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2021-01-30
Bolzano, storia (a ritroso) di una bomba
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Particolare della mappa delle bombe cadute su Bolzano tra il 1943 e il 1944 (Curatorio Beni Tecnici Culturali Bolzano)
La zona intorno all'ordigno, come di consueto, viene evacuata. 5.000 cittadini, in piena emergenza Covid, lasciano le proprie abitazioni guidate dai militari e dalla Croce Rossa. Le strade sono sgombre da auto e passanti, proprio come era accaduto durante i 472 allarmi aerei suonati nella città altoatesina tra il 1943 e il 1945. Gli esiti della morte piovuta dal cielo allora furono devastanti: oltre il 60 percento degli edifici cittadini risultò distrutto o gravemente danneggiato, i morti furono oltre duecento e migliaia i feriti. Quella bomba neutralizzata dagli Alpini, come tante altre cadute nelle vicinanze, fu sganciata tra il settembre 1943 e la fine del 1944 quando Bolzano divenne un obiettivo primario delle incursioni alleate, data la presenza dell'importante snodo ferroviario lungo la linea del Brennero, arteria principale dei collegamenti tra il Terzo Reich e il Nord Italia.
La città fu tra le prime ad essere colpite da lunga distanza dai B-17 "Flying Fortress" del 301st e 99th Bomb Group decollati dalla base tunisina di Oudna. Era il 2 settembre 1943, il giorno precedente la firma dell'armistizio di Cassibile, reso noto l'8 settembre successivo. L'Alto Adige fu immediatamente occupato dalle truppe tedesche nell'operazione "Achse", e direttamente inglobato nel territorio del Reich nella Zona di Operazioni delle Prealpi (OZAV) e messo sotto l'amministrazione militare germanica. Bolzano, oltre a rappresentare un obiettivo strategico importante per gli alleati, era anche una città che aveva conosciuto una forte industrializzazione durante il ventennio, sede di importanti industrie meccaniche, una su tutte la fabbrica di autocarri Lancia convertita alla produzione bellica.
A difendere la città altoatesina dalle bombe fu incaricata la Luftschutzpolizei (Milizia Contraerei) dipendente dalla Ordnungpolizei della quale faceva parte anche il tristemente noto Polizeiregiment "Bozen", oggetto dell'attentato di via Rasella a Roma.
Dal 2 settembre 1943 le missioni di bombardamento di Bolzano furono svolte dal 301st Bomb Group e dal 99th Bomb Group dall'aeroporto di Oudna, in Tunisia. Da quella data, i raid si ripeteranno nei giorni successivi, a ondate ravvicinate. La città è colpita dai B-17 nuovamente il 25 e il 28 settembre, quindi il 4 ottobre e senza sosta ancora il 10 novembre. Seguirà il più devastante dei raid, quello del 2 dicembre 1943, stavolta portato a termine da una formazione di B-24 "Liberator" del 376th Bomb Group decollati dalla nuova base italiana di San Pancrazio (Brindisi). Il carico bellico fu più potente di quello dei precedenti raid e gli effetti micidiali: nonostante la città avesse pronte circa 50 batterie contraeree della Flak, i B-24 riuscirono a scaricare dai loro ventri ben 94 tonnellate di bombe a tappeto nel cuore di Bolzano, causando tra le molte vittime quella eccellente del Commissario prefettizio (Volksgruppenfuehrer) di Bolzano Peter Hofer, colto dal bombardamento mentre si trovava in macchina con due ufficiali delle SS e l'autista.
Gli specialisti del Secondo Genio della Julia rimuovono l'ordigno prima del brillamento
La città, presa di mira per l'importante snodo ferroviario, non finì di bruciare e crollare neppure il 15 dicembre, e fu centrata anche nel giorno di Natale del 1943. Le ondate di bombardieri si susseguiranno per tutto il 1944 e Bolzano sarà una tra le ultime città italiane ad essere sorvolate dal 99th Bomb Group il 26 aprile del 1945 all'inseguimento della ritirata tedesca. Questa volta i B-17 non sganciarono, fecero inversione di rotta e sparirono per sempre dal cielo dell'Alto Adige.
Il tempo e la ricostruzione postbellica fecero sbiadire i ricordi di quei giorni terribili, e la terra sotto l'asfalto nascose il sonno degli ordigni rimasti inesplosi. Almeno fino alla recente scoperta da parte di Wittfrida Mitterer, docente presso la Facoltà di Architettura dell'Università Statale di Innsbruck e responsabile del Curatorio dei Beni Tecnici Culturali della Provincia Autonoma di Bolzano. Dal 2019 la dottoressa Mitterer era alla ricerca di documentazione storica che dimostrasse che il magazzino Negrelli, una struttura storica nei pressi della stazione costruita con legni del 1836 recuperati in Croazia, non fosse stato danneggiato dalle bombe della guerra e potesse essere conservato come bus terminal della città di Bolzano (oggi invece demolito e sostituito da una nuova autostazione moderna quanto anonima). Le ricerche la indirizzarono verso lo storico convento benedettino di Muri-Gries, che durante la guerra fu requisito dal comando della Luftshutzpolizei. Nelle tante stanze del convento, erano conservate le mappe dettagliate degli ordigni caduti sulla città di Bolzano tra il 1943 e il 1944. La cartografia degli ordigni era basata su una grande e dettagliata mappa catastale, sulla quale gli uomini della Luftschutzpolizei segnarono meticolosamente ogni ordigno che colpì Bolzano, esploso o inesploso. La mappa veniva aggiornata ad ogni incursione tramite la sovrapposizione di fogli di carta oleata dove i nuovi ordigni si sovrapponevano a quelli precedenti. La legenda includeva anche il tipo di bomba caduta, dirompente oppure incendiaria. Dall'analisi delle mappe, poi digitalizzate e consegnate dalla dottoressa Mitterer al Comune di Bolzano e alla Protezione Civile, si nota un piccolo cerchio rosso nell'allora piazza Oriani, oggi occupata dal cantiere del nuovo complesso residenziale Waltherpark affacciato sulla via Garibaldi. Secondo gli appunti dei tedeschi, l'ordigno sarebbe rimasto inesploso dopo la caduta nell'incursione avvenuta il 4 ottobre 1943 ad opera dei B-17 del 99th Bomb Group di stanza a Lavarin Field in Algeria, e classificato con un cerchio rosso che corrisponde con sufficiente precisione alla posizione dell'ordigno ritrovato e disinnescato dai genieri Alpini nel gennaio 2021.
Si chiude così un altro cerchio: quello della storia di una bomba, grazie ai preziosi documenti ritrovati nel convento dei benedettini e confermata dai riscontri forniti dalle associazioni storiche dei gruppi da bombardamento dell'Usaf, che hanno meticolosamente conservato la documentazione fotografica delle operazioni su Bolzano permettendo così di rivivere, a quasi ottant'anni di distanza, quelle giornate drammatiche della storia della città altoatesina permettendoci di percorrere con precisione un viaggio a ritroso nella storia.
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La storia comincia con una bomba da 226 chili (o 500 libbre General Purpose) nel cuore di Bolzano, seppellita sotto il terreno di un cantiere edile a due passi dalla stazione ferroviaria della città altoatesina. La riportano alla luce dopo quasi ottant'anni di sonno gli specialisti del Secondo reggimento Genio della Brigata alpina Julia.La zona intorno all'ordigno, come di consueto, viene evacuata. 5.000 cittadini, in piena emergenza Covid, lasciano le proprie abitazioni guidate dai militari e dalla Croce Rossa. Le strade sono sgombre da auto e passanti, proprio come era accaduto durante i 472 allarmi aerei suonati nella città altoatesina tra il 1943 e il 1945. Gli esiti della morte piovuta dal cielo allora furono devastanti: oltre il 60 percento degli edifici cittadini risultò distrutto o gravemente danneggiato, i morti furono oltre duecento e migliaia i feriti. Quella bomba neutralizzata dagli Alpini, come tante altre cadute nelle vicinanze, fu sganciata tra il settembre 1943 e la fine del 1944 quando Bolzano divenne un obiettivo primario delle incursioni alleate, data la presenza dell'importante snodo ferroviario lungo la linea del Brennero, arteria principale dei collegamenti tra il Terzo Reich e il Nord Italia.La città fu tra le prime ad essere colpite da lunga distanza dai B-17 "Flying Fortress" del 301st e 99th Bomb Group decollati dalla base tunisina di Oudna. Era il 2 settembre 1943, il giorno precedente la firma dell'armistizio di Cassibile, reso noto l'8 settembre successivo. L'Alto Adige fu immediatamente occupato dalle truppe tedesche nell'operazione "Achse", e direttamente inglobato nel territorio del Reich nella Zona di Operazioni delle Prealpi (OZAV) e messo sotto l'amministrazione militare germanica. Bolzano, oltre a rappresentare un obiettivo strategico importante per gli alleati, era anche una città che aveva conosciuto una forte industrializzazione durante il ventennio, sede di importanti industrie meccaniche, una su tutte la fabbrica di autocarri Lancia convertita alla produzione bellica.A difendere la città altoatesina dalle bombe fu incaricata la Luftschutzpolizei (Milizia Contraerei) dipendente dalla Ordnungpolizei della quale faceva parte anche il tristemente noto Polizeiregiment "Bozen", oggetto dell'attentato di via Rasella a Roma.Dal 2 settembre 1943 le missioni di bombardamento di Bolzano furono svolte dal 301st Bomb Group e dal 99th Bomb Group dall'aeroporto di Oudna, in Tunisia. Da quella data, i raid si ripeteranno nei giorni successivi, a ondate ravvicinate. La città è colpita dai B-17 nuovamente il 25 e il 28 settembre, quindi il 4 ottobre e senza sosta ancora il 10 novembre. Seguirà il più devastante dei raid, quello del 2 dicembre 1943, stavolta portato a termine da una formazione di B-24 "Liberator" del 376th Bomb Group decollati dalla nuova base italiana di San Pancrazio (Brindisi). Il carico bellico fu più potente di quello dei precedenti raid e gli effetti micidiali: nonostante la città avesse pronte circa 50 batterie contraeree della Flak, i B-24 riuscirono a scaricare dai loro ventri ben 94 tonnellate di bombe a tappeto nel cuore di Bolzano, causando tra le molte vittime quella eccellente del Commissario prefettizio (Volksgruppenfuehrer) di Bolzano Peter Hofer, colto dal bombardamento mentre si trovava in macchina con due ufficiali delle SS e l'autista. La città, presa di mira per l'importante snodo ferroviario, non finì di bruciare e crollare neppure il 15 dicembre, e fu centrata anche nel giorno di Natale del 1943. Le ondate di bombardieri si susseguiranno per tutto il 1944 e Bolzano sarà una tra le ultime città italiane ad essere sorvolate dal 99th Bomb Group il 26 aprile del 1945 all'inseguimento della ritirata tedesca. Questa volta i B-17 non sganciarono, fecero inversione di rotta e sparirono per sempre dal cielo dell'Alto Adige.Il tempo e la ricostruzione postbellica fecero sbiadire i ricordi di quei giorni terribili, e la terra sotto l'asfalto nascose il sonno degli ordigni rimasti inesplosi. Almeno fino alla recente scoperta da parte di Wittfrida Mitterer, docente presso la Facoltà di Architettura dell'Università Statale di Innsbruck e responsabile del Curatorio dei Beni Tecnici Culturali della Provincia Autonoma di Bolzano. Dal 2019 la dottoressa Mitterer era alla ricerca di documentazione storica che dimostrasse che il magazzino Negrelli, una struttura storica nei pressi della stazione costruita con legni del 1836 recuperati in Croazia, non fosse stato danneggiato dalle bombe della guerra e potesse essere conservato come bus terminal della città di Bolzano (oggi invece demolito e sostituito da una nuova autostazione moderna quanto anonima). Le ricerche la indirizzarono verso lo storico convento benedettino di Muri-Gries, che durante la guerra fu requisito dal comando della Luftshutzpolizei. Nelle tante stanze del convento, erano conservate le mappe dettagliate degli ordigni caduti sulla città di Bolzano tra il 1943 e il 1944. La cartografia degli ordigni era basata su una grande e dettagliata mappa catastale, sulla quale gli uomini della Luftschutzpolizei segnarono meticolosamente ogni ordigno che colpì Bolzano, esploso o inesploso. La mappa veniva aggiornata ad ogni incursione tramite la sovrapposizione di fogli di carta oleata dove i nuovi ordigni si sovrapponevano a quelli precedenti. La legenda includeva anche il tipo di bomba caduta, dirompente oppure incendiaria. Dall'analisi delle mappe, poi digitalizzate e consegnate dalla dottoressa Mitterer al Comune di Bolzano e alla Protezione Civile, si nota un piccolo cerchio rosso nell'allora piazza Oriani, oggi occupata dal cantiere del nuovo complesso residenziale Waltherpark affacciato sulla via Garibaldi. Secondo gli appunti dei tedeschi, l'ordigno sarebbe rimasto inesploso dopo la caduta nell'incursione avvenuta il 4 ottobre 1943 ad opera dei B-17 del 99th Bomb Group di stanza a Lavarin Field in Algeria, e classificato con un cerchio rosso che corrisponde con sufficiente precisione alla posizione dell'ordigno ritrovato e disinnescato dai genieri Alpini nel gennaio 2021.Si chiude così un altro cerchio: quello della storia di una bomba, grazie ai preziosi documenti ritrovati nel convento dei benedettini e confermata dai riscontri forniti dalle associazioni storiche dei gruppi da bombardamento dell'Usaf, che hanno meticolosamente conservato la documentazione fotografica delle operazioni su Bolzano permettendo così di rivivere, a quasi ottant'anni di distanza, quelle giornate drammatiche della storia della città altoatesina permettendoci di percorrere con precisione un viaggio a ritroso nella storia.
La risposta alla scoppiettante Atreju è stata una grigia assemblea piddina
Il tema di quest’anno, Angeli e Demoni, ha guidato il percorso visivo e narrativo dell’evento. Il manifesto ufficiale, firmato dal torinese Antonio Lapone, omaggia la Torino magica ed esoterica e il fumetto franco-belga. Nel visual, una cosplayer attraversa il confine tra luce e oscurità, tra bene e male, tra simboli antichi e cultura pop moderna, sfogliando un fumetto da cui si sprigiona luce bianca: un ponte tra tradizione e innovazione, tra arte e narrazione.
Fumettisti e illustratori sono stati il cuore pulsante dell’Oval: oltre 40 autori, tra cui il cinese Liang Azha e Lorenzo Pastrovicchio della scuderia Disney, hanno accolto il pubblico tra sketch e disegni personalizzati, conferenze e presentazioni. Primo Nero, fenomeno virale del web con oltre 400.000 follower, ha presentato il suo debutto editoriale con L’Inkredibile Primo Nero Show, mentre Sbam! e altre case editrici hanno ospitato esposizioni, reading e performance di autori come Giorgio Sommacal, Claudio Taurisano e Vince Ricotta, che ha anche suonato dal vivo.
Il cosplay ha confermato la sua centralità: più di 120 partecipanti si sono sfidati nella tappa italiana del Nordic Cosplay Championship, con Carlo Visintini vincitore e qualificato per la finale in Svezia. Parallelamente, il propmaking ha permesso di scoprire il lavoro artigianale dietro armi, elmi e oggetti scenici, rivelando la complessità della costruzione dei personaggi.
La musica ha attraversato generazioni e stili. La Battle of the Bands ha offerto uno spazio alle band emergenti, mentre le icone delle sigle tv, Giorgio Vanni e Cristina D’Avena, hanno trasformato l’Oval in un grande palco popolare, richiamando migliaia di fan. Non è mancato il K-pop, con workshop, esibizioni e karaoke coreano, che ha coinvolto i più giovani in una dimensione interattiva e partecipativa. La manifestazione ha integrato anche dimensioni educative e culturali. Il Dipartimento di Matematica dell’Università di Torino ha esplorato il ruolo della matematica nei fumetti, mostrando come concetti scientifici possano dialogare con la narrazione visiva. Lo chef Carlo Mele, alias Ojisan, ha illustrato la relazione tra cibo e animazione giapponese, trasformando piatti iconici degli anime in esperienze reali. Il pubblico ha potuto immergersi nella magia del Villaggio di Natale, quest’anno allestito nella Casa del Grinch, tra laboratori creativi, truccabimbi e la Christmas Elf Dance, mentre l’area games e l’area videogames hanno offerto tornei, postazioni libere e spazi dedicati a giochi indipendenti, modellismo e miniature, garantendo una partecipazione attiva e immersiva a tutte le età.
Con 28.000 visitatori in due giorni, Xmas Comics & Games conferma la propria crescita come festival della cultura pop, capace di unire creatività, spettacolo e narrazione, senza dimenticare la componente sociale e educativa. Tra fumetti, cosplay, musica e gioco, Torino è diventata il punto d’incontro per chi vuole vivere in prima persona il racconto pop contemporaneo, dove ogni linguaggio si intreccia e dialoga con gli altri, trasformando la fiera in una grande esperienza culturale condivisa.
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i,Hamza Abdi Barre (Getty Images)
La Somalia è intrappolata in una spirale di instabilità sempre più profonda: un’insurrezione jihadista in crescita, un apparato di sicurezza inefficiente, una leadership politica divisa e la competizione tra potenze vicine che alimenta rivalità interne. Il controllo effettivo del governo federale si riduce ormai alla capitale e a poche località satelliti, una sorta di isola amministrativa circondata da gruppi armati e clan in competizione. L’esercito nazionale, logorato, frammentato e privo di una catena di comando solida, non è in grado di garantire la sicurezza nemmeno sulle principali rotte commerciali che costeggiano il Paese. In queste condizioni, il collasso dell’autorità centrale e la caduta di Mogadiscio nelle mani di gruppi ostili rappresentano scenari sempre meno remoti, con ripercussioni dirette sulla navigazione internazionale e sulla sicurezza regionale.
La pirateria somala, un tempo contenuta da pattugliamenti congiunti e operazioni navali multilaterali, è oggi alimentata anche dal radicamento di milizie jihadiste che controllano vaste aree dell’entroterra. Questi gruppi, dopo anni di scontri contro il governo federale e di brevi avanzate respinte con l’aiuto delle forze speciali straniere, hanno recuperato terreno e consolidato le proprie basi logistiche proprio lungo i corridoi costieri. Da qui hanno intensificato sequestri, assalti e sabotaggi, colpendo infrastrutture critiche e perfino centri governativi di intelligence. L’attacco del 2025 contro una sede dei servizi somali, che portò alla liberazione di decine di detenuti, diede il segnale dell’audacia crescente di questi movimenti.
Le debolezze dell’apparato statale restano uno dei fattori decisivi. Nonostante due decenni di aiuti, investimenti e programmi di addestramento militare, le forze somale non riescono a condurre operazioni continuative contro reti criminali e gruppi jihadisti. Il consumo interno di risorse, la corruzione diffusa, i legami di fedeltà clanici e la dipendenza dall’Agenzia dell’Unione africana per il supporto alla sicurezza hanno sgretolato ogni tentativo di riforma. Nel frattempo, l’interferenza politica nella gestione della missione internazionale ha sfiancato i donatori, ridotto il coordinamento e lasciato presagire un imminente disimpegno. A questo si aggiungono le tensioni istituzionali: modifiche costituzionali controverse, una mappa federale contestata e tentativi percepiti come manovre per prolungare la permanenza al potere della leadership attuale hanno spaccato la classe politica e paralizzato qualsiasi risposta comune alla minaccia emergente. Mentre i vertici si dividono, le bande armate osservano, consolidano il controllo del territorio e preparano nuovi colpi contro la navigazione e le città costiere. Sul piano internazionale cresce il numero di governi che, temendo un collasso definitivo del sistema federale, sondano discretamente la possibilità di una trattativa con i gruppi armati. Ma l’ipotesi di una Mogadiscio conquistata da milizie che già controllano ampie aree della costa solleva timori concreti: un ritorno alla pirateria sistemica, attacchi oltre confine e una spirale di conflitti locali che coinvolgerebbe l’intero Corno d’Africa.
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Il presidente eletto del Cile José Antonio Kast e sua moglie Maria Pia Adriasola (Ansa)
Un elemento significativo di queste elezioni presidenziali è stata l’elevata affluenza alle urne, che si è rivelata in aumento del 38% rispetto al 2021. Quelle di ieri sono infatti state le prime elezioni tenute dopo che, nel 2022, è stato introdotto il voto obbligatorio. La vittoria di Kast ha fatto da contraltare alla crisi della sinistra cilena. Il presidente uscente, Gabriel Boric, aveva vinto quattro anni fa, facendo leva soprattutto sull’impopolarità dell’amministrazione di centrodestra, guidata da Sebastián Piñera. Tuttavia, a partire dal 2023, gli indici di gradimento di Boric sono iniziati a crollare. E questo ha danneggiato senza dubbio la Jara, che è stata ministro del Lavoro fino allo scorso aprile. Certo, Kast si accinge a governare a fronte di un Congresso diviso: il che potrebbe rappresentare un problema per alcune delle sue proposte più incisive. Resta tuttavia il fatto che la sua vittoria ha avuto dei numeri assai significativi.
«La vittoria di Kast in Cile segue una serie di elezioni in America Latina che negli ultimi anni hanno spostato la regione verso destra, tra cui quelle in Argentina, Ecuador, Costa Rica ed El Salvador», ha riferito la Bbc. Lo spostamento a destra dell’America Latina è una buona notizia per la Casa Bianca. Ricordiamo che, alcuni giorni fa, Washington a pubblicato la sua nuova strategia di sicurezza nazionale: un documento alla cui base si registra il rilancio della Dottrina Monroe. Per Trump, l’obiettivo, da questo punto di vista, è duplice. Innanzitutto, punta a contrastare il fenomeno dell’immigrazione irregolare. In secondo luogo, mira ad arginare l’influenza geopolitica della Cina sull’Emisfero occidentale. Vale a tal proposito la pena di ricordare che Boric, negli ultimi anni, ha notevolmente avvicinato Santiago a Pechino. Una linea che, di certo, a Washington non è stata apprezzata.
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