2025-10-28
Gere vuole solo l’invasione dell’Italia
Richard Gere con il direttore di Open Arms Oscar Camps (Getty Images)
L’attore, salito sulla nave di Open Arms e scatenato contro Salvini, adesso difende l’identità degli indigeni minacciati dall’estrazione mineraria che serve al «suo» green.Un intero paginone di Repubblica, ieri. Firmato Richard Gere. Sì proprio lui. La star hollywoodiana nota al grande pubblico per le sue interpretazioni in indimenticabili capolavori cinematografici come «American gigolo», «Ufficiale e Gentiluomo» e «Pretty Woman». Da anni recita pure la parte dell’attivista. Con altrettanta visibilità ma molto minore talento. Come tale chiede di essere qualificato in coda al suo sermone. «Attore e attivista» a sostegno «del rapporto di Survival International». «Popoli incontattati» è l’espressione più ricorrente nella sua omelia. Sette volte. Ma anche «popoli indigeni» e infine «indigeni incontattati». Quattro volte ciascuna queste ultime due espressioni. Tante sì. Ma mai quanto gli sbadigli del coraggioso lettore che decide di leggersi il sermone. Già il lunedì è una piaga di suo. Figuratevelo col pippone di Gere che ci racconta tutta la sua preoccupazione per i «196 popoli e gruppi indigeni incontattati» che potrebbero «non sopravvivere ai prossimi dieci anni se governi e aziende non smetteranno di deforestare i loro territori, di rubare i loro minerali e di inseguirli nel profondo delle sempre più ridotte foreste da cui dipende la loro stessa esistenza». Chissà se Richard Gere si è mai chiesto per quale motivo stiamo sfruttando le risorse minerali sopra i quali risiedono questi indigeni. Dove? Nell’articolo si parla di confine fra Brasile e Perù. Ma potrebbero essere altri 196 posti ovunque nel mondo. Qualora se lo fosse chiesto magari avrebbe anche dovuto marzullianamente darsi una risposta. Abbiamo fame di minerali per costruire le batterie delle auto elettriche che devono combattere il cambiamento climatico che a lui sta tanto a cuore. Poteva infatti il nostro non essere produttore e voce narrante di un documentario tremendista dove si vedono i soliti ghiacciai che si sciolgono alternati a territori fratturati dalla siccità? «Earth Emergency» è il sobrio titolo del capolavoro realizzato con il supporto di Greta Thunberg. Ah beh allora. E per salvare il pianeta serve ovviamente l’auto elettrica. Totem del gretinismo ecologista. Tutto si basa sulle batterie elettriche. E chi estrae i materiali per realizzarle? «Più del 60% della fornitura mondiale di cobalto proviene dal Congo, e il 30% delle estrazioni vengono effettuate da minatori che lavorano in condizioni disumane, bambini inclusi» scriveva il climaticamente e «clericalmente corretto» (per dirla alla Antonio Socci) Avvenire nell’aprile del 2021. «Nel solo 2020», riportava sempre Avvenire, «99.000 tonnellate di cobalto. Circa 9.000 estratte a mano [...]. Uomini, donne e bambini che lavorano 12 ore al giorno sottoterra con salari da fame, senza ventilazione e respirando gas nocivi». Hai voglia caro Richard Gere a deforestare boschi e contattare popoli incontattati. Parafrasando Mario Draghi: «Cosa vuoi? Un pianeta che arde come una palla di fuoco? O contattare i popoli incontattati?». Ma Gere si preoccupa anche delle «diverse culture». Ma difendere l’identità non è da fascisti? Non se lo fa Richard Gere. Forse il testimonial più attivo (anzi attivista) della cosiddetta Critical Race Theory. Una ideologia dominante che ormai già da tempo ha travalicato i confini dell’università americane. Sostiene Daniele Scalea presidente del centro Studi Machiavelli. Una dottrina egemone nei media, nell’intrattenimento, nella comunicazione e nella narrazione. È un’ideologia chiaramente anti occidentale che vede nell’Occidente il male assoluto. «La sua narrazione della storia», prosegue Scalea, «è quello di una sorta di Eden incontaminato che a un certo punto viene corrotto dalla malvagità dell’uomo bianco». Quest’ultimo porta oppressione, sfruttamento, guerra, razzismo e tutti gli altri mali esistenti. E chiaramente una visione molto riduzionistica ed animata da un odio cieco di tipo razziale. Anzi razzista. Anzi auto razzista. Addirittura, complottista. Stavolta questo termine lo usiamo noi. Qualsiasi cosa sia successa di male, è tutta colpa dell’uomo bianco. E l’uomo nero ha sempre ragione. Gere ci racconta che è giusto difendere i confini. Ma delle terre abitate da quei popoli incontattati. Se invece lo fa Salvini, come nel caso della nave Open Arms cui era stato ordinato di non attraccare a Lampedusa ma di andare in Spagna, ecco che quello invece diventa un «atto criminale». Ed il nostro Richard, infatti, su quella nave in quei giorni ci sale. Era in vacanza in Toscana povera stella. Ma lui le ha interrotte per salire su quella imbarcazione. E quegli immigrati li ha «guardati negli occhi». E ha ascoltato «le loro storie». Per poi andare a testimoniare contro Matteo Salvini al processo. Salvo dare buca all’ultimo momento. Perché aveva da girare un film. Ma non si è trattenuto dal rilasciare la sua testimonianza scritta. Ahinoi non acquisita agli atti. Dove Gere sottolinea un fondamentale concetto già ribadito al sinistrissimo Guardian in un’intervista qualche anno prima. Lui per gli immigrati - o indigeni incontattati che siano - ha una «viscerale umana empatia». Asciugatevi la lacrimuccia fra uno sbadiglio e l’altro.
Beatrice Venezi (Imagoeconomica)
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