2024-06-22
La Bologna a 30 all’ora odia i tram. Guerriglia per un albero da tagliare
Polizia assaltata dai centri sociali, contrari al cantiere che amplierà il trasporto pubblico e le scuole della città, con i soldi del Pnrr. Il sindaco piddino Lepore condanna, ma i talebani green li ha allevati lui. A Bologna, per costruire nuove scuole e fare lavori per la tramvia, la polizia, riportando diversi feriti, ha dovuto combattere una specie di guerriglia urbana contro un gruppo di facinorosi che non vogliono che si abbattano gli alberi per portare a termine i due interventi. Il parco Don Bosco di Bologna è stato il campo di battaglia. Da una parte un cordone di polizia e carabinieri, varie decine, in tenuta antisommossa, ivi compresa la Digos: tutto per consentire a quei poveri lavoratori di portare avanti i lavori pubblici loro commissionati dal Comune con i fondi Pnrr. Dall’altra, come riportano le cronache locali, «Il comitato delle Scuole Besta guida un plotone di 60/70 persone: famiglie, giovani, anziani, studenti, frange anarchiche e dei collettivi, un mare magnum spinto dalla stessa forza motrice, cioè bloccare a ogni costo le operazioni di abbattimento del verde per fare largo al cantiere...». Tutto questo accade nella città più «verde» d’Italia dove si va a 30 all’ora anche per sentire il canto degli uccellini (era scritto in un documento ufficiale del Comune). Certo, non vogliamo dare la colpa al sindaco, Matteo Lepore, il quale ha condannato - e ci mancherebbe altro - l’operato di questa marmaglia di gente, scrivo «marmaglia» nel senso della Treccani: «Quantità di gente rumorosa e turbolenta oppure tale da suscitare fastidio, disprezzo e simili», chiaro no? È di tutta evidenza che oltre a essere rumorosi, fastidiosi e violenti, nelle loro rimostranze, è difficile trovare un qualche raziocinio perché è vero che si devono abbattere degli alberi (a parte che poi se ne potrebbero ripiantare altri), ma occorre ragionare sui motivi di questi abbattimenti che non sono contemplati dall’ideologia green cui certamente anche il sindaco Lepore ha dato una mano, ovviamente senza voler stabilire alcun legame tra il sindaco e quanto è accaduto. Ma l’ideologia è una brutta bestia e se anche involontariamente vi si soffia sopra poi prende fuoco e su questo dovrebbero interrogarsi in molti in Italia. Perché questa azione è priva di qualsiasi ragionevolezza? Perché quando si persegue un diritto - tipo quello di un ambiente salubre del quale piante e alberi fanno parte a pieno titolo -, si deve sempre considerare che quella azione di abbattimento è fatta per tutelare altri diritti come, in questo caso, il diritto all’educazione e la costruzione di nuove scuole nonché il diritto delle persone a poter utilizzare mezzi pubblici che, com’è noto, sono carenti in molte città. Partiamo dal trasporto pubblico. Anzitutto andrebbe ricordata a questa marmaglia che il trasporto pubblico serve ad abbattere l’inquinamento delle città senza costringere le persone a non utilizzare le auto e non offrire loro un’alternativa. E anche questo accade in molte città (non ultime Roma e Milano). Cosa c’è di più green del favorire il trasporto pubblico piuttosto che quello privato? Ma ancora: poiché i cosiddetti apostoli del green annunciano ogni due per tre di voler sostenere la causa sociale, secondo loro, l’ampliamento dei mezzi pubblici serve alla popolazione più ricca o a quella più povera? E allora si preferisce non abbattere gli alberi piuttosto che abbatterli per un motivo veramente green che è quello di favorire gli spostamenti delle persone facendo loro risparmiare soldi e soprattutto tempo da dedicare ad altro nella loro vita? Lo stesso ragionamento vale ovviamente per le scuole che, in molti casi, sono fatiscenti, non ci sono mai si soldi per restaurarle, neanche per manutenerle e, quindi, c’è bisogno di scuole efficienti, nuove, costruite secondo criteri più moderni, contenenti apparecchiature di diverso tipo, soprattutto informatico e telematico, e aule per l’insegnamento delle lingue, solo per fare degli esempi. E anche tutto questo risponde a un diritto essenziale per la nostra Costituzione che è quello a un’istruzione adeguata ai tempi e che si svolga in ambienti il più accoglienti possibili dove non bisogna stare attenti ai calcinacci che ti possono cadere in testa. Forse il diritto all’istruzione o il diritto alla mobilità pubblica sono diritti inferiori a quelli green? I diritti che riguardano l’ambiente superano tutti gli altri diritti o bisogna - come avviene in ogni civiltà giuridica - contemperare i diversi diritti, armonizzarli, tenerli insieme, valutare la possibilità di un rispetto di entrambi anche quando paiono tra di loro contraddittori? La nostra civiltà giuridica occidentale contempla diritti tra loro concorrenti ma questo non esime i pubblici poteri dal cercare una soluzione che rispetti entrambi. Mi rendo conto che questo tipo di ragionamenti non possono appartenere alle marmaglie perché lì più che col cervello si ragiona con la parte del corpo riservata alle deiezioni. Questo provoca problemi molto gravi, anche a livello di ordine pubblico, perché la mancanza del ragionamento, il soffiare sul fuoco dell’ideologia, non fa funzionare il cervello. E a tutto questo bisogna aggiungere anche un notevole livello di ignoranza, della quale questi soggetti non sembrano rendersi conto. D’altra parte, non si può chiedere a un ignorante di sapere di essere ignorante perché, appunto, lo ignora.
Il presidente di Generalfinance e docente di Corporate Finance alla Bocconi Maurizio Dallocchio e il vicedirettore de la Verità Giuliano Zulin
Dopo l’intervista di Maurizio Belpietro al ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, Zulin ha chiamato sul palco Dallocchio per discutere di quante risorse servono per la transizione energetica e di come la finanza possa effettivamente sostenerla.
Il tema centrale, secondo Dallocchio, è la relazione tra rendimento e impegno ambientale. «Se un green bond ha un rendimento leggermente inferiore a un titolo normale, con un differenziale di circa 5 punti base, è insensato - ha osservato - chi vuole investire nell’ambiente deve essere disposto a un sacrificio più elevato, ma serve chiarezza su dove vengono investiti i soldi». Attualmente i green bond rappresentano circa il 25% delle emissioni, un livello ritenuto ragionevole, ma è necessario collegare in modo trasparente raccolta e utilizzo dei fondi, con progetti misurabili e verificabili.
Dallocchio ha sottolineato anche il ruolo dei regolamenti europei. «L’Europa regolamenta duramente, ma finisce per ridurre la possibilità di azione. La rigidità rischia di scoraggiare le imprese dal quotarsi in borsa, con conseguenze negative sugli investimenti green. Oggi il 70% dei cda delle banche è dedicato alla compliance e questo non va bene». Un altro nodo evidenziato riguarda la concentrazione dei mercati: gli emittenti privati si riducono, mentre grandi attori privati dominano la borsa, rendendo difficile per le imprese italiane ed europee accedere al capitale. Secondo Dallocchio, le aziende dovranno abituarsi a un mercato dove le banche offrono meno credito diretto e più strumenti di trading, seguendo il modello americano.
Infine, il confronto tra politica monetaria europea e americana ha messo in luce contraddizioni: «La Fed dice di non occuparsi di clima, la Bce lo inserisce nei suoi valori, ma non abbiamo visto un reale miglioramento della finanza green in Europa. La sensibilità verso gli investimenti sostenibili resta più personale che istituzionale». Il panel ha così evidenziato come la finanza sostenibile possa sostenere la transizione energetica solo se accompagnata da chiarezza, regole coerenti e attenzione al ritorno degli investimenti, evitando mode o vincoli eccessivi che rischiano di paralizzare il mercato.
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Intervistato da Maurizio Belpietro, direttore de La Verità, il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica Gilberto Pichetto Fratin non usa giri di parole: «Io non sono contro l’elettrico, sono convinto che il motore elettrico abbia un futuro enorme. Ma una cosa è credere in una tecnologia, un’altra è trasformarla in un’imposizione politica. Questo ha fatto l’Unione Europea con la scadenza del 2035». Secondo Pichetto Fratin, il vincolo fissato a Bruxelles non nasce da ragioni scientifiche: «È come se io oggi decidessi quale sarà la tecnologia del 2040. È un metodo sovietico, come le tavole di Leontief: la politica stabilisce dall’alto cosa succederà, ignorando il mercato e i progressi scientifici. Nessuno mi toglie dalla testa che Timmermans abbia imposto alle case automobilistiche europee – che all’epoca erano d’accordo – il vincolo del 2035. Ma oggi quelle stesse industrie si accorgono che non è più sostenibile».
Il motore elettrico: futuro sì, imposizioni no. Il ministro tiene a ribadire di non avere pregiudizi sulla tecnologia: «Il motore elettrico è il più semplice da costruire, ha sette-otto volte meno pezzi, si rompe raramente. Pensi al motore del frigorifero: quello di mia madre ha funzionato cinquant’anni senza mai guastarsi. È una tecnologia solida. Ma da questo a imporre a tutti gli europei di pagare la riconversione industriale delle case automobilistiche, ce ne corre». Colonnine e paradosso dell’uovo e della gallina. Belpietro chiede conto del tema infrastrutturale: perché le gare per le colonnine sono andate deserte? Pichetto Fratin replica: «Perché non c’è il mercato. Non ci sono abbastanza auto elettriche in circolazione, quindi nessuno vuole investire. È il classico paradosso: prima l’uovo o la gallina?». Il ministro racconta di aver tentato in tutti i modi: «Ho fatto bandi, ho ripetuto le gare, ho perfino chiesto a Rfi di partecipare. Alla fine ho dovuto riconvertire i 597 milioni di fondi europei destinati alle colonnine, dopo una lunga contrattazione con Bruxelles. Ma anche qui si vede l’assurdità: l’Unione Europea ci impone obiettivi, senza considerare che il mercato non risponde».
Prezzi eccessivi e mercato bloccato. Un altro nodo è il costo delle auto elettriche: «In Germania servono due o tre annualità di stipendio di un operaio per comprarne una. In Italia ce ne vogliono cinque. Non è un caso che fino a poco tempo fa fossero auto da direttori di giornale o grandi manager. Questo non è un mercato libero, è un’imposizione politica». L’errore: imporre il motore, non le emissioni. Per Pichetto Fratin, l’errore dell’Ue è stato vincolare la tecnologia, non il risultato: «Se l’obiettivo era emissione zero nel 2035, bastava dirlo. Ci sono già veicoli diesel a emissioni zero, ci sono biocarburanti, c’è il biometano. Ma Bruxelles ha deciso che l’unica via è l’elettrico. È qui l’errore: hanno trasformato una direttiva ambientale in un regalo alle case automobilistiche, scaricando il costo sugli europei».
Bruxelles e la vicepresidente Ribera. Belpietro ricorda le dichiarazioni della vicepresidente Teresa Ribera. Il ministro risponde: «La Ribera è una che ascolta, devo riconoscerlo. Ma resta molto ideologica. E la Commissione Europea è un rassemblement, non un vero governo: dentro c’è di tutto. In Spagna, per esempio, la Ribera è stata protagonista delle scelte che hanno portato al blackout, puntando solo sulle rinnovabili senza un mix energetico». La critica alla Germania. Il ministro non risparmia critiche alla Germania: «Prima chiudono le centrali nucleari, poi riaprono quelle a carbone, la fonte più inquinante. È pura ipocrisia. Noi in Italia abbiamo smesso col carbone, ma a Berlino per compiacere i Verdi hanno abbandonato il nucleare e sono tornati indietro di decenni».
Obiettivi 2040: «Irrealistici per l’Italia». Si arriva quindi alla trattativa sul nuovo target europeo: riduzione del 90% delle emissioni entro il 2040. Pichetto Fratin è netto: «È un obiettivo irraggiungibile per l’Italia. I Paesi del Nord hanno territori sterminati e pochi abitanti. Noi abbiamo centomila borghi, due catene montuose, il mare, la Pianura Padana che soffre già l’inquinamento. Imporre le stesse regole a tutti è sbagliato. L’Italia rischia di non farcela e di pagare un prezzo altissimo». Il ruolo del gas e le prospettive future. Il ministro difende il gas come energia di transizione: «È il combustibile fossile meno dannoso, e ci accompagnerà per decenni. Prima di poterlo sostituire servirà il nucleare di quarta generazione, o magari la fusione. Nel frattempo il gas resta la garanzia di stabilità energetica». Conclusione: pragmatismo contro ideologia. Nelle battute finali dell’intervista con Belpietro, Pichetto Fratin riassume la sua posizione: «Ridurre le emissioni è un obiettivo giusto. Ma un conto è farlo con scienza e tecnologia, un altro è imporre scadenze irrealistiche che distruggono l’economia reale. Qui non si tratta di ambiente: si tratta di ideologia. E i costi ricadono sempre sugli europei.»
Il ministro aggiunge: «Oggi produciamo in Italia circa 260 TWh. Il resto lo importiamo, soprattutto dalla Francia, poi da Montenegro e altri paesi. Se vogliamo davvero dare una risposta a questo fabbisogno crescente, non c’è alternativa: bisogna guardare al nucleare. Non quello di ieri, ma un nuovo nucleare. Io sono convinto che la strada siano i piccoli reattori modulari, anche se aspettiamo i fatti concreti. È lì che dobbiamo guardare». Pichetto Fratin chiarisce: «Il nucleare non è un’alternativa alle altre fonti: non sostituisce l’eolico, non sostituisce il fotovoltaico, né il geotermico. Ma è un tassello indispensabile in un mix equilibrato. Senza, non potremo mai reggere i consumi futuri». Gas liquido e rapporti con gli Stati Uniti. Il discorso scivola poi sul gas: «Abbiamo firmato un accordo standard con gli Stati Uniti per l’importazione di Gnl, ma oggi non abbiamo ancora i rigassificatori sufficienti per rispettarlo. Oggi la nostra capacità di importazione è di circa 28 miliardi di metri cubi l’anno, mentre l’impegno arriverebbe a 60. Negli Usa i liquefattori sono in costruzione: servirà almeno un anno o due. E, comunque, non è lo Stato a comprare: sono gli operatori, come Eni, che decidono in base al prezzo. Non è un obbligo politico, è mercato». Bollette e prezzi dell’energia. Sul tema bollette, il ministro precisa: «L’obiettivo è farle scendere, ma non esistono bacchette magiche. Non è che con un mio decreto domani la bolletta cala: questo accadeva solo in altri regimi. Noi stiamo lavorando per correggere il meccanismo che determina il prezzo dell’energia, perché ci sono anomalie evidenti. A breve uscirà un decreto con alcuni interventi puntuali. Ma la verità è che per avere bollette davvero più basse bisogna avere energia a un costo molto più basso. E i francesi, grazie al nucleare, ce l’hanno a prezzi molto inferiori ai nostri».
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