, per i giovani è difficile compiere la transizione verso l’età adulta».Tradotto: senza un padre che fissa i limiti, si rimane sempre bambini. E i bambini troppo cresciuti e troppo pretenziosi, si sa, spesso diventano rabbiosi, crudeli, violenti. Sono in preda a desideri sfrenati e vogliono esaudirli: tutti e subito. Esattamente come i giovani che si sono dati appuntamento a Peschiera per devastare qualunque cosa si trovassero sottomano. Non si tratta, badate, di un caso isolato. Ma di un fenomeno in corso da tempo. Abbiamo visto analoghi scempi a Torino, a San Siro, a Brescia e in numerose altre città, non soltanto nelle «periferie».Eccoli qui: i bambini sperduti, senza appartenenza, senza limiti, in preda al desiderio che ringhia. Non c’è autorità che li intimidisca. Anche perché - siamo sempre lì - la scomparsa del padre segna il crollo della dimensione verticale, e quindi dell’autorità. Non c’è professore, agente di polizia o adulto che tenga. Gli imberbi teppisti non rispettano nessuno e spaventano chiunque. Oddio, a ben vedere qualcuno che essi rispettino c’è: il capo della gang. Il più forte, il più ricco, il più cattivo. Non è affatto un caso che oggi l’esaltazione del gangster vada per la maggiore in canzoni e serie tv.Sembra un quadro disastroso, ma proprio quest’ultima fascinazione per la gerarchia criminale rappresenta una speranza. Il fatto di ricercare un ordine verticale, seppur criminale e deviato, significa che i giovani - immigrati e italiani - sentono in profondità il bisogno di una figura che li guidi, di un padre che tracci i limiti, di una patria la quale non si limiti ad accoglierli, ma li renda uomini (cioè, nel caso dei migranti, autosufficienti e non dipendenti dall’elemosina pubblica). Pur nel buio della disperazione, insomma, si può vedere qualche segno di ciò che Claudio Risé, nel suo nuovo e splendido saggio edito da San Paolo, chiama Il ritorno del padre.Sì, dopo anni di Stato-mamma che tiene i figli allacciati alla mammella, dopo anni di sregolata assenza di verticalità e confini, insomma dopo l’evaporazione del padre, una fiammella risplende di nuovo. È solo consentendo il ritorno sulla scena del padre - con le sue regole, le sue asprezze ma pure la sua forza buona - che riusciremo a eliminare una volta per tutte situazioni come quelle viste a Peschiera. Ma sembra che ogni volta ci ostiniamo a cercare soluzioni da madre snaturata: giustifichiamo, nascondiamo, crediamo di risolvere allungando di nascosto una caramella. Intanto, il quadro peggiora sempre più, e non stupisce: se il padre muore, muore anche la civiltà. Anche se qualcuno pensa di salvarla con l’utero in affitto o l’importazione di uomini.
Jose Mourinho (Getty Images)