2022-10-07
Per Biden si profila una batosta elettorale
I repubblicani sono in vantaggio nei sondaggi sul voto di metà mandato dell’8 novembre: probabile la loro vittoria alla Camera. Pesano l’ostilità dei cattolici per la campagna pro aborto, la criminalità, l’immigrazione illegale e i pasticci sui prestiti studenteschi.Con il taglio alla produzione di petrolio, la benzina aumenterà a ridosso delle urne.Lo speciale contiene due articoli.Joe Biden è in difficoltà. A un mese dalle elezioni di metà mandato, che si terranno l’8 novembre, il Partito democratico americano comincia a dare segnali di nervosismo e debolezza. Se durante l’estate l’Asinello era risalito nei sondaggi, negli ultimi dieci giorni la situazione ha iniziato a capovolgersi. Secondo la media sondaggistica di Real Clear Politics, nelle intenzioni di voto generali i repubblicani sono tornati in vantaggio a partire dal 26 settembre. Sia chiaro: si tratta di uno stacco minimo (inferiore all’1%). Tuttavia questo sorpasso a circa un mese dalle elezioni rappresenta un campanello d’allarme significativo per i democratici, che speravano in una rimonta in grande stile, cavalcando quasi esclusivamente la questione dell’aborto. Una scommessa piuttosto azzardata, visto che solitamente le elezioni di metà mandato (in cui si rinnova la totalità della Camera e un terzo del Senato e si eleggono alcune decine di governatori locali) risultano storicamente una tornata che vede al centro altri argomenti (a partire da quelli legati alla sfera economica). E attenzione: perché l’asinello si trova in difficoltà anche al di là delle intenzioni di voto generiche. Si prenda la corsa per il fondamentale seggio senatoriale della Pennsylvania: qui, fino a dieci giorni fa, veniva dato in significativo vantaggio il candidato dem John Fetterman sul rivale repubblicano Mehmet Oz: un vantaggio che tuttavia gli ultimi sondaggi stanno dando in netto calo. Dagli 11 punti di luglio, lo stacco al momento oscilla tra i quattro e i sei. Per non parlare della Florida, dove il governatore repubblicano uscente, Ron DeSantis, è dato avanti di ben 11 punti rispetto allo sfidante dem, Charlie Crist. Guai per Biden arrivano anche dall’elettorato cattolico: una recente rilevazione Ewtn News ha rivelato che, secondo il 58% dei cattolici, l’inquilino della Casa Bianca non dovrebbe ricandidarsi nel 2024. Il dato è interessante non solo perché Biden è il secondo presidente cattolico della storia americana, ma anche perché spesso negli Stati Uniti l’orientamento politico dei fedeli alla Chiesa di Roma anticipa i risultati elettorali. Ricordiamo che, alle presidenziali del 2020, Biden - sebbene d’un soffio - conquistò il voto della maggioranza dei cattolici. Ma da che cosa derivano le difficoltà dem? A forza di concentrarsi su aborto e ambientalismo, la grande stampa ha finito con l’ignorare altri dossier: nodi che stanno venendo al pettine. Già ai tempi delle midterm del 2018 l’immigrazione clandestina costituì un tema di primaria rilevanza. Un argomento che risulta da sempre un vero e proprio tallone d’Achille per l’amministrazione Biden. Nell’anno fiscale appena concluso si è non a caso registrato il record storico di arrivi di immigrati irregolari alla frontiera meridionale (oltre 2 milioni). Una situazione disastrosa: non solo si stanno verificando significativi problemi in materia di traffico di droga, ma - come rilevato ad agosto dai vertici dell’Fbi - emergono anche potenziali rischi sul piano della sicurezza (a partire dal terrorismo). In un simile quadro, la Casa Bianca ha dovuto difficoltosamente barcamenarsi tra i democratici centristi (che invocano misure più aspre) e quelli di sinistra (che, al contrario, spingono per un aperturismo ancor maggiore). Senza poi dimenticare il conclamato fallimento di Kamala Harris che, nel marzo 2021, era stata scelta da Biden per fronteggiare la crisi migratoria a livello diplomatico con i Paesi del Centro America: Paesi che hanno invece boicottato il Summit of the Americas, tenutosi in California lo scorso giugno. Un altro problema per Biden è la sua proposta di intervenire sul debito studentesco. Era fine agosto quando annunciò l’intenzione di cancellare fino a 20.000 dollari di debito studentesco per circa 40 milioni di americani: un provvedimento costosissimo e in larga parte demagogico, oltre che esposto a una valanga di ricorsi legali. Ebbene, la Casa Bianca ha già dovuto ridimensionare la proposta originaria, mentre il New York Times ha detto la settimana scorsa che il piano sta attirando, oltre alle cause legali, «truffe e confusione». Non è quindi escluso che le difficoltà dei dem siano dettate (anche) dalla delusione dell’elettorato su questo fronte. Un’ulteriore questione che vede l’Asinello piuttosto debole è quella dell’ordine pubblico. Una rilevazione di Politico, pubblicata mercoledì scorso riferisce che, secondo il 74% degli americani, la criminalità violenta è in aumento. Lo stesso sondaggio indica inoltre come il 44% degli elettori ritenga i repubblicani più affidabili per affrontare questo problema, a fronte di un 37% che sul tema predilige i dem. Non è quindi un caso che l’Elefantino stia battendo molto sulla linea «law and order».A oggi, l’ipotesi più probabile è che i repubblicani conquistino la Camera e che i dem tengano il Senato. Uno scenario che, qualora si verificasse, si configurerebbe come un incubo per il presidente, il quale, oltre a ritrovarsi proverbiale anatra zoppa, rischierebbe anche un processo di impeachment. Dovrebbe essere quindi più cauto chi preconizza che il prossimo governo di centrodestra italiano avrà dei problemi a causa dell’ostilità ideologica di Biden. Fdi vanta strette relazioni con i repubblicani: contatti che, dopo le midterm, potrebbero tornare molto utili a un esecutivo guidato da Giorgia Meloni. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/biden-elezioni-sconfitta-2658409460.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="lo-sfregio-dellopec-fa-cadere-unaltra-tegola-sulla-casa-bianca" data-post-id="2658409460" data-published-at="1665136319" data-use-pagination="False"> Lo sfregio dell’Opec fa cadere un’altra tegola sulla Casa Bianca Se c’è uno spettro che sta agitando in queste ore i sonni di Joe Biden: è quello del caro energia. Mercoledì, l’Opec plus ha annunciato di voler ridurre la produzione di petrolio di 2 milioni di barili al giorno: una mossa che rischia di comportare un notevole incremento del costo della benzina negli Stati Uniti poco prima delle elezioni di metà mandato del prossimo 8 novembre. Ricordiamo che il presidente americano ha combattuto per circa un anno contro il caro benzina: una situazione che aveva contribuito ad azzoppare significativamente la sua popolarità, fin quando non si era verificato un abbassamento dei prezzi nel corso dell’estate. Ora, la tempistica scelta dall’Opec rischia di rimetterlo nei guai, zavorrando la campagna elettorale dei democratici, che, come notato da Politico, vedono il caro energia come una spada di Damocle sul proprio futuro elettorale. Non a caso, secondo la Cnn, la Casa Bianca aveva effettuato notevoli pressioni per scongiurare questo scenario: uno scenario che, alla fine, si è comunque concretizzato. Segno che i rapporti tra Biden e l’Arabia Saudita continuano a essere tesi. Riad non ha del resto mai digerito i tentativi dell’attuale presidente di rilanciare l’accordo sul nucleare iraniano, mentre Mohammad bin Salman si è progressivamente avvicinato a Russia e Cina negli scorsi mesi. Forse non a caso, l’altro ieri il Washington Post riferiva che questo taglio della produzione favorisce di fatto Mosca. Contrariamente a Donald Trump, Biden non è stato in grado di preservare l’influenza statunitense sul Medio Oriente, entrando in rotta di collisione con alleati storici, come Israele e la stessa Arabia Saudita. Una situazione di cui adesso paga le conseguenze anche a livello interno. Certo: la Casa Bianca ha reagito severamente alla notizia del taglio, minacciando di rilanciare al Congresso il disegno di legge chiamato Nopec, che consentirebbe di intentare cause antitrust ai Paesi esportatori di petrolio. Il punto è che non è chiaro quanto questa minaccia sia effettivamente credibile. Muoversi su un simile piano creerebbe incertezze legali ed esporrebbe soprattutto gli Stati Uniti al rischio di perdere ulteriore influenza sul Medio Oriente a vantaggio di Mosca e Pechino. Biden avrebbe forse fatto meglio a evitare politiche ambientaliste ideologizzate, investendo sin da subito sull’autonomia energetica. Non solo: avrebbe forse dovuto anche continuare a seguire i binari diplomatici tracciati da Trump in Medio Oriente, anziché fissarsi con il rilancio dell’accordo iraniano (un rilancio che irrita sauditi e israeliani e che, al contempo, fa paradossalmente felice il Cremlino, garantendogli potenzialmente danarosi contratti nel settore dell’energia nucleare). D’altronde, Biden è talmente disperato in vista delle midterm che, secondo il Wall Street Journal, avrebbe intenzione di allentare le sanzioni contro il Venezuela: l’idea sarebbe quella di consentire a Chevron di riprendere le estrazioni petrolifere nel Paese e di spingere Nicolás Maduro ad avviare delle trattative con l’opposizione. Ora, sebbene la Casa Bianca abbia detto che la sua «politica delle sanzioni contro il Venezuela rimane invariata», la rivelazione del Wall Street Journal ha del paradossale. Se Biden veramente puntasse a un tale obiettivo, negozierebbe da una posizione di debolezza, favorendo uno stretto alleato della Russia, che è anche una spietata dittatura. Un bizzarro vicolo cieco per un presidente che aveva promesso la lotta alle autocrazie.