2023-03-05
Biden jr fece affari con una ditta cinese che fornisce a Mosca componenti dei jet
Joe Biden (Imagoeconomica)
Nel 2015, quando il padre era vicepresidente, Hunter Biden collaborò con la Avic automotive che vende parti dei caccia ai russi.Siamo sicuri che Joe Biden sia un nemico giurato del Cremlino? A giudicare da certi affari del figlio Hunter è difficile crederlo. Secondo il Washington Examiner, nel settembre 2015 la sua società di allora, Bhr, ha collaborato con un’azienda cinese che sta supportando l’aviazione russa nella guerra in Ucraina. In particolare, Bhr ha aiutato Avic automotive ad acquistare un’azienda con sede in Michigan: quella stessa Avic automotive che è una sussidiaria del colosso statale cinese della Difesa Avic. Il mese scorso, il Wall Street Journal ha riferito che proprio Avic avrebbe fornito a ottobre «parti di caccia da combattimento Su-35 dal valore di 1,2 milioni di dollari» a una sussidiaria del colosso della Difesa russo Rostec. Eppure, secondo il Washington Examiner, «sebbene un certo numero di aziende cinesi siano state sanzionate per la guerra della Russia in Ucraina, Avic non è tra queste». Una stranezza, anche perché a ottobre la Rand corporation riferì che Mosca aveva urgenza di «sostituire i caccia persi in combattimento, incluso un certo numero di Su-35». Qualcuno potrebbe obiettare che la collaborazione di Hunter risale al 2015, ben prima quindi dell’invasione russa. Va tuttavia ricordato che Avic è da tempo considerata un’azienda controversa da Washington. Non solo intrattiene legami con l’esercito cinese, ma, ai tempi della collaborazione di Hunter, era anche già noto che questo colosso aveva spalleggiato aziende russe coinvolte nell’annessione della Crimea del 2014: aziende che, proprio per questo, erano finite sotto sanzioni (una sorte toccata alla stessa Rostec, che avrebbe comunque annunciato un accordo di cooperazione con Avic a novembre di quell’anno). Non solo. Era il gennaio del 1990 quando l’allora presidente americano, George H. W. Bush, sostenne che un’altra sussidiaria di Avic, Catic, avrebbe potuto «compromettere la sicurezza nazionale degli Usa». Ricordiamo che nel 2015, quando Hunter lavorò per Avic, suo padre era vicepresidente degli Usa e che da oltre un anno aveva ricevuto da Barack Obama le deleghe per sovrintendere alle relazioni tra Washington e Kiev. E attenzione: questo non è l’unico legame emerso tra Hunter Biden e i russi. L’anno scorso, il Washington Post rivelò che, tra il 2017 e il 2018, il figlio di Biden ottenne 4,8 milioni di dollari grazie all’allora colosso energetico cinese Cefc: colosso che, oltre a connessioni con l’esercito di Pechino, vantava buoni rapporti anche con il Cremlino. Sempre l’anno scorso, Fox news riportò che, nel 2014, la società di Hunter, Rosemont Seneca, ricevette oltre 142.000 dollari da una compagnia del magnate kazako Kenes Rakishev: uno che, secondo la testata Le Media, sarebbe vicino al leader ceceno Ramzan Kadyrov. D’altronde, sarà un caso. Ma finora i miliardari russi con cui i Biden hanno avuto a che fare sono sfuggiti alle sanzioni statunitensi relative alla guerra in Ucraina. A rilanciare la questione è stato l’altro ieri il New York Post. Partiamo dall’ex presidente del conglomerato russo Sistema, Vladimir Yevtushenkov: costui ebbe vari incontri con Hunter negli Usa tra il 2012 e il 2013 per affari nel campo immobiliare. Guarda caso, da quando è iniziata l’invasione dell’Ucraina, è stato sanzionato dal Regno Unito ma non dall’amministrazione Biden. E non finisce qui. Il 16 aprile 2015 si tenne una cena in un locale di Washington a cui, secondo fonti ascoltate dal New York Post, presero parte l’ex sindaco di Mosca, Jurij Luzhkov, la sua miliardaria consorte, Yelena Baturina, e lo stesso Hunter. Partecipò anche l’allora vicepresidente Joe Biden per una quarantina di minuti, oltre a Vadym Pozharskyi: l’alto dirigente di Burisma che inviò un’email il 17 aprile per ringraziare Hunter di averlo introdotto a suo padre (email che fu al centro dello scoop del New York Post, censurato da Twitter a ottobre 2020). Ora, non solo la Baturina sarebbe stata finora risparmiata dalle sanzioni americane. Ma, secondo un rapporto dei senatori repubblicani risalente al 2020, avrebbe anche versato a Rosemont Seneca 3,5 milioni nel 2014. L’accusa fu usata da Donald Trump contro Biden durante il dibattito elettorale del 22 ottobre 2020. L’allora candidato dem negò le accuse e a venirgli in soccorso fu proprio Vladimir Putin. Tre giorni dopo, Reuters riferì infatti che, interpellato sulle accuse di Trump ai Biden, il presidente russo rispose di «non aver visto nulla di criminale nei passati rapporti commerciali di Hunter Biden con l’Ucraina o la Russia». Insomma, Putin -che veniva presentato come un alleato di Trump- difese il figlio di Biden a una manciata di giorni dalle elezioni presidenziali statunitensi. Non è un po’ strano? Così come è strano che l’attuale presidente americano non abbia ancora chiuso alla possibilità di ripristinare il controverso accordo sul nucleare con l’Iran: accordo fortemente voluto dalla Russia. Senza trascurare che Biden ha anche allentato le sanzioni al Venezuela: regime assai vicino a Mosca. A pensar male, verrebbe da ipotizzare che, sotto sotto, Putin e Biden siano meno nemici di quello che ci raccontano.
Roberto Burioni ospite a «Che tempo che fa» (Ansa)
Ecco #DimmiLaVerità del 27 ottobre 2025. Ospite Marco Pellegrini del M5s. L'argomento del giorno è: "La follia europea di ostacolare la pace tra Russia e Ucraina"