2024-05-22
Botte da orbi tra compagni per chi è più filo palestinese
Seconda rissa in pochi giorni tra gli accampati nell’università e i «duri e puri» venuti da fuori. Fra tragicomici scambi di accuse («sionisti», «capitalisti») sono volati calci e pugni. Il tutto a scapito di chi vorrebbe studiare.Per la seconda volta in pochi giorni, ieri all’Università Statale di Milano si è assistito a un nuovo scontro tra i militanti di Lotta comunista e gli studenti accampati per Gaza, entrambi appartenenti alle frange dell’estrema sinistra. Delirio che si aggiunge al delirio, perché è ormai da diversi giorni che gli spazi pubblici dell’ateneo sono invasi dalle tende dei «pro Pal». In rete è circolato un video in cui si vedono persone scontrarsi fisicamente con pugni e calci nell’atrio vicino all’aula magna, sede dell’acampada. Un luogo di studio e di cultura, dentro un palazzo del Cinquecento, ridotto ad accampamento e terreno di scontro tra fazioni di comunisti o presunti tali. «Non volevano vendere nessun giornale, sono venuti ad attaccarci», hanno detto gli universitari accampati. Secondo la loro versione, i militanti di Lotta comunista avrebbero tentato di distribuire volantini, ma dopo essere stati invitati ad allontanarsi avrebbero aggredito alcuni occupanti dell’acampada, mandando anche qualche ragazzo al pronto soccorso.La tendopoli ha avuto inizio lo scorso 10 maggio, ma l’attività degli studenti che credono di difendere in questo modo i diritti dei palestinesi non si ferma qua. La lotta passa attraverso scritte contro lo Stato e le forze dell’ordine («Morte allo Stato», «Colpire al cuore dello Stato», «+ sbirri morti»), accanto ad altre più al passo coi tempi come «Queer power», cui si aggiungono bestemmie e simboli anarchici. Insomma, un vero e proprio manifesto di pace.Fluidità e rivoluzione, per rivisitare un libro che andava di moda tra i sessantottini che questi giovani cercano di scimmiottare. All’ingresso del cortile principale, si trova uno striscione che recita: «No al reclutamento degli studentx (non è un refuso, ndr) nell’esercitazione militare Mare Aperto». L’accostamento dell’ideologia gender ad Hamas, o anche più in generale ai palestinesi, risulta uno dei cortocircuiti più tragicomici mai visti. La dinamica della rissa di ieri è simile a quella dei giorni scorsi: un gruppo di militanti di Lotta comunista, esterni all’ateneo, si è addentrato nell’atrio della Statale e poco dopo si è giunti allo scontro fisico con gli studenti in protesta per Gaza. All’origine del dissidio pare vi siano punti di vista differenti sulla questione palestinese, perché si sa che la sinistra, specialmente quella estrema, ha una passione congenita per le divisioni. Probabilmente secondo gli esponenti di Lotta comunista, che si considerano marxisti ortodossi, Hamas e Israele sarebbero due facce della stessa medaglia, ossia il potere capitalista. Inoltre, Hamas è considerato di estrema destra e anticomunista, mentre loro, comunisti puri, sono contro ogni forma di religione (etichettata da Karl Marx come «oppio dei popoli»). E dunque rifiutano l’islamizzazione della causa palestinese. Gli acampados, quindi, sarebbero rei di inquinare l’autentico movimento marxista con un’istanza non solo religiosa ma anche nazional-statale. Ecco perché si tratterebbe, secondo i puristi, di una battaglia borghese, mentre invece il loro internazionalismo prevede che siano le classi operaie, indipendentemente dall’etnia e dallo Stato di appartenenza, a doversi unire. D’altra parte, il silenzio assordante degli stessi mentre le politiche pandemiche limitavano il loro diritto allo studio rappresenta una macchia indelebile alla loro credibilità. In ogni caso, verso le 19 gli accampati hanno fatto partire un corteo, denunciando di essere stati aggrediti da gruppi sionisti. Al megafono hanno parlato di lotta al sionismo non solo in Palestina, ma anche qui in Italia, per poi dare il via a cori come «Via, via sionisti e polizia».Il rettore uscente Elio Franzini ha convocato nei giorni scorsi una delegazione di manifestanti accampati per chiedere la fine dell’occupazione. In una nota dell’università, si legge che egli «ha rappresentato agli studenti la sua ferma condanna degli atti di vandalismo e di aggressione verbale, nonché della occupazione di spazi interni dell’ateneo che, oltre ad essere fuori da ogni legalità, sta minando l’ordinaria programmazione delle attività istituzionali a danno dell’intera comunità universitaria». «Rimarcando come anche il messaggio più condivisibile venga inquinato da atteggiamenti di prevaricazione e da forme più o meno latenti di sopraffazione», prosegue il comunicato, «il rettore ha richiesto la cessazione dello stato di occupazione e che gli studenti si attivino per pulire gli spazi interni nel nome del rispetto che devono alla loro Università, luogo di formazione e palestra di confronto civile». Infine, ai manifestanti è stato proposto «uno spazio interno limitato, in condizioni di sicurezza, invitandoli a proseguire la loro mobilitazione in modo pacifico, bandendo ogni comportamento scorretto, facendo prevalere maturità e senso di responsabilità». Qualche settimana fa lo stesso rettore, per ragioni di ordine pubblico, ha preferito prima rimandare e poi annullare un incontro sul 7 ottobre organizzato da un’associazione ebraica. A prescindere dalle convinzioni personali sulla questione palestinese, oltre che la sensazione di una situazione fuori controllo, si avverte anche una certa incoerenza. Se nelle aule i professori insegnano i valori della cosiddetta «società aperta», mentre poi i corridoi e i restanti spazi sono invasi da studenti che, oltre a occupare illegittimamente luoghi pubblici, impediscono la libera espressione di tutte le voci (per la profonda convinzione di ogni vero esponente di sinistra di sapere con certezza che cosa è giusto e, quindi, di poterlo imporre), da qualche parte un problema ci deve essere. Specialmente se poi viene offerto loro uno «spazio interno limitato».
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)
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