2024-01-14
«Mittal considera l’Ilva un concorrente da affossare. Contatti con gruppi italiani»
Massimo Bitonci (Imagoeconomica)
Il sottosegretario al Mimit Massimo Bitonci: «I legali trattano per evitare future cause, ma gli indiani non avranno più poteri nella gestione. L’ad Morselli? Giudizi negativi da fornitori e indotto».La palla è in mano agli avvocati e il risultato della trattativa tra i legali di ArcelorMittal e quelli di Invitalia indicherà la strada che dovrà percorrere l’ex Ilva per uscire fuori dall’ennesimo guado nel quale il colosso dai piedi d’argilla dell’acciaio si è fermato. Se infatti i due azionisti (68% gli indiani, 32% lo Stato) dovessero accordarsi per un «divorzio consensuale», è probabile che sia il cda di Acciaierie d’Italia a chiedere l’amministrazione straordinaria che poi porterà alla nomina di uno o più commissari, se invece ci sarà rottura, probabilmente lo Stato (in virtù di una norma ad hoc approvata nel decreto asset) ugualmente chiederà la nomina di un commissario, ma resterebbe la spada di Damocle di un mega-contenzioso con i Mittal. Non è una differenza di poco conto. Per questo al momento le bocche sono cucite e si lascia che siano gli studi specializzati (Cleary Gittlieb per Arcelor e Chiomenti per il socio pubblico) a fare le loro mosse. C’è tempo fino a mercoledì 17 gennaio. Il sottosegretario al ministero delle Imprese del Made in Italy Massimo Bitonci si dice ottimista e sottolinea che un tentativo andava fatto anche perché «ci sono buone speranze di riuscita». Ma anche che il governo è disposto ad arrivare fino a un certo punto. I legali sono al lavoro, ci sono in ballo crediti, debiti e investimenti millantati e mai fatti, e sembra che alla fine Mittal possa chiedere un indennizzo. Sottosegretario, fino a che punto siete disposti ad arrivare?«Guardi non mi faccia entrare in un campo che non è di mia competenza. Ci sono gli avvocati al lavoro, ci sono dei contratti firmati e in base a quelli si farà di conto. Il punto però è che lo Stato non è più disposto a scendere a patti rispetto alla governance o a possibilità che gli indiani possano incidere anche semplicemente con un potere di veto sulle scelte future dell’ex Ilva. Quel capitolo è chiuso». Perché solo adesso questa decisione?«Perché ci sono tante cose da considerare prima di imboccare una strada che potrebbe portare a un contenzioso importante. Ma dopo l’incontro dell’8 gennaio non si torna più indietro. Il primo socio si è detto indisponibile a fare altri investimenti. Ormai è chiaro che l’unico obiettivo del colosso asiatico è quello di mantenere in stagnazione i siti italiani in modo da avere un concorrente in meno. Del resto basta guardare il piano industriale di Mittal per rendersene conto. Un piano che cancella Italia ed Europa dal futuro del gruppo. Non possiamo quindi più permettere che chi non ha a cuore gli interessi dell’azienda continui ad avere voce in capitolo sulle decisioni che la riguardano». Adesso cosa potrebbe succedere?«Andiamo per step. Fino al 17 è aperta questa trattativa che vede in prima fila gli studi legali». Se si dovesse trovare un accordo?«In quel caso è possibile che sia lo stesso consiglio di amministrazione di Ilva a chiedere l’amministrazione straordinaria». Se invece dovesse esserci una rottura?«In quel caso c’è un decreto ad hoc che dà la possibilità allo Stato seppur in minoranza di chiedere l’apertura della procedura di amministrazione straordinaria». Ma resterebbe il grosso rischio contenziosi.«Appunto. Quello che stiamo cercando di evitare». E lo Stato?«Lo Stato si è impegnato in primis a garantire la continuità aziendale e i livelli occupazionali e poi a prendere la maggioranza dell’azienda, a portare a termine un primo aumento di capitale da 320 milioni e a investire nel tempo un altro miliardo».E a cercare un socio privato?«Guardi, vista la situazione in cui versava l’Ilva, l’interlocuzione con i privati italiani del settore non si è mai interrotta da un anno a questa parte».Si parla di Arvedi in pole position. «Si figuri se in questo momento posso fare dei nomi. In questo momento sarebbe prematuro. Anche perché chiunque abbia interesse vuole avere della garanzie rispetto alle mille questioni aperte: dai pagamenti dei fornitori fino ad arrivare ai potenziali contenziosi e alle inchieste della magistratura». A proposito di aziende private del settore. Antonio Gozzi, il presidente di Federacciai, ha detto che a causa delle norme Ue che pretendono pagamenti per le emissioni di CO2, Ilva sarà costretta a passare dal ciclo integrale (produzione con coke e minerale di ferro) al forno elettrico (produzione da rottami d’acciaio). Così, in buona sostanza, Taranto perderebbe il ruolo di leadership nella produzione dell’acciaio. «Penso che queste siano scelte che spetteranno al futuro socio privato. In generale però posso dirle che coesistono un problema di economie di scala che impianti di questa dimensione devono per forza di cose mantenere perché il sito sia produttivo e una questione ambientale che anche per la storia di Ilva non può essere sottovalutata. Si tratta di trovare un compromesso». Un’ultima sul management. Lei riconfermerebbe quello attuale?«Non conosco personalmente l’ad Lucia Morselli. Ma ne ho sentito molto parlare da aziende dell’indotto dell’acciaio e dai fornitori. In modo per nulla positivo».
Edoardo Raspelli (Getty Images)
Nel riquadro: Mauro Micillo, responsabile Divisione IMI Corporate & Investment Banking di Intesa Sanpaolo (Getty Images)