2024-06-15
I big sfidano l’asse Pechino-Mosca. Dagli asset russi 50 miliardi per Kiev
Joe Biden e Giorgia Meloni (Ansa)
Il documento finale conferma la confisca dei beni sovrani agli aggressori. Vladimir Putin minaccia: «I furti non restano impuniti». Prosegue intanto il pressing sul Dragone affinché non spalleggi lo zar e non distorca il mercato.«Il presidente americano, Joe Biden, ha lodato il premier, Giorgia Meloni, per il costante supporto dell’Italia all’Ucraina»: la Casa Bianca non nasconde l’apprezzamento per l’incessante impegno del governo italiano al fianco di Kiev. Un impegno che la presidenza italiana del G7 è riuscito a tramutare in un aiuto concreto: ben 50 miliardi di dollari verranno erogati entro l’anno al governo di Volodymyr Zelensky. I denari verranno poi recuperati attraverso la confisca dei profitti degli asset russi in Occidente, soprattutto in Europa: «Al fine di sostenere le esigenze attuali e future dell’Ucraina di fronte a una difesa prolungata contro la Russia», si legge nella dichiarazione finale del vertice, «il G7 lancerà prestiti straordinari per l’accelerazione delle entrate per l’Ucraina, al fine di mettere a disposizione dell’Ucraina circa 50 miliardi di dollari di finanziamenti aggiuntivi entro la fine dell’anno. Pertanto, fatti salvi eventuali altri contributi e restando uniti, il G7 intende fornire finanziamenti che saranno serviti e ripagati dai futuri flussi di entrate straordinarie derivanti dall’immobilizzazione dei beni sovrani russi detenuti nell’Unione europea e in altre giurisdizioni rilevanti. I beni sovrani della Russia», si precisa, «nelle nostre giurisdizioni rimarranno immobilizzati finché la Russia non porrà fine alla sua aggressione e non pagherà i danni che ha causato all’Ucraina”». Non si è fatta attendere la replica di Vladimir Putin, che parla senza mezzi termini di «furto»: «I Paesi occidentali», dice Putin, «hanno congelato parte dei beni russi e delle riserve valutarie e ora stanno valutando una base giuridica per appropriarsene definitivamente. Anche se indoriamo la pillola, il furto resta un furto e non rimarrà impunito». Valgono circa 260 miliardi di euro i beni russi congelati in Occidente, per la maggior parte in Europa, e fruttano circa 5 miliardi di dollari di interessi l’anno: per ripagare i 50 miliardi ci vorranno quindi più o meno 10 anni. Cosa accadrà se in questo periodo di tempo la guerra finirà e i beni russi verranno restituiti ai proprietari? Non si sa. Quello che si sa è che intanto i Paesi del G7 devono trovare una forma giuridica per giustificare questa mossa. Non solo Russia, comunque: il G7 fa la faccia feroce anche con la Cina, minacciando sanzioni: «Continueremo ad adottare misure», si legge nella dichiarazione finale, «contro gli attori in Cina e nei Paesi terzi che sostengono materialmente la macchina da guerra russa, comprese le istituzioni finanziarie, in linea con i nostri sistemi legali, e altre entità in Cina che facilitano l’acquisizione da parte della Russia di articoli per la sua base industriale di difesa. Esprimiamo la nostra profonda preoccupazione per il sostegno della Repubblica popolare cinese alla Russia. Chiediamo alla Cina di esercitare pressioni sulla Russia affinché interrompa la sua aggressione militare e ritiri immediatamente, completamente e incondizionatamente le sue truppe dall’Ucraina. Incoraggiamo la Cina a sostenere una pace globale, giusta e duratura basata sull’integrità territoriale e sui principi e gli scopi della Carta delle Nazioni Unite, anche attraverso il dialogo diretto con l’Ucraina. Il continuo sostegno della Cina alla base industriale della difesa russa», si legge ancora, «sta consentendo alla Russia di portare avanti la sua guerra illegale in Ucraina e ha implicazioni significative e di ampia portata sulla sicurezza. Chiediamo alla Cina di cessare il trasferimento di materiali a duplice uso, compresi componenti e attrezzature per armi, che costituiscono input per il settore della difesa russo». Ma il G7 lancia un avvertimento a Pechino anche sulla strategia economica basata su un export che cresce a dismisura. Pochi giorni fa, l’Unione europea ha deciso di imporre dei dazi sulle auto elettriche cinesi importate nel continente. Al G7 l’argomento della concorrenza di Pechino è centrale: «Sono lieta», dice la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, durante la sessione sulla sicurezza economica, «che concordiamo di lavorare su una valutazione condivisa delle sovraccapacità della Cina. Nonostante le smentite, la Cina produce più di tutti i Paesi del G7 messi insieme, la sua strategia industriale è sempre più focalizzata sulla spinta dell’export e questo ha ricadute sempre più preoccupanti per il resto del mondo». Pochi giorni fa l’Ue ha esteso i dazi sulle auto elettriche importate dalla Cina. «Con la Cina cerchiamo relazioni costruttive e stabili», scrivono i Sette grandi nella dichiarazione finale, «e riconosciamo l’importanza di un impegno diretto e schietto per esprimere preoccupazioni e gestire le differenze. Agiamo nel nostro interesse nazionale ma dato il ruolo della Cina nella comunità internazionale, la cooperazione è necessaria per affrontare le sfide globali e continuiamo a impegnarci in aree di interesse comune. Il G7 riconosce l’importanza della Cina nel commercio globale e non sta cercando di danneggiare o di ostacolare il suo sviluppo economico», si legge ancora, «ma esprime preoccupazioni per le sue politiche industriali che stanno portando a ricadute globali e distorsioni del mercato e nei tassi di crescita minando lavoratori, industrie e la nostra resilienza e sicurezza economica». In particolare, il G7 chiede alla Cina di «astenersi dall’adottare misure di controllo delle esportazioni, in particolare di minerali critici, che potrebbero portare a significativi malfunzionamenti della catena di approvvigionamento globale».