2024-03-13
Bluff, scontro totale, pace presidiata. Le tre ipotesi per la Nato al fronte
Il generale Leonardo Tricarico è scettico: «Sul tema è nato un vero suk». Invece Pietro Batacchi («Rid») immagina una «zona smilitarizzata» al confine coi territori occupati. Fabio Mini: «Armistizio distante: c’è troppa fame di profitti bellici».E che, al di là dello scandalo per la frase del Papa sulla «bandiera bianca», si sia attivato il linguaggio cifrato delle diplomazie. Certo, quello del presidente francese potrebbe essere un bluff. Un tentativo di confondere il nemico, mostrandosi disposti a tutto, in una fase difficile per Volodymyr Zelensky. Cerchiamo di spaventare Vladimir Putin, sperando molli la presa su Odessa e non gli venga in mente di tornare a Kiev.L’altra ipotesi è che gli occidentali stiano davvero alzando irresponsabilmente la posta. Macron, per gestire la crisi di consensi e riconquistare a mano armata l’egemonia in Europa, approfittando della crisi tedesca; i polacchi e i baltici, per la loro atavica ostilità alla Russia e la fissa per l’imminente attacco dello zar; l’Olanda, perché il premier, Mark Rutte, aspira alla segreteria generale della Nato, alla quale ieri si è candidato anche il presidente rumeno, Klaus Iohannis. Non a caso, il leader uscente dell’Alleanza, Jens Stoltenberg, è prudente: lunedì ha avvisato che, se pure ad agire fosse un singolo Stato, la Nato rischierebbe comunque di trovarsi coinvolta, vista la clausola di mutua assistenza tra i suoi membri. Al contrario, il presidente ceco, Petr Pavel, assicura che non vi sarebbero ostacoli alla missione «dal punto di vista del diritto internazionale e della Carta delle Nazioni Unite», fintantoché gli uomini in divisa svolgessero attività di supporto alla resistenza. È la posizione di Parigi.Insomma, può darsi che, dimentiche delle lezioni della storia, maestra di vita quasi sempre senza alunni, le classi dirigenti ci trascinino nell’abisso. Questa è la paura del generale Francesco Tricarico, il quale, alla Verità, confessa di vedere, al massimo, «un suk in cui ognuno dà fiato alle trombe, privo di senso dello Stato e del proprio ruolo». E se invece i nostri governi fossero razionali? Se coinvolgere i militari Nato rispondesse a un disegno, magari da concordare con il Cremlino?Significherebbe aver preso atto che la riconquista dei territori occupati è impossibile. O almeno, che una disfatta russa non è auspicabile: potrebbe portare a un collasso interno che, in realtà, nessuno vuole. S’è capito dalla freddezza americana ai tempi del fallito golpe del Gruppo Wagner: per le nostre cancellerie, un autocrate conosciuto è meglio del caos, oppure di un’élite più oltranzista di Putin. Ricordate, a giugno scorso, l’ansia per il destino delle valigette nucleari?Che persino Zelensky si prepari al congelamento dello status quo, più che all’ennesima controffensiva, sembra confermarlo una notizia cui ieri ha dato risalto Bloomberg: gli ucraini stanno fortificando le loro linee difensive. Tradotto: la priorità è evitare ulteriori sfondamenti, più che cacciare gli invasori. La sovranità di questi ultimi su Crimea e Donbass potrebbe essere riconosciuta di fatto anziché di diritto. In ogni caso, come ci suggerisce Pietro Batacchi, direttore di Rivista italiana difesa, attorno al nuovo confine si potrebbe realizzare una zona demilitarizzata. E a garanzia della parte occidentale della nazione, ovvero dell’inviolabilità della tregua, si schiererebbero i Paesi che hanno firmato i bilaterali per la sicurezza con l’Ucraina. Tipo la Francia, che ieri ha votato l’accordo in Parlamento. Oltre all’Italia, impegnata da una firma di Giorgia Meloni.Sarebbe una pace presidiata. Frutto di un patto scritto o di un’intesa top secret? Non è escluso prevalga, specie nei primi anni, la riservatezza. Uno scambio tacito: noi ingoiamo una violazione del diritto internazionale, però chiariamo, piazzando i i soldati, che i russi non possono fare manco un altro passo.Il generale Fabio Mini ci tiene a ricordare un dettaglio: «Ogni prospettiva ha un costo. Schierare forze Nato a difesa di ciò che potrebbe rimanere dell’Ucraina equivarrebbe al fallimento della strategia basata sulla vittoria ucraina». Ecco perché la segretezza sarebbe una forte tentazione: non puoi ingannare la Cina, che ha la testa a Taiwan, ma puoi evitare di ammettere con l’opinione pubblica che le docce ghiacciate alla faccia di Putin non sono servite a niente. D’altra parte, prosegue Mini, se l’invio di truppe preludesse a uno scontro totale, bisognerebbe predisporsi a «un’escalation che non esclude l’impiego del nucleare». La terza via da lui temuta è più cinica dell’armistizio sorvegliato. «I profitti sono la vera chiave di questo conflitto. Continuare ad alimentare a singhiozzo l’Ucraina è un modo per sacrificare un intero popolo sull’altare dei profitti di guerra, anticipo di quelli del dopoguerra. La logica del profitto», lamenta il generale, «impone una guerra lunga e dispendiosa. I profitti si basano sui consumi di energie, armamenti e uomini. Quelli della ricostruzione si basano sulla distruzione più ampia possibile». È pur vero che la ricostruzione «richiede la cessazione delle ostilità, con la garanzia che non riprendano almeno per un decennio». Ed è qui che rientrerebbero in ballo la cessione di territori alla Russia e la neutralità dell’Ucraina. Ma solo dopo altri mesi, forse anni, di massacri. E col rischio che, a furia di giocare col fuoco, ci scottiamo.
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