2022-05-08
Biden ai ferri corti con l’intelligence. E la sua linea ora non è più un dogma
Il presidente Usa striglia Pentagono e Cia: «Le fughe di notizie fanno danni». Resta da capire chi rema contro o se è solo una messinscena. In ogni caso cresce il malumore per l’isolamento a cui va incontro Washington.Si registra un certo subbuglio nell’amministrazione Biden, dopo il verificarsi di alcune fughe di notizie che hanno coinvolto l’intelligence americana. Il New York Times ha riportato che gli Stati Uniti starebbero fornendo all’esercito ucraino delle informazioni di intelligence, con lo scopo di uccidere i generali di Mosca: in particolare, il quotidiano ha basato il proprio scoop su quanto raccolto da alcuni anonimi alti funzionari del governo americano. La reazione dell’amministrazione si è rivelata non poco piccata. «Non forniamo informazioni con l’intento di uccidere i generali russi», ha dichiarato la portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale statunitense, Adrienne Watson. «Non forniamo informazioni sulla posizione di alti dirigenti militari sul campo di battaglia, né siamo coinvolti nella scelta dei bersagli dell’esercito ucraino», ha confermato il Pentagono. Ma non è finita qui. Nbc News ha riportato che Washington avrebbe condiviso con Kiev informazioni di intelligence, con l’obiettivo di affondare l’incrociatore russo Moskva: una circostanza, anch’essa, smentita dal Dipartimento della Difesa. Queste fughe di notizie stanno preoccupando non poco la Casa Bianca. Non a caso, Joe Biden si è lamentato della situazione venerdì, nel corso di una telefonata con il direttore della Cia, William Burns, la direttrice dell’intelligence nazionale, Avril Haines, e il capo del Pentagono, Lloyd Austin, sottolineando che queste indiscrezioni «sono controproducenti e distraggono dal nostro obiettivo». Insomma, che cosa sta succedendo? Cominciamo con il ricordare che la fuga di notizie d’intelligence non è una novità: già ai tempi dell’amministrazione Trump si erano verificati dei casi simili. Dall’altra parte, va ricordato che è stato proprio Biden, mentre montava la crisi ucraina tra dicembre e febbraio, a diffondere volontariamente informazioni di intelligence sull’ammassamento di truppe russe ai confini con l’Ucraina. Quella mossa suscitò un vivo dibattito negli Usa. I favorevoli a quella strategia sostenevano che fosse necessaria per accendere un faro sulle manovre di Vladimir Putin e magari metterlo sotto pressione. Gli scettici ritenevano invece che Biden volesse semplicemente evitare l’accusa di essere caduto dalle nuvole, qualora Mosca avesse avviato l’invasione: un’accusa che era stata rivolta a Barack Obama quando Putin attaccò la Crimea nel 2014. Insomma, la diffusione di notizie d’intelligence non avrebbe avuto altro scopo, se non quello di scongiurare figuracce: un’ipotesi avvalorata dal fatto che, mentre la Russia continuava ad ammassare soldati tra dicembre e febbraio, la Casa Bianca si limitava a temporeggiare passivamente, senza esercitare una seria deterrenza. Adesso il problema è capire se queste recenti fughe di notizie siano segretamente orchestrate dalla Casa Bianca o se, al contrario, si tratti di leak fuori controllo. Se il primo scenario fosse quello corretto, ciò significherebbe che l’amministrazione Biden ha tutta l’intenzione di continuare a tenere la linea dura contro Mosca: si tratterebbe, in altre parole, di un duplice segnale alla Russia (per metterla sotto pressione) e agli alleati occidentali (per spingerli a un approccio più deciso in sostegno di Kiev). Se invece a essere corretto fosse il secondo scenario, la situazione si rivelerebbe assai problematica. Significherebbe infatti che pezzi dell’apparato di intelligence e dell’alta burocrazia statale stanno giocando delle partite in autonomia, alimentando spaccature nel governo americano (d’altronde, già ai tempi della crisi afgana si erano registrate turbolenze tra i servizi e il Pentagono). In tutto questo, va anche ricordato che lo strumento dei leak viene usato spesso come arma politica: basti pensare alle fughe di notizie che riguardarono l’amministrazione Trump o a quella, ben più recente, che ha interessato la Corte suprema. A tutto questo va aggiunto che l’attuale Casa Bianca è attraversata da divisioni sia sulla Cina sia sull’Ucraina e che la debole leadership di Biden certo non favorisce una solida sintesi politica ai vertici del governo di Washington. D’altronde, l’attuale presidente americano rischia di finire sempre più in un vicolo cieco anche sul piano geopolitico. Una recente analisi di Peter Slezkine su Foreign Affairs ha messo in luce i rischi insiti in una strategia internazionale esclusivamente fondata sulla dicotomia tra democrazie e autocrazie: una linea, questa, che Biden ha proclamato di portare avanti sin dall’inizio della sua presidenza. Una linea che lo ha progressivamente isolato e che sta favorendo l’emergere di un asse che, coordinato dalla Cina, sta vedendo il compattamento di storici avversari dell’America (come Russia, Iran, Siria) con Paesi un tempo ancorati all’orbita di Washington (come India, Arabia saudita ed Emirati). Tutto questo, senza tra l’altro trascurare che è lo stesso Biden talvolta a sconfessare i principi da lui enunciati. Mentre impone sanzioni alla Russia, sta infatti negoziando con Putin per rilanciare il pernicioso accordo sul nucleare iraniano. Non pago, ha inoltre espresso l’intenzione di alleggerire la pressione su uno storico alleato del Cremlino come Caracas. Al di là del cortocircuito, ricordiamo che né l’Iran né il Venezuela sono esattamente democrazie liberali. La difesa dell’Occidente e dei suoi valori dovrebbe quindi passare da approcci energici e pragmatici, non dall’irresolutezza e dalle astrazioni. La pace, diceva Ronald Reagan, si salvaguarda mostrandosi forti. Il tanto vituperato Donald Trump questo lo sapeva. E infatti, durante la sua presidenza, Putin si guardò bene dal toccare l’Ucraina.