2025-05-01
La lezione memorabile di Ratzinger nel 1968
Joseph Ratzinger, papa Benedetto XVI (Getty)
In libreria l’importante saggio biografico su Benedetto XVI di Elio Guerriero. Pubblichiamo estratti sulla genesi di «Introduzione al cristianesimo», capolavoro con cui il futuro pontefice rispose all’ondata postconciliare riattualizzando i fondamenti della fede.Negli ultimi mesi del 1965, quando il Vaticano II volgeva a conclusione, Ratzinger notava che nel suo paese si stava diffondendo una crescente delusione per gli esiti del Concilio. [...] I conservatori si opponevano ai cambiamenti introdotti dalle disposizioni conciliari. I progressisti, al contrario, volevano rapide innovazioni nel governo della Chiesa, in campo liturgico, nella vita quotidiana del clero e dei fedeli. Ratzinger prendeva le distanze dagli uni e dagli altri. Aveva, infatti, l’impressione che l’aggiornamento voluto da papa Giovanni si stesse trasformando in un’ansia indiscriminata di cambiamento. Nel 1966, pochi mesi dopo il ritorno in Germania, tenne una famosa conferenza sul cattolicesimo dopo il Concilio. Tre, a suo avviso, erano gli ambiti dove più forti erano presenti le tensioni. Primo: il campo liturgico. La riforma approvata dai padri conciliari gli appariva legittima e necessaria, non così il gratuito sperimentalismo introdotto successivamente in molte comunità cattoliche. Antiche e nobili forme liturgiche venivano abbandonate con furia iconoclasta. La vera riforma liturgica esigeva, a suo avviso, la longanimità dell’amore. Secondo: il rapporto Chiesa-mondo. Il corretto rapporto Chiesa-mondo si dispiega, per Ratzinger, nella compresenza di due dimensioni ugualmente necessarie. In primo luogo vi è il momento incarnatorio. Il Dio cristiano non è alieno dal mondo, al contrario si è incarnato proprio per salvare questo mondo. Di conseguenza il cristiano non fugge dalla comunità degli uomini, si impegna con gioia nell’oggi, si rallegra di tutto ciò che è bello, grande e nobile. Vi è, tuttavia, un secondo momento ugualmente irrinunciabile nel quale il cristiano è chiamato a testimoniare la morte-resurrezione di Gesù. Non si può infatti, come ripeteva san Paolo, eliminare lo scandalo della croce. Al contrario, con il suo Signore, il cristiano stesso può essere chiamato a dare testimonianza coraggiosa per la sua fede con la sofferenza e, a volte, anche con la morte. Terzo: l’ecumenismo. Dichiarava Ratzinger: è finito, per grazia di Dio, il tempo in cui la Chiesa cattolica chiedeva ai cosiddetti fratelli separati di ritornare nel suo seno, dopo aver riconosciuto i propri errori. Oggi, però, vi sono gli impazienti che non vedono alcuna differenza tra le diverse confessioni. Essi chiedono alla loro Chiesa di considerarsi unicamente come una confessione tra le altre, rinunciando ad ogni peculiare concezione, ad ogni antica tradizione. In tutti e tre questi ambiti, concludeva Ratzinger, manca la gratitudine per il soffio dello Spirito Santo che ha messo in atto il rinnovamento ecclesiale, la pazienza che è forma concreta, quotidiana dell’amore. Al ritorno dal Concilio Ratzinger era noto non solamente nel mondo degli specialisti, ma veniva letto ed apprezzato anche dal grande pubblico. Gli giunse allora l’offerta dell’università di Tubinga che all’epoca vantava la cattedra di teologia più prestigiosa dell’intera Germania. Per Ratzinger vi erano altri due buoni motivi che l’indussero a cambiare ancora una volta università. L’insegnamento teologico impartito nella cittadina sveva aveva una lunga tradizione di riflessione a partire dalla storia della salvezza, un indirizzo che l’esperto del Concilio sentiva a sé congeniale come era emerso anche a Roma, in particolare nella discussione della Costituzione sulla divina rivelazione. Tubinga, inoltre, non era così distante dalla Baviera, di modo che la fatica del trasloco era compensata dall’avvicinamento a casa. L’inizio dell’insegnamento a Tubinga fu ancora una volta entusiasmante. La fama del nuovo professore era tale che lo seguivano numerosi studenti di teologia e anche giovani di altre facoltà. E allora Ratzinger prese una iniziativa fino allora provata da pochi, celebri professori di teologia: un insegnamento diretto agli studenti di tutte le facoltà. L’argomento scelto fu una introduzione generale al cristianesimo. Alle due lezioni settimanali, che si svolgevano di mercoledì e giovedì dalle 17 alle 18, intervenivano studenti da tutte le facoltà ma anche sacerdoti in cura d’anime, religiosi, semplici laici. L’insegnamento veniva proposto nella forma pacata cara dell’autore, con argomenti desunti della Scrittura, dai padri della Chiesa e dalla filosofia. Il numero degli ascoltatori era tale che il suo assistente ebbe una brillante idea. Al posto degli appunti dai quali gli assistenti erano poi soliti ricavare le dispense per gli esami, egli portava in aula un registratore che all’epoca aveva dimensioni mastodontiche. Le lezioni così registrate vennero poi trascritte dagli assistenti. Da questo materiale, con poche correzioni e una revisione finale, il professor Ratzinger ricavò uno dei libri di teologia più famosi della seconda metà del Novecento. Pubblicato per la prima volta in Germania nel 1968, Introduzione al cristianesimo venne ristampato in patria una decina di volte nello stesso anno, mentre all’estero venne tradotto in una ventina di lingue. Anzitutto alcuni aneddoti a chiarificare il compito della teologia. Per convincere gli ascoltatori della bontà del proprio annuncio non basta al teologo cambiare di vestito e di linguaggio. Corre il rischio di quel clown che, inviato dal direttore del circo a chiamare aiuto perché nel campo era scoppiato un incendio, suscita piuttosto l’ilarità generale. Gli uditori ritengono che i suoi accorati tentativi per spingerli a intervenire siano solo un trucco per convincerli a partecipare allo spettacolo. Nel frattempo l’incendio fa scempio del circo. Scendendo dal suo piedistallo il teologo è, invece, inviato a condividere la condizione dell’umanità, a confrontarsi anzitutto con il dubbio che interpella il credente come il non credente. Al riguardo Ratzinger ricordava una storiella ebraica. Un esploratore assai erudito andò a far visita a un giusto noto per la sua fede e semplicità. Ammesso alla sua presenza, l’esploratore ripeté le argomentazioni che avevano messo in difficoltà numerosi dotti. Il giusto non rispondeva. Continuava a passeggiare per la casa. Solo dopo qualche tempo replicò: «Chissà, forse è proprio vero». A quel punto il dotto non ebbe più la forza di replicare. Aveva capito che il dubbio è una realtà con la quale ogni uomo, credente o meno, deve confrontarsi. Di qui la conclusione di Ratzinger: «Chi pretende di sfuggire l’incertezza della fede dovrà fare i conti con l’incertezza dell’incredulità». Il monito rivolto ai teologi veniva accompagnato dall’invito potente a preservare la fede che è di sostegno alla fratellanza universale. All’inizio del volume Ratzinger riportava la scena grandiosa descritta da Paul Claudel ad apertura della Scarpetta di raso. Vi si narra di un missionario gesuita, la cui nave era stata affondata dai pirati. Aggrappato a una tavola di legno che va alla deriva il religioso assomiglia a Cristo in croce. Tutto lascia pensare che presto verrà risucchiato nell’abisso come tutti i suoi compagni prima di lui. Egli, tuttavia, non abbandona la presa e prima di affondare offre la sua vita per il fratello che, lontano da Dio, insegue le ricchezze del mondo. La morte del sacerdote sarà poi di salvezza per il fratello avventuriero. A quanti si accingevano a lasciare la Chiesa per solidarietà con i poveri e i diseredati il teologo ricordava una fraternità in grado di oltrepassare perfino il limite della vita terrena. Dopo la parte introduttiva, il volume è diviso in tre parti dedicate alle persone della Trinità: il Padre, il Figlio, lo Spirito Santo. Le tre persone divine sono unite da un legame d’amore che è anche all’origine della creazione dell’uomo e dell’interno cosmo. A sostegno di questa affermazione, Ratzinger rincorre all’ultimo verso della Commedia di Dante: «L’amor che move il sole e l’altre stelle». Nell’amore il Padre genera il Figlio. Per questo la creazione è disseminata di segni che rimandano a Dio. Ed è da qui che nasce la fede che è il riconoscimento che la realtà è più del sensibile che possiamo vedere e toccare. È la fiduciosa accettazione che il reale ha un senso, un fiducioso piantarsi sul terreno del Logos, della parola di Dio che, per i cristiani, ha un nome e si chiama Gesù Cristo. Il successo internazionale di Introduzione al cristianesimo non poté fermare l’ondata contestatrice del 1968. In breve tempo la rivolta degli studenti si diffuse in tutta l’Europa. In Germania proprio Tubinga, dove insegnava Ratzinger, divenne il centro promotore di un moto di rivolta che sembrava inarrestabile. Gli studenti contestatori sottoponevano a revisione critica l’intera storia che reca l’impronta cristiana e Gesù Cristo veniva a sua volta accusato in quanto iniziatore di questa storia. Anche le facoltà di teologia finirono per condividere queste critiche prive di fondamento, del tutto arbitrarie. Diversi professori tacevano o cercavano un dialogo impossibile. Ratzinger, che nel ’68 era decano della facoltà cattolica, ritenne al contrario di non potere più tacere. Quando i giovani fecero irruzione nel senato accademico lanciando le loro accuse egli raccolse le sue carte e se ne andò. In quell’anno, peraltro, gli giunse l’offerta di una nuova cattedra. L’invito arrivava da Regensburg [...] Nella città sul Danubio già da qualche tempo risiedeva il fratello Georg nominato direttore del coro del duomo di Ratisbona, che reca un nome curioso: Domspatzen, i «passeri del duomo». Vi era dunque, la possibilità di riunire nuovamente la famiglia. Il professore di teologia non si lasciò sfuggire l’occasione.
L'ex amministratore delegato di Mediobanca Alberto Nagel (Imagoeconomica)
Giorgia Meloni ad Ancona per la campagna di Acquaroli (Ansa)
«Nessuno in Italia è oggetto di un discorso di odio come la sottoscritta e difficilmente mi posso odiare da sola. L'ultimo è un consigliere comunale di Genova, credo del Pd, che ha detto alla capogruppo di Fdi «Vi abbiamo appeso a testa in giù già una volta». «Calmiamoci, riportiamo il dibattito dove deve stare». Lo ha detto la premier Giorgia Meloni nel comizio di chiusura della campagna elettorale di Francesco Acquaroli ad Ancona. «C'é un business dell'odio» ha affermato Giorgia Meloni. «Riportiamo il dibattito dove deve stare. Per alcuni è difficile, perché non sanno che dire». «Alcuni lo fanno per strategia politica perché sono senza argomenti, altri per tornaconto personale perché c'e' un business dell'odio. Le lezioni di morale da questi qua non me le faccio fare».
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