2018-11-06
Boeri straparla di Duce vestito da Boldrini
A un convegno per i 120 anni dell'Inps il presidente riscrive la storia: «Non è nato sotto il fascismo». Vero, ma l'ente mise nel nome la previdenza sociale nel 1933. Poi taccia il governo di maschilismo perché taglia i congedi di paternità (e non la reversibilità).Da qualche giorno si discute di pensioni e fascismo. Il dibattito avviene in Rete: dunque nulla che riguardi i pensionati o la vita reale. Ma solo l'ego autoreferenziale di chi scrive. Il bla bla si è salito di livello quando Aldo Grasso sul Corriere della Sera alza la palla al numero uno dell'Inps, Tito Boeri. E il bla bla d'improvviso diventa istituzionale. Matteo Salvini la scorsa settimana dichiara a Radio Capital che il fascismo ha fatto tante cose per il sistema pensionistico. La leghista Barbara Saltamartini, intervistata da Radio 1 aggiunge che il fascismo «ha fatto tante cose buone delle quali alcune restano, per esempio l'Inps». Da lì, polemiche su polemiche. Fino a ieri quando il tecnico per antonomasia ha schiacciato la palla: «L'Inps non è fascista». Per la precisione, partecipando al convegno «Le donne nell'istituto ieri, oggi, domani» organizzato per i 120 anni dell'ente, Tito Boeri ha avuto modo di tuonare: «L'Inps non è nato durante il fascismo. Noi stiamo celebrando 120 anni di storia, un istituto nevralgico per il Paese che credo anche negli ultimi anni durante questa crisi così lunga e così difficile, ha tenuto insieme il tessuto sociale del Paese». È partito da lì per arrivare ai giorni moderni. Tutto un lungo giro di parole per dire che l'attuale governo è maschilista. «C'è poca attenzione da parte di coloro che si definiscono populisti verso la problematica femminile», ha affermato. «È significativo che nell'atteggiamento di estrema attenzione alle istanze popolari si parli di populismo, poi però nella volontà di rappresentare direttamente il popolo c'è una rappresentazione che è molto maschilista di queste necessità che verrebbero dal basso», ha concluso riferendosi all'idea di non rifinanziare i congedi di paternità, «che sono uno strumento fondamentale per promuovere una maggiore partecipazione delle donne al mercato del lavoro e per realizzare l'uguaglianza delle opportunità. Questo perché significa che anche i padri devono prendersi cura dei figli». Il tema è tanto ampio quanto delicato. Secondo Boeri l'Inps deve inculcare nei piccoli imprenditori il concetto della parità di genere visto che , sempre a suo dire, le Pmi italiane sono prevenute verso il concetto stesso di maternità. Peccato che sia il governo a legiferare e non l'Inps: quello di Boeri pare un allarme preventivo, atteggiamento che lo contraddistingue da quando si muove come ministro ombra dell'Economia. Sarebbe più interessante sentirlo parlare dei conti dell'Inps, e magari della possibilità di mettere a rendita gli immobili, oppure della possibilità di fare un vero riordino delle pensioni sociali. Insomma, fare il presidente dell'Inps. Piuttosto che organizzare convegni dove si parte da un tema importante quanto delicato e si finisce con il voler trasformare un ente previdenziale in un centro sociale dell'Anpi o nell'ufficio di Laura Boldini. Perché se vogliamo mettere i puntini sulle «i» come fanno tutti i competenti, dovremmo dire che ieri Boeri, festeggiando i 120 anni dell'Istituto, è inciampato in un falso storico. L'Inps diventa tale nel marzo del 1943. Dieci anni prima si chiamava Istituto nazionale fascista della previdenza sociale. Mentre nel 1898 si chiamava Cassa nazionale di previdenza per l'invalidità e la vecchiaia degli operai. Diventa Cassa nazionale per le assicurazioni sociali solo nel 1919. Alla presidenza del Consiglio c'era Vittorio Emanuele Orlando e a lui semmai si deve il primo passo vero verso la previdenza sociale; perché il suo governo rese i contributi obbligatori. Semmai Boeri dovrebbe festeggiare Orlando e dunque avrebbe dovuto aspettare un anno per organizzare il convegno. Ma sostenere che l'Inps non sia sorta durante il fascismo fa sorridere. Se c'è una ideologia statalista e iper assistenzialista è proprio quella di Benito Mussolini. Tant'è che in quegli anni si legiferò sulla maternità, si riorganizzò l'assistenza sociale e quella per la vecchiaia. Si definirono le malattie professionali e soprattutto s'inventò il sistema della reversibilità. Proprio quello che a Boeri sta sul gozzo. Quindi, se il governo toglierà gli incentivi per la paternità, possiamo anche immaginare che compia un errore (in fondo è una agevolazione in meno) ma lavorare sotto banco per sforbiciare le pensioni di reversibilità è qualcosa di molto più grande. Oltre al fatto che rappresenta la violazione di un accordo pattuito. Già due anni fa l'Inps aveva tentato di tagliare le pensioni di reversibilità, inserendo una clausola in una circolare e adesso cerca di farlo soffiando sulla bozza di legge che riguarda il taglio delle cosiddette pensioni d'oro. Eliminare la parte retributiva con un calcolo lineare ricadrebbe anche su quelle di reversibilità. La mossa è congelata. Per il momento. Ci piacerebbe però più trasparenza e meno ideologia. Tutte queste polemiche non servono e soprattutto non interessano i pensionati italiani. Sono appunto dibattiti sterili che animano i social, qualcosa di cui chi lavora forse non ha neppure tempo di occuparsi.
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