2023-10-26
Bivio cruciale: attaccare Teheran o dialogarci
La guida suprema dell’Iran, Ali Khamenei (Ansa)
Con la teocrazia sia la linea morbida che quella dura presentano incognite. In ogni caso, la partita si gioca lì.Ai terroristi di Hamas e ai loro mandanti iraniani vanno riconosciute due grandi abilità. I primi stanno confermando una supremazia nella gestione delle informazioni, della propaganda e dei social sottostanti. Teheran per la prima volta, usando l’arma di Hamas e gli scudi umani di Gaza, sta tentando lo scacco matto in Medio Oriente. L’esercito israeliano da giorni attende l’autorizzazione per l’ingresso via terra nella Striscia di Gaza. Più attende e più rischia di perdere terreno in efficacia e in deterrenza psicologica. Un stop all’ingresso significherebbe invece molto di più: uno smacco e un ostacolo al mantenimento della supremazia militare nell’area. D’altro canto l’Iran sa perfettamente che un ingresso senza aver sgomberato dai civili l’intera area Nord (attorno alla capitale) significherebbe andare incontro a migliaia di morti. Distinguere Hamas dai cittadini palestinesi è difficile quanto distinguere una moschea da un deposito di munizioni. I terroristi si sono preparati bene e hanno creato intrecci e sovrapposizioni tali da rendere qualunque invasione una carneficina. Le parole di ieri del leader israeliano confermano la volontà di entrare a Gaza ma non aggiungono nulla alla strategie. Salvo che oggi o domani si faccia un blitz. L’Iran in ogni caso sa bene che l’opinione pubblica europea è molto spaccata e - purtroppo - in trend crescente antisemita. Per cui, se Israele non attacca diviene una nazione minore, se attacca e fa morti diventa il carnefice.Insomma, siamo di fronte a uno scenario nuovo per l’intero Medio Oriente. Una sorta di cul de sac di cui probabilmente Benjamin Netanyahu dovrà rispondere in futuro, ma che adesso prescinde dagli errori politici. In ballo c’è molto di più di un singolo governo, c’è la pace, la guerra nell’area e la sopravvivenza di un popolo. La domanda da porsi è quale reazione potrà portare avanti Gerusalemme. È sempre più chiaro che se desidera alzare la posta e cercare di trovare soluzioni è necessario passare a una nuova scala del puzzle. Hamas non è più il solo problema, ma Israele e il consesso internazionale dovranno mettere nero su bianco che il problema o la soluzione risiedono a Teheran. Inutile dire che le due posizioni portano a scenari opposti anche se ugualmente pericolosi. Ipotizziamo che si avvii una fase di dialogo e un allargato tavolo di trattative al quale potrà sedere pure l’Iran. Usa, Europa, Turchia e quindi la stessa Israele implicitamente riconosceranno a Teheran un ruolo di mediazione. Esattamente ciò che il Paese di Khamenei sta cercando di fare anche nel Caucaso. Lì, approfittando delle difficoltà russe e della guerra in Ucraina il ministro degli Esteri iraniano ha recentemente incontrato i vertici di Azerbajgian e dell’Armenia con l’idea di frenare ulteriori attacchi da parte di Baku. Se l’Iran riuscisse a fare la stessa cosa su Gaza da Stato canaglia diventerebbe player dell’intera area. Al contrario, Israele potrebbe avere la tentazione di alzare il tiro e allargare il conflitto. Puntare il dito direttamente sull’Iran significherebbe non farsi commissariare dalle armi e dalla diplomazia americana. Tra l’altro sarebbe una opzione da scongiurare, visto che solo Israele da sola ha la flessibilità per parlare sia con i sauditi che con i turchi, o con i russi e gli ucraini. Il tutto allo stesso tempo. Una escalation militare verso l’Iran è pericolosissima. Chi può sapere cosa genererebbe? Un Iran ufficializzato quale mediatore dall’Occidente però creerebbe pericoli di altra natura ma non meno trascurabili. Non dimentichiamo che le associazioni jihadiste che Teheran sostiene hanno per statuto non solo l’azzeramento di Israele ma la diffusione della sharia in Europa e la globalizzazione della jihad. In pratica, tutti noi «crociati» saremmo in pericolo e visto il subbuglio delle piazze nelle capitali Ue sarebbe meglio evitare il raddoppio del potere iraniano. Allora, divisi tra l’invasione e una guerra mondiale non resta che stare a guardare che cosa faranno Recepp Erdogan e il suo potente ministro degli Esteri, Hakan Fidan. Gli accordi tra Israele e Arabia Saudita in scia ai patti di Abramo hanno un terzo elemento portante che si chiama Ankara. La mossa di Teheran via Hamas ha come obiettivo immediato cercare di interrompere le trattative tra Gerusalemme e Riad, ma anche smuovere la Turchia. I rapporti tra Erdogan e Netanyahu sono buoni e con il perfezionamento di un nuovo asse con Bin Salman sarebbe destinati a migliorare. Per Teheran significherebbe più isolamento ed espulsione dalla partita irachena. Quella tra Turchia e Repubblica islamica è una rivalità controllata e - duole dirlo - anche stavolta Erdogan può essere il prestigiatore in grado di tirare fuori il coniglio dal cilindro. La Turchia è una strana bestia, metà appartenente alla Nato e storicamente laica, metà legata alla dittatura e alla proiezione verso Est e verso gli altri Paesi musulmani. Ankara potrà fare da filtro come un Giano bifronte. Un faccia parla con l’Occidente e l’altra con Oriente, alias Teheran. Il filtro serve a non elevare l’Iran a mediatore ma comporta un costo. Ciò che Erdogan chiederà in cambio. La partita dell’ingresso dei due Paesi scandinavi nella Nato se l’è giocata per rafforzare la politica interna e prepararsi alle elezioni. Il prossimo mese si celebreranno gli 85 anni della morte di Ataturk e potrebbe essere l’occasione per espandere l’impero Blu e quindi chiedere più Mediterraneo.
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