2020-08-12
Biden per la corsa alla Casa Bianca ha scelto il peggio: Kamala Harris
True
Alla fine i pronostici sono stati confermati. Martedì, Joe Biden ha scelto la senatrice californiana, Kamala Harris, come propria candidata alla vicepresidenza. Nelle scorse settimane, il suo nome era stato d'altronde tra quelli più gettonati. «Ho il grande onore di annunciare che ho scelto Kamala Harris - una combattente senza paura per i più deboli e uno dei migliori funzionari pubblici del Paese - come mia running mate», ha scritto il candidato democratico su Twitter.«Ai tempi in cui Kamala era procuratore generale», ha proseguito l'ex vicepresidente, «lavorava a stretto contatto con Beau [figlio defunto di Joe Biden, ndr]. Li ho visti sfidare le grandi banche, aiutare i lavoratori e proteggere donne e bambini dagli abusi. Allora ero orgoglioso e ora sono orgoglioso di averla come mia partner in questa campagna». Il ticket democratico è ora al completo, pronto per l'investitura che - tra pochi giorni - avrà luogo alla convention nazionale di Milwaukee. Quello che è quindi adesso necessario cercare di comprendere è quanto la scelta della Harris possa rivelarsi efficace. Perché, su questo punto, i dubbi non sono affatto pochi. È vero, la senatrice californiana corrisponde all'identikit di vicepresidente che Biden aveva mostrato di avere in mente: quello, cioè, di una donna afroamericana. Un profilo che, agli occhi del candidato dem, si è reso in un certo senso ancora più necessario a seguito delle proteste per la morte di George Floyd. Eppure i punti interrogativi non mancano. In primo luogo, si scorge un problema di natura strutturale. Storicamente, nel corso delle campagne elettorali americane, la scelta del candidato alla vicepresidenza viene effettuata con l'intento di federare internamente il partito di riferimento. In tal senso, il candidato vice appartiene di solito a una corrente diversa da quella del candidato presidente. In questo caso, non è tuttavia ben chiaro in che modo la Harris possa aiutare Biden a tenere unito un partito fortemente spaccato, come quello democratico. Non dimentichiamo infatti che, nel corso delle ultime primarie, la senatrice californiana non abbia mai riscontrato le simpatie della sinistra sandersiana. Quella sinistra sandersiana che - non senza qualche ragione - ha sovente accusato la Harris di opportunismo politico. In secondo luogo, non dimentichiamo che la diretta interessata, durante le primarie, abbia raccolto risultati disastrosi. Fatta eccezione per un breve periodo di gloria nell'estate del 2019, la Harris ha sempre registrato numeri sondaggistici particolarmente bassi (viaggiava intorno al 4%): circostanza che la costrinse, lo scorso dicembre, a ritirarsi ancor prima dell'inizio delle votazioni vere e proprie.In terzo luogo, si scorge un problema di credibilità. Nel dibattito televisivo tra i candidati alla nomination democratica del giugno 2019, la Harris fu colei che accusò duramente Biden di pregresse collusioni con ambienti segregazionisti in seno al Partito democratico. E, sempre la Harris, nell'aprile 2019 disse di credere alle donne che - in quel periodo - avevano accusato l'ex vicepresidente di molestie sessuali. Che adesso la senatrice, come se niente fosse, appaia convertita sulla via di Damasco, la espone - una volta di più - all'accusa di opportunismo. E proprio su queste contraddizioni farà prevedibilmente leva il comitato elettorale di Trump. Senza poi trascurare che, secondo i beninformati, anche nello stesso entourage dell'ex vicepresidente vi sarebbero settori fortemente ostili alla senatrice.In quarto luogo, non è esattamente chiaro come - dal punto di vista eminentemente politico - la Harris possa aiutare Biden in aree problematiche come la Rust Belt: la senatrice appartiene alla corrente liberal progressista dell'asinello. Una corrente molto concentrata sui diritti civili, ma non abbastanza ferrata su quelli sociali. Una corrente che - nel 2016 - i colletti blu di Stati come Michigan, Pennsylvania e Ohio hanno mostrato di non avere troppo in simpatia. Non è quindi chiaro in che modo la Harris possa consentire a Biden di recuperare terreno in queste aree dirimenti. Tanto più che la diretta interessata si è spesso mostrata come una paladina dell'ambientalismo più acceso: un fattore che, dalle parti della Pennsylvania, potrebbe non essere granché apprezzato. Certo: qualcuno potrebbe dire che la sua scelta garantisca al ticket democratico l'appoggio di uno Stato popoloso come la California. Si tratta tuttavia di un argomento debole, visto che - anche senza di lei - la California avrebbe comunque votato per l'asinello alle prossime presidenziali. Insomma, al di là del voler dare un segnale di accondiscendenza verso il movimento di Black Lives Matter, sfugge onestamente il senso strategico della scelta della Harris. Una scelta che, anziché dare una direzione concreta, rischia di portare il Partito democratico su posizioni sempre più autoreferenziali. Non si può quindi escludere che, dopo questo annuncio, alla Trump Tower qualcuno stia brindando. Da martedì Trump sa infatti che i colletti blu della Rust Belt e i sostenitori di Sanders sono tornati pienamente contendibili.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)