2020-05-06
Bonafede in malafede. L’offerta a Di Matteo era solo una poltrona che non conta nulla
Il Guardasigilli sostiene di aver proposto al magistrato il ruolo di Giovanni Falcone, ma non è vero. Oggi quello è un ufficio burocratico.Alfonso Bonafede, ministro grillino della Giustizia, non dice la verità. Nel suo contraddittorio con Nino Di Matteo, andato in onda a Non è l'Arena, Bonafede si è difeso con forza dall'attacco del magistrato palermitano. Ma nella sua versione ci sono molti elementi che non tornano. Troppi.Nella serata di domenica scorsa, Di Matteo ha telefonato alla trasmissione di La 7, dove si stava discutendo di carceri e di boss mafiosi scarcerati, per rivelare una storia tenuta nascosta per quasi due anni. Il magistrato ha raccontato che Bonafede, appena insediato al ministero nel giugno 2018, gli aveva offerto la poltrona di capo del Dap, il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, o in alternativa quella di direttore generale degli Affari penali del ministero. Di Matteo ha aggiunto che avrebbe accettato di buon grado la prima delle due proposte ma poi, in meno di 48 ore, Bonafede aveva improvvisamente cambiato idea e gli aveva lasciato soltanto la seconda scelta, costringendolo di fatto al rifiuto. Di Matteo ha concluso il suo racconto ricordando, velenosamente, che in quei giorni, al ministero, giravano informative dalle quali risultava che la voce di una sua possibile nomina al Dap stesse scatenando la contrarietà di «importantissimi bossi mafiosi» detenuti, preoccupati di nuove restrizioni. Questa rivelazione sconcertante s'è trasformata in accusa contro Bonafede: nell'ipotesi che il ministro abbia subìto pressioni mafiose, se non peggio. Tanto che il centrodestra, da lunedì, chiede le sue dimissioni.Con una telefonata a Non è l'Arena, e poi con una nota su Facebook, Bonafede ha confermato il racconto di Di Matteo, ma ha negato ogni cedimento ai boss. Ecco le parole del ministro: «Non sono uno stupido, sapevo chi era Di Matteo, sapevo che stavo parlando delle carceri italiane, sapevo tutto. L'idea per cui io il giorno dopo avrei ritrattato la mia proposta, in virtù di non so quale paura sopravvenuta, non sta né in cielo né in terra. È una percezione, legittima, di Di Matteo: ma è solo una percezione». Bonafede ha però voluto aggiungere altri elementi alla storia. Soprattutto, ha voluto sottolineare l'importanza della proposta alternativa che il magistrato ha rifiutato: «Quando Di Matteo è venuto al ministero», queste le parole di Bonafede, «io gli dissi che tra i due ruoli per me sarebbe stato molto più importante quello di direttore generale degli Affari penali, perché era molto più “di frontiera" nella lotta alla mafia, e perché era stato il ruolo di Giovanni Falcone. Insomma, non ho proposto a Di Matteo un ruolo che era minore nella lotta alla mafia».Ma le cose non stanno affatto così. Perché nel giugno 2018, quando Bonafede si era appena insediato in via Arenula, la direzione degli Affari penali che nel maggio 1991 il ministro Claudio Martelli in effetti aveva affidato a Falcone, in quanto «cabina di regia» del ministero, non esiste più. Meglio: non è più quella da quasi 20 anni. Dal 1999, cioè dalla riforma della Pubblica amministrazione di Franco Bassanini, il ministero della Giustizia si regge su quattro Dipartimenti che sotto di sé hanno varie direzioni generali: ma sono uffici secondari, burocratici. E la direzione generale degli Affari penali che Bonafede vorrebbe dare a Di Matteo è proprio uno di questi uffici.Quindi, se è plausibile che l'importante guida del Dap venga offerta a un magistrato della caratura di Di Matteo, è del tutto inverosimile la proposta della direzione degli Affari penali. E forse è ammissibile - anche se molto difficile da credere - che Bonafede ignorasse tutto questo nelle sue prime settimane al ministero, nel 2018. Ma è del tutto impossibile che il ministro grillino possa continuare a non saperlo oggi, e che continui a fare confusione tra un capo di Dipartimento (che non per nulla ha uno stipendio di 320.000 euro) e un direttore generale (che ne guadagna 180.000). Sull'importanza della seconda poltrona offerta a Di Matteo, quindi, Bonafede ha detto il falso. Ma c'è di peggio: perché nel giugno 2018 la direzione generale degli Affari penali ha già un titolare, e quindi Bonafede non può affatto disporne per offrirla a Di Matteo. Tre mesi prima, infatti, e per l'esattezza il 21 marzo 2018, il suo predecessore, Andrea Orlando, l'ha affidata a un serio magistrato, Donatella Donati: e dato che si tratta di una nomina triennale, costei è inamovibile. Alla Verità risulta infine un fatto paradossale: e cioè che nel giugno 2018, accanto alla poltrona di capo del Dap, fosse disponibile quella - altrettanto importante - di capo del Dag, il Dipartimento affari di giustizia. Perché due anni fa Bonafede, se proprio voleva a tutti i costi accanto a sé Di Matteo, non gli offrì quella poltrona? E perché il 24 di quel mese l'affidò invece a Giuseppe Corasaniti, già sostituto procuratore generale in Cassazione? Tre giorni dopo, a capo del Dap, il ministro nominò Francesco Basentini, già procuratore aggiunto a Potenza. Anche all'epoca in molti s'erano domandati perché mai Bonafede avesse scelto lui. Al ministero girava la malignità che Basentini, (che dopo i disastri nella gestione dei detenuti mafiosi il ministro ha appena trasformato in capro espiatorio e spinto alle dimissioni) fosse stato cooptato per la sua vicinanza a Leonardo Pucci: l'amico e compagno di studi universitari di Bonafede, che in quel complesso giugno di due anni fa il neo ministro aveva voluto accanto a sé come vicecapo di gabinetto. Proprio ieri, con un tempismo clamoroso, Pucci ha smentito la voce di due anni fa: «Non ci sono state sponsorizzazioni, che io sappia».
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