2020-10-19
Bontempelli emblema dei liberi pensatori silenziati con l’accusa più feroce: «Fascista»
Massimo Bontempelli (Ansa)
Quasi dimenticato un genio della scrittura a causa della psicosi nera. Ossessione che ancora oggi oscura una fetta della cultura.Un tempo, la letteratura veniva presa molto sul serio, come una questione di vita o di morte. L'8 agosto 1926, alle sei di pomeriggio, due fra i maggiori letterati italiani di ogni tempo stavano uno di fronte all'altro, con la spada in mano, pronti ad affrontarsi in un duello. Da una parte c'era il poeta Giuseppe Ungaretti, dall'altra il romanziere Massimo Bontempelli. Qualche giorno prima, il 6 agosto, i due si erano affrontati - senza armi - al Caffè Aragno, storico ritrovo di artisti romani. Se l'erano date di santa ragione, ribaltando tavoli e sbriciolando tazze e bicchieri. Motivo del dissidio? Una disputa letteraria. Ungaretti e Bontempelli si erano scambiati articoli di fuoco dopo che il romanziere aveva annunciato la fondazione di una rivista letteraria italiana scritta in francese. Una decisione che aveva suscitato le ire di Ardengo Soffici, il quale giudicava l'operazione «antitaliana e antifascista», e di vari altri, tra cui appunto Ungaretti. Ci furono editoriali avvelenati, poi schiaffi e pugni, infine giunse la lama a risolvere la faccenda. Finì in fretta: tra assalti e un taglio di tre centimetri sull'avambraccio di Ungaretti. Al primo sangue, i due abbassarono le armi. Per risolvere definitivamente il conflitto, però, dovette intervenire Benito Mussolini. Ungaretti si rivolse al Duce in un editoriale, chiedendogli di bloccare la pubblicazione della rivista di Bontempelli. Ma Mussolini agì diversamente: autorizzò l'uscita di 900 , e qualche tempo dopo rifilò un ulteriore (metaforico) ceffone a Ungaretti: nonostante il poeta lo avesse pregato di concedergli un posto nell'Accademia d'Italia, nel 1929 il Duce preferì nominare… Bontempelli. Destino curioso: dieci anni dopo, a entrambi i letterati venne ritirata la tessera del Pnf. Claudio Auria ne La vita nascosta di Giuseppe Ungaretti (Le Monnier) riporta un documento in cui si legge: «La motivazione del ritiro della tessera all'accademico Bontempelli è la seguente: “Per aver dimostrato con scritti e discorsi di non possedere in senso assoluto le qualità che costituiscono lo spirito tradizionalmente fascista"». Poco oltre è scritto: «Con uguale motivazione [...] deve essere ritirata allo scrittore Ungaretti». Se le vicissitudini biografiche di Ungaretti sono piuttosto note, la figura di Massimo Bontempelli lo è molto meno, benché egli sia considerato uno dei più grandi scrittori di ogni tempo. Inventore del «realismo magico», ha di fatto aperto la strada a una legione di scrittori latinoamericani (Gabriel García Márquez, tra gli altri). Fu fascista, senza dubbio, e convinto. Ma a un certo punto si allontanò dal regime. Dopo le leggi razziali del 1938 e l'espulsione degli accademici ebrei, Bontempelli rifiutò di prendere la cattedra «lasciata libera» dall'italianista Attilio Momigliano. Altro sgarbo al regime fu il discorso commemorativo di D'Annunzio che Bontempelli pronunciò il 27 novembre 1938 a Pescara. Non citò mai Mussolini: un'aperta presa di distanza. Venne così espulso dal partito e per poco più di un anno gli fu vietato di scrivere e pubblicare. A dirla tutta, già da tempo il romanziere si era distinto per l'approccio critico. Nel 1929, ad esempio, se la prese con il «burinismo» diffuso in Italia; «Io ammetto che in momenti di superiore necessità si mandi uno scrittore a zappare i campi», scrisse. «Ma mai e poi mai si permetta al burino di venire a dettare legge in materia di lettere e di pensiero». Insomma, Bontempelli fascista lo fu eccome, ma non rinunciò mai (e del resto gli fu pure concesso di farlo) all'esercizio del pensiero. Nel dopoguerra, quel pensiero lo condusse su tutt'altri lidi. Divenne comunista e nel 1948 si candidò al Senato nelle file del «Blocco del popolo», il Fronte democratico popolare. Ed è qui che inizia la storia raccontata da Paolo Aquilani in un libro appena pubblicato da Sellerio e intitolato Il caso Bontempelli. Una storia italiana. Accadde infatti che, nel 1950, il creatore del realismo fu cacciato dal Senato. Gli venne contesta «l'apologia di fascismo in libro scolastico». In virtù della legge che vietava agli ex vertici del fascio di assumere cariche pubbliche nell'Italia repubblicana, Bontempelli fu defenestrato a causa di un'antologia scolastica intitolata Oggi, redatta nel 1935 e destinata alle scuole medie. Il romanziere ne aveva scritte soltanto poche pagine, ma lo inchiodarono a quel libro, accusandolo (e giudicandolo colpevole) di essere un propagandista. Non importò, ai gendarmi della memoria antifascisti, che Bontempelli fosse uno genio delle lettere di rilevanza mondiale. Non importò che fosse stato sanzionato dal fascismo, o che avesse rifiutato di prendere il posto di un ebreo o che si fosse messo a scrivere sull'Unità e fosse diventato convintamente comunista. Per qualche riga su un libro di scuola lo trattarono come se fosse Goebbels, applicarono con lui (a detta anche di parlamentari di sinistra) una durezza inaudita. Si può dire che il caso Bontempelli sia stata la prima, potente dimostrazione della «psicosi nera» che dalla fine della guerra continua ad ammorbare la cultura italiana. Certo, nel 1950 le ferite del conflitto civile erano ancora freschissime. Ma l'astio che fu riservato allo scrittore nato a Como nel 1878 ha continuato a strisciare per le nostre strade. Bontempelli fu messo a tacere con la più terribile delle accuse: «Fascista!». La stessa accusa che oggi viene rivolta a chiunque osi esercitare un pensiero difforme. «Fascista!», dicono, e tolgono la parola e lo spazio pubblico a chi osa mantenere la propria indipendenza di giudizio. Bontempelli quella indipendenza la mantenne durante tutto il Ventennio, da fascista prima e da non fascista poi. La portò avanti da comunista, e da intellettuale aristocratico quale sempre fu. Da grande critico della società moderna e instancabile propugnatore dei valori della classicità. Lo misero alla gogna, e ancora oggi la sua opera è troppo poco conosciuta in Italia. Grazie all'ossessione antifascista abbiamo quasi dimenticato un genio della scrittura. Grazie a quell'ossessione ancora oggi proseguiamo a oscurare un'intera fetta della cultura nazionale. È cominciato tutto lì, nell'immediato dopoguerra. E non è mai finito.