2024-06-29
«I morti per il clima sono diminuiti del 97%»
Bjorn Lomborg (Getty Images)
Il ricercatore danese Bjorn Lomborg uscito con «Falso allarme»: «Nell’ultimo secolo siamo passati da mezzo milione a 15.000 persone che perdono la vita per eventi atmosferici. Io non sostengo che non ci sia un problema, ma di affrontarlo nel limite del possibile».I più hanno imparato a conoscerlo come «l’ambientalista scettico», dal titolo del suo primo bestseller dedicato alle mistificazioni ecologiste. Ora è tornato con Falso allarme (Fazi editore), un corposo volume dedicato al cambiamento climatico e, soprattutto, al catastrofismo che innerva i discorsi degli odierni attivisti. Bjorn Lomborg sarà questa mattina ospite di Tv Verità, il format visibile sulla piattaforma digitale del nostro giornale, per una lunga chiacchierata di cui anticipiamo qui alcuni contenuti.Lei non è affatto un «negazionista climatico», per usare un termine piuttosto sgradevole ma di uso corrente. Nel suo libro lei si dice convinto non solo del fatto che il riscaldamento globale esista, ma pure del fatto che esso causerà parecchi danni.«Sì, io penso che il cambiamento climatico sia un fenomeno reale, penso che sia un problema. Però sto dalla parte di quello che dice la maggior parte della scienza in materia di cambiamento climatico, dalla parte di quel che dice anche la stessa Onu».E cioè?«La stessa Onu ci dice che il cambiamento climatico è un problema, ma non è la fine del mondo. Purtroppo, invece, tutta la narrazione intorno al cambiamento climatico è estremamente apocalittica, ci vuol far credere che davvero il cambiamento climatico rischia di portare all’estinzione dell’umanità da qui a breve».Cosa che lei ritiene essere falsa.«Non solo questo è falso, ma serve a terrorizzare i cittadini, le persone comuni e soprattutto genera un panico diffuso che è, diciamo, la forma mentis peggiore per affrontare il problema del cambiamento climatico. Quello che dico io è che dovremmo adottare un approccio basato sull’evidenza, basato sulla scienza, per evitare di spendere un’enorme quantità di soldi in soluzioni decisamente poco efficaci. Dobbiamo evitare, in poche parole, di bruciare tanto denaro per pratiche che non conducono affatto alla risoluzione del problema. Dovremmo adottare un approccio più pragmatico, più realistico, che è l'unico modo per affrontare veramente la questione».Tante volte in passato abbiamo sentito allarmi simili a quello attuale sul riscaldamento globale. Un tempo si parlava molto di buco nell’ozono, di effetto serra. Al Gore realizzava documentari decisamente allarmistici, tanto per citare un personaggio celebre. Eppure quel tipo di allarmismo non è mai stato massivo, pervasivo e globalmente diffuso come quello attuale. Le chiedo allora: quando è cambiata la narrazione? Quando ha cominciato a imporsi il racconto che ci ha convinto dell’imminenza dell’apocalisse?«È un’ottima domanda. È stato un processo lento. Come lei ricordava, già Al Gore più di venti anni fa ci parlava del fatto che avremmo osservato un aumento di 20 metri del livello del mare di lì a poco. Se fosse stato vero sarebbe stato tragico, ma non si è verificato. Si parlava dell’estinzione degli orsi polari, ma neanche questo si è verificato. Credo che questa tendenza all’allarmismo purtroppo sia un fenomeno presente nel Dna delle nostre società. E non è un fenomeno neanche nuovissimo».Decisamente no.«Ricorderete il dibattito sui limiti della crescita negli anni Settanta. Si diceva che nel giro di qualche decennio la civiltà sarebbe collassata perché non avremmo avuto più cibo. Era simile alla narrazione secondo cui il buco nell’ozono avrebbe provocato conseguenze devastanti. E ancora negli anni Ottanta si parlava della pioggia acida che avrebbe presto distrutto le foreste. Tutte queste narrazioni avevano dei granelli di verità, certo. Però poi, purtroppo, sono esplose, sono sfociate nell’allarmismo e quello che sta avvenendo col cambiamento climatico è esattamente la stessa cosa».Insomma anche in questo caso stiamo esagerando.«Il cambiamento climatico, come dicevo, è un problema, ma negli ultimi anni si è imposto nella narrazione pubblica come una minaccia esistenziale e questo ci porta ad avere un panico ingiustificato, a fare delle scelte molto sbagliate, e quello che cerco di fare nel libro è riportare la discussione ai fatti, all’evidenza dei fatti. Questa evidenza mostra una realtà molto diversa da quella che ci sentiamo raccontare costantemente sui media».Un esempio?«Beh, oggi ad esempio sentiamo parlare di come le catastrofi naturali stiano aumentando di continuo, di come i morti a causa degli eventi meteorologici avversi stiano aumentando costantemente: in realtà questo non è vero. Il grafico che mi piace di più fra quelli contenuti nel libro mostra il numero di morti a causa dei fenomeni legati al clima nel corso dell’ultimo secolo, e quello che vediamo è che un secolo fa circa mezzo milione di persone l’anno morivano a causa di eventi legati al clima. Quel numero oggi è sceso a 15.000 persone l’anno, quindi siamo riusciti a ridurre il numero di morti legati a fenomeni meteorologici avversi del 97%. E questa è una storia che parla di progresso, è una storia molto diversa da quella apocalittica che ci viene raccontata invece costantemente sui media».Nel suo libro ci sono alcuni passaggi che mi hanno colpito particolarmente. Il primo riguarda la data del 2030, che è da molti utilizzata come termine ultimo prima dell’irreparabile. Come si è arrivati a stabilire proprio quella data?«L’esempio del 2030 è suggestivo. È una data che ritorna costantemente nel dibattito intorno al cambiamento climatico e deriva da alcuni studi, in particolare da uno studio dell’Onu che ci ha detto che, se vogliamo evitare che di qui a un secolo le temperature aumentino di più di un grado e mezzo, dobbiamo completamente rivoluzionare la nostra economia, la nostra società entro il 2030. Allora, questo è vero. Se lo facessimo probabilmente riusciremmo ad evitare che le temperature aumentino sopra un certo livello, ma se provassimo a farlo, un cambiamento così estremo e così rapido avrebbe ovviamente delle conseguenze sociali devastanti che sarebbero molto peggiori di quelle del cambiamento climatico».E qui arriviamo al secondo passaggio che mi ha colpito molto. Lei mette in luce il carattere prescrittivo che assumono certe dichiarazioni degli scienziati. Si fanno ipotesi e diventano verità assolute impossibili da violare.«Il problema è questo. Ogni volta gli scienziati ci dicono: se volete ottenere X dovete fare Y. Questo è quello che la scienza deve fare: deve dare dei suggerimenti, delle indicazioni. Il problema è che poi nella narrazione pubblica questa indicazione ci viene presentata come una prescrizione: gli scienziati dicono che dobbiamo fare questa cosa. In realtà non è così: loro ci dicono semplicemente che cosa dovremmo fare per evitare un aumento delle temperature oltre un certo livello. Provo a spiegarmi. La Nasa ci dice: se volete andare su Marte dovete fare questo. Ma noi interpretiamo questa indicazione come una prescrizione: dobbiamo concentrare tutti i nostri sforzi e tutte le nostre risorse per arrivare su Marte. Capite che una cosa del genere è assurda. Però è un po’ quello che ci viene detto di fare rispetto al cambiamento climatico. Per evitare un aumento delle temperature sopra un certo livello dovremmo essere disposti a fare qualunque cosa al di là del costo economico e sociale che questo può comportare. C’è un altro esempio che mi piace fare».Prego.«Oggi in Europa muoiono circa 40.000 persone ogni anno a causa degli incidenti stradali. E questo è dovuto al fatto che noi abbiamo una società in cui usiamo le macchine e alle macchine è permesso ovviamente di andare a una certa velocità. È ovvio che se noi imponessimo domani un limite di velocità di 5 km all’ora, probabilmente riusciremmo a portare le morti annuali a zero. Ma c’è un motivo per cui non lo facciamo: perché ci rendiamo conto che poter viaggiare in autostrada a 120-130 km all’ora ha dei benefici. È quello che ci permette di vivere in una società avanzata, di viaggiare. Nessuno avrebbe il coraggio di dire che dobbiamo portare i limiti di velocità a 5 km all’ora anche in autostrada. Se qualcuno dicesse: “La scienza impone di portare i limiti di velocità a 5 km all’ora”, gli rideremmo dietro. Eppure questo è esattamente lo stesso approccio che adottiamo rispetto al cambiamento climatico. Dobbiamo tornare a una visione razionale, pragmatica, che parta dal presupposto che il cambiamento climatico è uno dei tanti problemi che ci troviamo ad affrontare come società. Dobbiamo cercare di affrontarlo nei limiti del possibile. Ma senza che i costi dei tentativi di risoluzione superino i costi del problema stesso, che è esattamente quello che avviene con l’approccio attuale».
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