2023-07-19
19 luglio 1943: Roma sotto le bombe
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Roma: 19 luglio 1943, ore 11:05. Le bombe colpiscono il quartiere di San Lorenzo (Getty Images)
Ottant'anni fa la «Città Eterna» veniva colpita da una durissima incursione aerea alleata sui quartieri popolari di San Lorenzo e Tuscolano. Per la prima volta (ve ne saranno altre 50) la culla della civiltà occidentale veniva violata dal cielo.Il cielo di Roma si fece nero delle sagome di oltre 500 bombardieri e caccia di scorta poco prima delle 11 del mattino del 19 luglio 1943. Era la prima volta che la «Città Eterna» subiva un’incursione aerea e le ultime bombe esplose nella Capitale risalivano alla presa di Porta Pia del 1870. Alle 11:06 le pance dei B-17 «Liberator», dei B-24 «Liberator» e dei bimotori B-25 e B-26 iniziarono a rilasciare il loro carico di morte. Erano oltre 500 aerei quelli che parteciparono all’operazione chiamata in codice «Operazione Crosspoint». Nelle cabine, da un’altezza di oltre 6.000 metri, gli aviatori della NAAF (North African Air Force – l’aviazione alleata di stanza in Tunisia) consultavano i piani della missione, che indicava quale obiettivo «Rome-San Lorenzo Marshalling Yards», ossia lo scalo ferroviario sito nel cuore del popolare quartiere tra la stazione Termini e il cimitero del Verano. L’idea di colpire Roma nacque da un lungo dibattito durato sin dagli esordi della guerra. A capo dei sostenitori del bombardamento a tappeto della città culla della civiltà cattolica e della cultura occidentale era stata caldeggiata soprattutto dagli Inglesi, in segno di ritorsione per la partecipazione italiana alla battaglia d’Inghilterra di tre anni prima. In prima fila sedeva Sir Anthony Eden, il più antitaliano dei membri della Camera dei Lord sin dai tempi delle sanzioni per la campagna d’Etiopia e nel 1943 Ministro degli Affari Esteri con Churchill. Se gli Americani sembravano più restii ad impegnare forze contro Roma, temendo una reazione avversa dei cattolici nel mondo e un effetto boomerang sulla popolazione italiana, alla fine la spuntò la linea britannica che fece della Capitale italiana l’obiettivo più altisonante per la propaganda e per gli effetti dell’area bombing messa in pratica dal capo del Bomber Command Sir Arthur Harris, anche se strategicamente meno importante rispetto ai porti e alle città del Nord Italia. La caduta di Pantelleria e lo sbarco in Sicilia, di appena nove giorni precedente all’incursione, accelerarono la decisione nella speranza che il colpo al cuore accelerasse la caduta del Governo Mussolini (che di fatto avverrà sei giorni dopo il bombardamento) e la resa rapida dell’alleato del Terzo Reich. Le bombe (ne verranno sganciate circa 4.000 per un totale di oltre 1.000 tonnellate di esplosivo) seppur concentrate sullo scalo ferroviario a poca distanza da Termini, colpirono violentemente anche il quartiere circostante causando il crollo o il grave danneggiamento di centinaia di palazzi pieni di famiglie che vi avevano cercato invano riparo, colte di sorpresa dall’improvviso allarme urlato dalle sirene. Anche il grande cimitero cittadino del Verano fu colpito, tanto che furono centinaia le tombe scoperchiate e profanate da una pioggia di morte caduta sopra i campi del riposo eterno. Dopo un carosello che parve altrettanto eterno, vissuto nel panico dai rifugi e dalle cantine puntellate, gli apparecchi lasciarono il cielo di Roma appena scalfiti dalla reazione della caccia italiana e da una contraerea che parve non poter fare nulla a causa della quota elevata degli incursori. A terra rimaneva l’inferno di polvere crolli e incendi. I morti saranno stimati in circa 3.000, i feriti circa 13.000 e 40.000 i senzatetto. Iconica rimase l’istantanea scattata al Pontefice Pio XII nell’atto di allargare le braccia di fronte ad una folla accolta per cercare conforto e aiuto dal Papa (che di fatto elargirà somme in denaro in occasione della visita al quartiere ferito di fronte alla chiesa di San Lorenzo fuori le Mura). Con il Papa si mosse anche il Cardinale Giovanni Battista Montini, il futuro Beato Paolo VI. Anche il quartiere Tiburtino, confinante con San Lorenzo, fu duramente colpito e nelle operazioni di salvataggio trovarono la morte 25 Vigili del fuoco. Contro Vittorio Emanuele III, anch’egli uscito nel tardo pomeriggio per incontrare la popolazione atterrita, sarà oggetto di insulti e lancio di sassi, preludio alla fuga dell’8 settembre successivo. Mussolini invece quel giorno era lontano da Roma. Si trovava a Feltre dove aveva incontrato un Hitler furente per la situazione sul fronte russo e su quello italiano. Ricevette il dispaccio sui bombardamenti di Roma durante il vertice alla presenza di Dino Alfieri, fatto che rese ancora più amaro quell’incontro di fatto inconcludente. Il primo grande bombardamento della Capitale generò un lungo quanto altrettanto infruttuoso dibattito, che nei fatti rimarrà confinato ai documenti diplomatici e ai fiumi di inchiostro sui giornali. L’opportunità di riconoscere Roma come «città aperta», vale a dire esclusa da operazioni militari e da incursioni aeree, fu invocata prima e dopo la caduta del Duce dopo il 25 luglio. Né i Tedeschi (che occuparono Roma e ne fecero luogo di comandi e operazioni militari) né gli Alleati accolsero la proposta per salvare la Città Eterna. La culla della civiltà occidentale fu bombardata altre 50 volte prima dell’ingresso degli Anglo-americani il 4 giugno del 1944. Anche il Vaticano fu sfiorato dalla tragedia nelle incursioni seguenti a quelle del 19 luglio 1943. Il 4 novembre 1943 un aereo solitario colpì gli impianti di Radio Vaticana. Gli Alleati respinsero le accuse mentre alcuni testimoni avrebbero affermato che si trattasse di un velivolo italiano mandato da Roberto Farinacci, l’«anti-Duce» dei mesi di Salò come spedizione punitiva per il servizio di informazioni che l’emittente forniva alle famiglie dei prigionieri di guerra. Il 1°marzo 1944 fu invece un velivolo inglese a sganciare ordigni nei pressi delle mura vaticane durante uno dei raid su Roma, provocando danni ma non vittime. L’ultimo bombardamento fu uno dei più duri, con oltre 100 vittime, il 18 marzo 1944. Quattro giorni più tardi un’altra bomba segnerà in modo indelebile la memoria della Città Eterna e della popolazione: quella esplosa in via Rasella per mano partigiana, che fu alla base del massacro delle Fosse Ardeatine.
(Esercito Italiano)
Si è conclusa nei giorni scorsi in Slovenia l’esercitazione internazionale «Triglav Star 2025», che per circa tre settimane ha visto impegnato un plotone del 5° Reggimento Alpini al fianco di unità spagnole, slovene e ungheresi.
L'esercitazione si è articolata in due moduli: il primo dedicato alla mobilità in ambiente montano, finalizzato ad affinare le capacità tecniche di movimento su terreni impervi e difficilmente accessibili; il secondo focalizzato sulla condotta di operazioni offensive tra unità contrapposte. L’area delle esercitazioni ha compreso l’altopiano della Jelovica, nella regione di Gorenjska, e il massiccio del Ratitovec, tra i 900 e i 1.700 metri di altitudine.
La «Triglav Star 2025» è culminata in un’esercitazione continuativa durata 72 ore, durante la quale i militari hanno affrontato condizioni meteorologiche avverse – con terreno innevato e fangoso e intense raffiche di vento in quota. Nella fase finale, il plotone italiano è stato integrato in un complesso minore multinazionale a guida spagnola. La partecipazione di numerosi Paesi dell’Alleanza Atlantica ha rappresentato un’importante occasione di confronto, favorendo lo scambio di esperienze e competenze.
La «Triglav Star 2025» si è rivelata ottima occasione di crescita, contribuendo in modo significativo a rafforzare l’integrazione e l’interoperabilità tra le forze armate dei Paesi partecipanti.
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