
Il super-europeista presidente di Confindustria cambia idea: Christine Lagarde sbaglia. Teme per i sussidi a Viale dell’Astronomia.«La Bce sta facendo il suo lavoro, cerca di raffreddare l’impennata dell’inflazione. Io penso che un tasso di sconto al 2% non sia un problema per l’economia», sentenziava il numero uno di Confindustria, Carlo Bonomi, in data 19 gennaio 2023. Da mesi, appariva chiaro persino a noi de La Verità che Christine Lagarde non fosse in grado di dominare la pesante macchina messa in moto a Francoforte, ma al tempo stesso fosse decisa a interpretare un mandato iperinflazionistico a sostegno della transizione ecologica. Eppure Bonomi ai microfoni di 24 Mattino insisteva: «Quello che si può imputare alla Bce è nella comunicazione, ma noi dobbiamo fare i compiti a casa, siamo stati per anni con tassi negativi, avremmo dovuto tagliare il debito pubblico». Per carità. Giusto. Una frase che va bene per qualunque abito e qualunque occasione. Ma sul concetto della comunicazione, no. Il presidente dei nostri industriali era già pesantemente fuoristrada. La Bce non ha sbagliato nella forma, ma nella sostanza. Tanto che piano piano anche le figure istituzionali più allineate o paludate sono uscite allo scoperto, avanzando critiche alla Lagarde nel merito delle mosse compiute. Molti politici e persino Ignazio Visco, governatore di Bankitalia. Un cordone sanitario tale che anche Bonomi deve essere stato consigliato dai suoi fidati suggeritori di uscire allo scoperto. «Vediamo l’inflazione in calo», ma «vediamo delle politiche della Bce che ci preoccupano», ha detto ieri mattina il capo degli industriali, intervenendo alla conferenza nazionale delle Camere di Commercio a Firenze. «Purtroppo», ha proseguito, «scontiamo il fatto che noi abbiamo avuto un picco sui costi energetici, ad agosto del 2022, e fino ad agosto di quest’anno le statistiche ci penalizzeranno, quindi ci aspettiamo nell’ultimo quadrimestre dell’anno una discesa dell’inflazione, comunque intorno al 5-6%». Da lì in avanti Bonomi si lancia in una pesante critica a Francoforte e alla scelta di portarci al concreto rischio di recessione. È chiaro che fa piacere quando qualcuno corregge il proprio punto di vista, anche se in soli 60 giorni. Soprattutto se si tratta del numero uno degli industriali, colui che dovrebbe rappresentare chi produce sui tavoli che contano. Certo, non ce ne voglia la struttura di Viale dell’Astronomia, ma il particolare track record di Bonomi ci impone di prendere con le pinze la svolta comunicativa. Vale anche solo la pena di ricordare che nel breve arco di tempo in cui si ragionava di un possibile Conte ter, l’industriale se ne uscì pubblicamente sostenendo Roberto Gualtieri, allora titolare del Mef e a detta di Bonomi unico garante del Pnrr. Da lì a poco è arrivato Mario Draghi e il 4 febbraio del 2021 Bonomi già lo definiva «patrimonio dell’umanità», in quanto uomo della Provvidenza e nuovo garante del Pnrr. Tema su cui, ovviamente, il presidente torna spesso. Solo una volta (a marzo del 2022) per denunciare i rincari delle materie prime, di solito per chiedere altri stimoli e fondi a favore della transizione ecologica. Insomma, uno storytelling allineato con i progetti apprezzati dalle parti di Bruxelles. Tanto che anche sull’uscita di ieri ci viene un sospetto. E cioè che il timore del capo degli industriali, che nel corso della sua dirigenza è persino riuscito a far dimenticare i danni di Vincenzo Boccia, sia che la stretta monetaria spinga sì la transizione ecologica ma al contempo non sostenga i sussidi a pioggia che Viale dell’Astronomia si aspetterebbe.Perché alla fine l’amore (o odio) di Bonomi verso i governi, di qualunque colore siano compreso l’attuale, derivano sempre dalla posizione tipica del «vorrei ma non posso». Vorrebbe fare opposizione, ma non può perché i fondi pubblici li eroga il governo e sempre il governo regola il rubinetto delle «tax expenditures», le agevolazioni fiscali. Vorrebbe fare opposizione alla riforma fiscale, ma in fondo non può perché non vuol strappare con i sindacati e soprattutto deve fare i conti con i propri associati, che ormai sono in gran parte manager delle partecipate pubbliche.Ecco, permetteteci un piccolo consiglio al fine di una sana dialettica e dell’espressione di un punto di vista più lineare. Forse è meglio che Confindustria chieda al governo di ripristinare il progetto di legge datato 2018, quando l’allora vice ministro all’Economia, Massimo Garavaglia, preparò un testo per sfilare dall’associazione tutte le partecipate, e di conseguenza gli oltre 15 milioni che - da sole - queste versano a Viale dell’Astronomia. Un’idea che lo stesso Bonomi dovrebbe abbracciare, chiedendo al governo Meloni di trasformare questa rivoluzione in legge. Finirà così il circolo vizioso che non permette ai vertici di Confindustria di esprimere il proprio pensiero nella sua completa estensione. Viale dell’Astronomia potrà chiedere il taglio delle tasse, tornare a essere un consesso di liberali e non a farsi circondare dai soliti «competenti» che bramano invece la mammella del centrosinistra per poppare meglio i fondi pubblici. Finirà anche il rischio che il centro studi dell’ente venga usato per sponsorizzare referendum, come quello renziano del 2016, e potrà tornare a valutare le mosse della Bce in totale serenità. P.s. Se la riforma di Confindustria non la chiede Bonomi, potrebbe sempre esserci qualche esponente della maggioranza cui venga in mente di soppesarla.
Lunghe code per il rifornimento di carburante a Bamako (Ansa)
I miliziani circondano la capitale. Per gli 007 francesi, puntano a istituire il primo califfato africano. Gruppo Wagner pronto alla fuga. Giustiziata in piazza una tiktoker.
Il Mali potrebbe essere la prima nazione africana a finire nelle mani dei jihadisti. Il gruppo affiliato ad al Qaeda Jama’at Nusrat al-Islam al-Muslimin (Jnim) da settimane ha intrappolato la capitale Bamako in una morsa, bloccando l’arrivo di carburante e generi di prima necessità. Le colonne di camion che riforniscono la capitale maliana vengono continuamente attaccate e date alle fiamme, nonostante che le FaMa ( Forze armate maliane) scortino i convogli nel tentativo di forzare il blocco, assistiti dagli uomini dell’ex Wagner Group, oggi Afrika Corps, che non sono riusciti ad arginare l’avanzata dei jihadisti.
Angelo Morbelli, la Stazione Centrale di Milano (1887)
Dalle prime strade ferrate alle sfide future: al Vittoriano e a Palazzo Venezia Gruppo Fs e VIVE hanno presentato la mostra «Le ferrovie d’Italia (1861-2025). dall’Unità nazionale alle sfide del futuro». Dal 7 novembre 2025 all'11 gennaio 2026.
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Un viaggio lungo oltre un secolo, tra binari e trasformazioni sociali, innovazioni tecnologiche e grandi sfide del Paese: è questo il racconto al centro della mostra Le ferrovie d’Italia (1861-2025). Dall’unità nazionale alle sfide del futuro, promossa e organizzata da VIVE – Vittoriano e Palazzo Venezia e dal Gruppo FS Italiane, nella Sala Zanardelli del Vittoriano e nel Giardino grande di Palazzo Venezia.
La mostra, aperta da domani, venerdì 7 novembre, al prossimo 11 gennaio, è stata presentata oggi dalla sua curatrice Edith Gabrielli, Direttrice Generale del VIVE, e da Tommaso Tanzilli, Presidente del Gruppo FS.
“Ma più di ogni altra riforma amministrativa, la realizzazione delle ferrovie contribuirà a consolidare la conquista dell’indipendenza nazionale”: con queste parole Camillo Benso, conte di Cavour, già negli anni Quaranta dell’Ottocento individuò il ruolo delle ferrovie nel percorso del Risorgimento e nella costruzione dell’Italia moderna, una nazione giovane, unita e libera.
La storia dell’unità nazionale e la storia delle ferrovie risultano pressoché inseparabili: i binari hanno reso concreta la geografia politica italiana, collegando territori divisi da secoli, favorito scambi economici e culturali, ridotto distanze, creato opportunità di lavoro e di mobilità sociale. I treni e le stazioni hanno anche contribuito a plasmare una nuova identità collettiva, fatta di viaggi, incontri, pendolarismi, emigrazioni, ritorni. In questo processo ormai ultrasecolare, le ferrovie sono state fonte d’ispirazione per letterati e artisti, diventando metafora potente della modernità, della velocità e del progresso, talvolta anche delle loro innegabili contraddizioni.
Il Vittoriano, concepito nel 1878, all’indomani della scomparsa di Vittorio Emanuele II, primo re d’Italia, e cuore simbolico della Nazione, costituisce il luogo ideale per accogliere la visione di Cavour e tradurla in un racconto espositivo. Gestito dal VIVE - Vittoriano e Palazzo Venezia, istituto autonomo del Ministero della Cultura, il Vittoriano è luogo di arte, di memoria e insieme uno spazio vivo, dove riflettere sul processo risorgimentale e sui valori fondativi della nazione: libertà della patria e unità dei cittadini, ora in un contesto democratico ed europeo.
L’iniziativa si inserisce nelle celebrazioni per i 120 anni dalla fondazione delle Ferrovie dello Stato, avvenuta nel 1905. Da allora, le FS hanno accompagnato ogni fase cruciale della storia italiana, dalla ricostruzione postbellica al boom economico, fino all’Alta Velocità e alla transizione digitale di oggi.
Il Gruppo FS è una realtà industriale che oggi conta oltre 96.000 dipendenti, opera nei settori del trasporto ferroviario, stradale, della logistica, delle infrastrutture, della rigenerazione urbana e dei servizi tecnologici. Porta avanti una fase di profonda trasformazione con un investimento previsto superiore a 100 miliardi di euro in cinque anni, finalizzato a rafforzare la resilienza delle infrastrutture ferroviarie e stradali, migliorare la qualità del servizio, completare opere strategiche e promuovere una mobilità sempre più sostenibile e intermodale.
La storia delle ferrovie italiane si articola in quattro sezioni cronologiche, una sezione immersiva e infine una sezione didattico-dimostrativa. La prima sezione, dal 1861 al 1904, racconta la difficile trasformazione delle prime reti regionali in un sistema effettivamente nazionale. La seconda sezione, dal 1905 al 1944, affronta l’età della gestione statale, con la fondazione di FS, delle innovazioni tecniche, dell’uso politico e militare della ferrovia, fino al regime fascista e alla Seconda guerra mondiale. La terza sezione, dal 1945 al 1984, vede al centro la ricostruzione postbellica, il boom economico e il ruolo dei treni nelle grandi migrazioni interne e nel pendolarismo quotidiano. La quarta sezione, dal 1985 a oggi, verte sull’Alta Velocità, la digitalizzazione e le sfide della sostenibilità, aprendo uno sguardo al futuro. La sezione immersiva, posta sempre nella Sala Zanardelli, consente attraverso la più avanzata tecnologia digitale di fruire del racconto anche in termini emotivi e multisensoriali. La sezione didattico-dimostrativa si trova nel Giardino grande di Palazzo Venezia: due monumentali riproduzioni in scala permettono di apprezzare le qualità estetiche del Settebello e dell’Arlecchino, icone del design italiano del dopoguerra.
La mostra, che parte da un impianto storico rigoroso, affronta il tema con un accentuato carattere interdisciplinare. Quattro in ogni sezione gli assi principali di lettura, che si concretizzano in altrettanti pannelli informativi. Questi assi mettono in luce l’impatto delle ferrovie e, insieme, la loro capacità di trasformazione. Oltre che mezzo di trasporto, il treno era ed è un dispositivo capace di mutare la percezione del tempo, ridefinire il concetto di distanza e ispirare nuove visioni del lavoro, dell’identità e della comunità.
Il primo asse di lettura verte sulla storia delle ferrovie in Italia, dello sviluppo della rete e dei mezzi, delle competenze tecniche e ingegneristiche, delle scelte organizzative e gestionali. Lo sguardo si muove dalla prima rete nazionale all’introduzione dell’Alta Velocità fino ai cantieri attuali finanziati con i fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR).
Il secondo asse di lettura ha a che fare con l’identità, le istituzioni, la politica e l’economia, indagando le motivazioni, le strategie e gli effetti delle scelte attuate in relazione alle ferrovie in questi ambiti. L’infrastruttura ne emerge come strumento di unificazione, di modernizzazione e di governo del territorio, oltre che come fattore decisivo nello sviluppo produttivo ma anche misura delle contraddizioni del Paese, a cominciare dalla divaricazione tra campagna e città e tra Nord e Sud.
Il terzo asse di lettura affronta il tema in rapporto alla sfera sociale e antropologica, restituendo l’impatto delle ferrovie sulla vita quotidiana, sul lavoro e sul costume, la nascita di nuove professioni e la trasformazione dei ritmi e delle percezioni collettive: dall’apparizione di una nuova figura come quella del ferroviere fino al recente mutamento del concetto di distanza e all’avvento del pendolarismo di lungo raggio con l’introduzione dell’Alta Velocità.
Il quarto e ultimo asse della mostra indaga l’interpretazione delle ferrovie nelle arti, nella pittura, nella fotografia, nel cinema, nella poesia e nella letteratura. Gli artisti, prima e meglio di altri, hanno saputo cogliere la complessità del fenomeno, restituendone tanto la forza innovatrice quanto le ombre, le alienazioni e le contraddizioni: nelle loro opere il treno diventa simbolo della modernità e specchio delle sue ambivalenze, immagine di progresso e di perdita, di velocità e di lontananza, talvolta luogo di sperimentazione creativa o addirittura metafora esistenziale.
L’esposizione è accompagnata da un catalogo edito da Silvana Editoriale, con approfondimento e un completo apparato illustrativo di tutte le opere in mostra, e con testi a cura di Edith Gabrielli (Direttrice VIVE e curatrice della Mostra) e del Comitato scientifico formato dal prof. Francesco Benigno (Scuola Normale Superiore, Pisa), dal prof. Lorenzo Canova (Università degli Studi del Molise), dal prof. Andrea Giuntini (già Università degli Studi di Modena e Reggio) e dal prof. Stefano Maggi (Università degli Studi di Siena).
Per tutta la durata dell’esposizione il team didattico del VIVE propone un ricco programma di attività rivolte a bambini, famiglie, utenti con esigenze specifiche, scuole di ogni ordine e grado.
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Valeriy Zaluzhny (Ansa)
Gli investigatori tedeschi: dietro il raid su Nord Stream c’è Zaluzhny, già capo dell’esercito, ora ambasciatore in Uk. Il presunto sabotatore detenuto in Italia proclama lo sciopero della fame: «Violati i miei dritti umani».
Era il segreto di Pulcinella. Adesso lo ha svelato il Wall Street Journal, citando fonti della polizia e della Procura tedesche: a guidare l’attacco ai gasdotti Nord Stream nel Baltico, il 26 settembre 2022, sarebbe stato l’allora capo delle forze armate ucraine, il generale Valeriy Zaluzhny, oggi ambasciatore nel Regno Unito. Gli investigatori hanno indagato sulle società di noleggio delle barche coinvolte nel blitz, su telefoni e targhe, arrivando a emettere mandati d’arresto per tre soldati di un’unità speciale di Kiev e per quattro sommozzatori veterani.
Cristiano d'Arena (foto da Facebook)
È Cristiano D’Arena l’ultimo nome finito nell’inchiesta di Brescia: avrebbe venduto a Venditti e Mazza vetture a prezzi bassi in cambio di accordi per favorire un’altra sua società monopolista nel settore delle intercettazioni.
Il supporto tecnico per le intercettazioni, le auto in leasing per la Procura e il ristorante che era diventato il punto di ritrovo della «Squadretta» di investigatori che lavoravano a stretto contatto con l’ex procuratore aggiunto di Pavia, Mario Venditti, e con il sostituto Paolo Pietro Mazza (ora in servizio a Milano). Nell’inchiesta bresciana sulla presunta corruzione dei due magistrati ricorrono i nomi delle società del gruppo imprenditoriale riconducibile a Cristiano D’Arena, titolare della Esitel, monopolista, per molti anni, delle intercettazioni per la Procura di Pavia (comprese quelle del fascicolo del 2017 su Andrea Sempio per il delitto di Garlasco), alla guida della Cr Service che aveva fornito le vetture per le indagini e ospitale gestore del ristorante.













