2018-05-12
Boom del riconoscimento facciale, che però costa un sacco e non funziona
In Galles la tecnologia di videosorveglianza ha il 91% di errore. In Italia l'appalto è stato vinto da un'azienda leccese, ma sui risultati è silenzio. Gli enti locali britannici spendono ben 92,3 milioni di sterline l'anno.Nel Galles il grande fratello diventa realtà. Nell'ambito della lotta al crimine la polizia locale si avvale infatti da più di un anno del riconoscimento facciale, una tecnica non invasiva che si basa sulla capacità di un software di tracciare una sorta di mappa del viso. Ogni elemento presente sul volto (naso, bocca, occhi, etc.) rappresenta un punto separato dagli altri da una distanza caratteristica. L'immagine ottenuta viene poi confrontata con quelle presenti nel database al fine di riscontrare un abbinamento. La novità però, a giudicare dai dati diffusi dalle stesse autorità, è stata un enorme flop. Come riporta un reportage apparso su Wired la scorsa settimana, la percentuale di errore è risultata altissima. A seguito di una richiesta di accesso agli atti, la polizia del Galles meridionale ha reso noto che nell'ambito di quindici eventi, tra i quali la finale di Champions league tra Real Madrid e Juventus giocata a Cardiff il 3 giugno 2017, alcune partite del Sei nazioni di rugby e diversi concerti, i falsi positivi sono stati 2.451 su 2.685, ovvero il 91,3% del totale.«Esattamente come le impronte digitali, il riconoscimento facciale è una forma di identificazione che permette al computer di abbinare velocemente volti simili basandosi su particolari caratteristiche», ha spiegato l'ispettore gallese Scott Lloyd. Tuttavia, lo scarto in termini di accuratezza tra i due sistemi è ancora notevole. Il successo di questo sistema si basa, com'è prevedibile, sull'ampiezza dell'archivio di riferimento e sulla qualità delle immagini catturate. Venendo a mancare uno di questi due fattori, specie quando si parla di identificazione in tempo reale, la possibilità che si verifichino dei falsi positivi risulta molto più alta. Esattamente come avvenuto nel caso della polizia gallese, che ora si trova a far fronte alle aspre critiche dei cittadini britannici.Dall'inizio del millennio nel Regno Unito l'installazione delle telecamere a circuito chiuso (Cctv) ha subito un vero e proprio boom, tanto che dal 1999 al 2012 i dispositivi installati dalle autorità locali sono passati da 21.000 a oltre 51.000, per scendere a circa 45.000 nel 2016. Londra da sola possiede circa un terzo di tutte le telecamere del Paese. Big brother watch è un'associazione che dal 2009 organizza nel Regno Unito campagne contro la sorveglianza di Stato e la limitazione delle libertà civili. Nel rapporto Are they still watching? (letteralmente, «stanno ancora osservando?») pubblicato nel 2016, l'associazione ha quantificato la spesa annua a carico degli enti locali in 92,3 milioni di sterline, pari a oltre 100 milioni di euro. Ma non si tratta semplicemente di un problema di spesa pubblica. L'utilizzo del riconoscimento facciale pone prima di tutto degli interrogativi dal punto di vista etico. Secondo l'Aclu, una delle più importanti associazioni americane per la difesa dei diritti civili, «il più grosso pericolo rappresentato da questa tecnologia è il suo utilizzo per scopi di generica e insospettata sorveglianza», che potrebbe portare alla costruzione di un «sistema di identificazione e localizzazione globale».Rispondendo, lo scorso settembre, a un'interrogazione parlamentare, il ministro britannico per i servizi di Polizia, Nick Hurd, ha dichiarato candidamente che «non esiste una legislazione che regoli l'uso di telecamere Cctv con riconoscimento facciale». Le forze dell'ordine, ha precisato Hurd, sono tenute in questi casi a rispettare il Codice di condotta della videosorveglianza, che consente l'utilizzo di sistemi di riconoscimento biometrici solo se «chiaramente giustificato e proporzionato per raggiungere lo scopo dichiarato». Un altro grande problema è rappresentato poi dalla conservazione delle immagini raccolte, argomento piuttosto delicato in quanto nel Regno Unito le forze dell'ordine possono scattare foto senza autorizzazione solo ai soggetti colpiti da provvedimenti di custodia cautelare e conservarle finché sussiste uno «scopo di polizia». Il percorso parlamentare per introdurre una legislazione che assicuri trasparenza in questo campo appare piuttosto complesso. Diversi altri Stati hanno deciso negli ultimi anni di affidarsi alle tecniche di riconoscimento facciale. In Cina gli agenti di polizia sono stati dotati di speciali occhiali da sole sui quali è presente un'unità mobile per riconoscere i volti in tempo reale. Negli Stati Uniti l'Fbi utilizza un database di 411 milioni di immagini nel quale sono presenti i volti della metà della popolazione. Tuttavia, il software che si occupa di scandagliarlo ha un margine di errore ancora piuttosto elevato, pari a circa il 15%. E nel nostro Paese? Nel 2016 il ministero dell'Interno ha indetto una gara per la fornitura della soluzione del Sistema automatico di riconoscimento delle immagini (Sari), vinta dall'azienda leccese Parsec 3.26 srl. Abbiamo inviato al Ministero e all'azienda aggiudicataria chiarimenti sugli sviluppi del bando e sull'eventuale applicazione della tecnologia, ma al momento non è pervenuta alcuna risposta.«Nel 2016 il Garante per la privacy italiano affrontò la questione per la videosorveglianza con riconoscimento facciale allo Stadio Olimpico di Roma, considerandone legittimo l'utilizzo», spiega alla Verità Luca Bolognini, avvocato e presidente dell'Istituto italiano per la privacy e la valorizzazione dei dati. «Più si andrà avanti, più il face-tracking sarà efficace e preciso: resterà, in ogni modo, un limite all'adozione di decisioni solo automatizzate che portino ad effetti giuridici o comunque significativi sulle persone interessate». Scongiurata dunque la possibilità di introdurre giudici o poliziotti robot. «Resta il fatto», conclude Bolognini, «che i dati biometrici trattati dalle forze dell'ordine debbano essere conservati in maniera sicura, e che i trattamenti non possano avvenire in contrasto con i principi fondamentali come quelli di necessità».
Giancarlo Tancredi (Ansa)
Ecco #DimmiLaVerità del 17 settembre 2025. Il nostro Giorgio Gandola commenta le trattative nel centrodestra per la candidatura a presidente in Veneto, Campania e Puglia.
Francesco Nicodemo (Imagoeconomica)