2024-08-21
Biden esce umiliato anche dalla Convention
All’evento dell’Asinello il presidente sceglie frasi di circostanza: «Non è vero che sono arrabbiato». Ma dopo il siluramento la ferita è aperta e lo slittamento del discorso a notte fonda è l’ennesimo sgarro. I pro Pal gli danno le spalle e «Sleepy Joe» se ne va in lacrime.L’ex first lady Hillary Clinton sostiene Planned parenthood, coinvolta nello scandalo degli organi fetali.Lo speciale contiene due articoli.La melassa mediatica a reti unificate vi sta ripetendo che la Convention dem in corso a Chicago è bellissima, che il Partito democratico è unito attorno a Kamala Harris e che Joe Biden è uno statista, fattosi generosamente da parte per il bene del partito stesso. Tutto molto interessante. Peccato però che omettano di raccontarvi l’altra faccia della medaglia. Sì, perché, al di là della retorica, il primo giorno di Convention ha di fatto cercato di cancellare ciò che non può essere cancellato: vale a dire l’estrema opacità con cui Biden è stato silurato e meccanicamente sostituito dalla sua vice. Non a caso, il discorso, che il presidente ha tenuto l’altro ieri sera, commuovendosi, si è rivelato un capolavoro di incoerenza. «Ricordo di essere stato troppo giovane per il Senato perché non avevo ancora 30 anni, e troppo vecchio per rimanere presidente», ha dichiarato. Per poi aggiungere: «Tutti questi discorsi su quanto sono arrabbiato con tutte le persone che hanno detto che avrei dovuto ritirarmi non sono veri». Eppure, il 24 luglio scorso, parlando per la prima volta dopo l’annuncio del proprio addio elettorale, aveva affermato: «Credo che il mio curriculum da presidente, la mia leadership nel mondo, la mia visione del futuro dell’America meritassero tutti un secondo mandato». Era invece l’8 luglio, quando Biden aveva inviato una lettera ai parlamentari dem, in cui si rifiutava di fare un passo indietro, rivendicando di aver vinto le primarie con 14 milioni di voti. «Come possiamo sostenere la democrazia nella nostra nazione se la ignoriamo nel nostro stesso partito?», aveva scritto polemicamente. Del resto, è stato lo stesso Biden, dieci giorni fa, ad ammettere alla Cbs di aver subito pressioni interne per mollare. E, guarda caso, pur avendo parlato l’altro ieri alla Convention, non vi parteciperà più, evitando di essere presente soprattutto domani sera, quando la Harris pronuncerà il discorso di accettazione della nomination. Insomma, è ben difficile che le parole proferite lunedì dal presidente riescano a mascherare l’opacità della sua sostituzione con la Harris: stridono infatti chiaramente con le affermazioni che lui stesso ha fatto fino a pochi giorni fa. Come se non bastasse, alcuni fedelissimi di Biden non hanno gradito che il suo discorso, originariamente previsto in prima serata, sia stato fatto slittare a notte fonda. Quello andato in scena lunedì non è stato quindi un «passaggio del testimone»: è stata semmai l’umiliazione di un uomo anziano e in lacrime, sconfitto da una manovra di palazzo del suo stesso partito, in barba al voto di 14 milioni di persone. Quella di Biden lunedì è stata, in altre parole, una pantomima a cui neanche lui credeva. Del resto, basta dare un occhio ai principali oratori della Convention dem per rendersi conto di chi comanda davvero nell’Asinello: lunedì ha parlato Hillary Clinton, mentre ieri ha fatto altrettanto Barack Obama. Oggi sono inoltre attesi gli interventi di Bill Clinton e Nancy Pelosi. Parliamo dei soliti nomi che da anni fanno il bello e il cattivo tempo nel Partito democratico. Alle primarie dem del 2016, i sostenitori di Bernie Sanders lamentarono favoritismi pro Clinton. Quattro anni dopo, Biden vinse la nomination contro lo stesso Sanders, anche perché si era mosso dietro le quinte per aiutarlo. L’ex presidente dem, che secondo Politico non nutriva grande stima per il suo vice di un tempo, voleva innanzitutto fermare il senatore del Vermont, pensando che la presidenza Biden sarebbe stata di «transizione». Quello che non aveva previsto è stata la resistenza dei familiari del presidente, che ha portato allo scontro sotterraneo degli scorsi mesi. Ma non è tutto. La Convention dem sta anche certificando le spaccature in seno alla sinistra americana. Alcuni delegati pro Pal del Minnesota hanno protestato, dando le spalle a Biden, mentre parlava. In secondo luogo, gli estremisti filopalestinesi hanno tenuto delle manifestazioni a Chicago. In particolare, l’altro ieri si è registrato un corteo di varie migliaia di persone (20.000 secondo gli organizzatori, 6.000 per la polizia): nell’occasione, una parte dei dimostranti ha abbattuto una recinzione di sicurezza, spingendo le forze dell’ordine a intervenire. Almeno quattro persone sono finite in manette, mentre altre due erano già state arrestate domenica. Queste proteste dimostrano il fallimento della strategia della Harris che, per settimane, ha cercato di blandire i radicali pro Pal: prima ha evitato di partecipare al discorso di Benjamin Netanyahu al Congresso, poi ha scelto come vice Tim Walz, preferendolo al più in gamba Josh Shapiro, storicamente inviso ai filopalestinesi. Nonostante questo appeasement, la Harris non solo non è riuscita a evitare le manifestazioni a Chicago, ma si è anche ritrovata contestata dai pro Pal in Arizona e Michigan. Non una buona notizia per la vicepresidente, visto che a novembre i filopalestinesi potrebbero risultare decisivi in Stati in bilico, come la Georgia e lo stesso Michigan. Il Partito dem continua a dare sfoggio di unità. Ma gli scricchiolii si stanno facendo sempre più numerosi. E attenzione: lunedì Chauncey McLean, presidente del Super Pac pro Harris future forward, ha ammesso che, per la candidata dem, i sondaggi riservati «sono molto meno rosei» di quelli pubblici.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/biden-esce-umiliato-dalla-convention-2668999135.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="la-clinton-fissa-le-priorita-dei-dem-kamala-ripristinera-laborto" data-post-id="2668999135" data-published-at="1724241278" data-use-pagination="False"> La Clinton fissa le priorità dei dem: «Kamala ripristinerà l’aborto» «Kamala si preoccupa dei bambini e delle famiglie, si preoccupa dell’America. E sì, ripristinerà i diritti all’aborto in tutto il Paese». Hillary Clinton, tornata sul palco della Convention nazionale democratica otto anni dopo aver accettato la nomination presidenziale del suo partito, ha parlato in sostegno della Harris e dell’interruzione di gravidanza. «Abbiamo entrambe iniziato come giovani avvocati aiutando bambini abusati e trascurati», ha ricordato l’ex candidata. «Quel tipo di lavoro cambia una persona. Quei bambini ti restano dentro. Kamala porta con sé le speranze di ogni bambino che ha protetto, di ogni famiglia che ha aiutato, di ogni comunità che ha servito. Quindi, come presidente, ci sosterrà e sarà una combattente per noi». Non certo combatterà per il diritto dei bambini di venire al mondo. Le due democratiche condividono decenni di lotta pro aborto e di appoggio a Planned parenthood, presente per due giorni a Chicago con una clinica mobile che ha offerto gratuitamente pillola abortiva e vasectomia. Nel giugno del 2016, dopo aver ricevuto la nomination, la ex first lady e segretario di Stato tenne un discorso ai componenti dell’Action fund (Ppaf) della multinazionale dell’aborto affermando: «Sono orgogliosa di sostenere Planned parenthood da molto tempo. E come presidente, vi sosterrò sempre». Aggiunse: «Perché so che da un secolo lavorate per garantire che le donne, gli uomini e i giovani che contano su di voi possano vivere la loro vita migliore: in salute, in sicurezza e liberi di seguire i loro sogni». Sogni di completo egoismo, appunto, avulsi da ogni senso del dovere, della responsabilità, del rispetto per l’essere umano. La Clinton promise: «Non ci limiteremo a rompere quel soffitto di cristallo più alto e più duro. Abbatteremo tutte le barriere che frenano le donne e le famiglie». Sempre in quell’occasione disse: «Voglio ringraziare la mia amica e la vostra coraggiosa leader, Cecile Richards», allora presidente di Planned parenthood, incarico che lasciò nel 2018 dopo 12 anni al comando della multinazionale dell’aborto. Durante il suo mandato, il colosso della «salute femminile» praticò 3,5 milioni aborti grazie a fondi pubblici milionari. La Clinton, che nel 2005 assieme alla senatrice Patty Murray aveva bloccato la conferma di Lester M. Crawford a commissario della Fda perché indugiava a rendere disponibile senza ricetta il contraccettivo di emergenza, noto anche come Piano B, tenne a precisare che Cecile «è davvero come un’altra grande americana, sua madre, Ann Richards (ex governatrice del Texas, ndr) che era una mia amica. Vorrei solo che Ann fosse qui a vedere queste elezioni». La figlia maggiore di Cecile, Lily Adams, divenne la direttrice delle comunicazioni della campagna presidenziale del 2016 della Clinton e nel 2019 entrò nell’ufficio dell’allora senatrice statunitense Kamala Harris. Di recente è stata vice segretario assistente principale presso l’ufficio Affari pubblici del tesoro. Se la candidata dem venisse eletta, nel suo team è data per certa la presenza della Adams come direttore della comunicazione. Quando nel 2015 scoppiò lo scandalo dei video girati dagli attivisti pro life David Daleiden e Sandra Merritt, in cui si vedono manager Planned parenthood discutere di vendita di organi fetali, dopo aborti dove l’unica attenzione era quella di avere tessuti «freschi e intatti», l’allora procuratore generale della California, Kamala Harris, «scelse di concentrare la sua indagine su Daleiden e i suoi soci piuttosto che su Planned parenthood, scrisse Lifenews. E la Clinton, in un’intervista rilasciata al New Hampshire Union Leader prese sì le distanze. «Ho visto le foto e ovviamente le trovo inquietanti», ma si è affrettò a ribadire il suo supporto all’organizzazione: «Planned parenthood per più di un secolo ha fatto un ottimo lavoro per le donne».