2021-09-05
Biden all’angolo per il caos profughi. Mancano posti letto e finanziamenti
Il presidente in difficoltà per la gestione dei 30.000 sfollati arrivati in America: il governo è impreparato. Problemi anche per l'approvazione dei visti agli ex collaboratori. Donald Trump attacca: c'è rischio terrorismo.I miliziani inscenano festeggiamenti per la falsa sconfitta del capo della resistenza. Sciolti gli ultimi dubbi sul governo, ma il sistema bancario è rimasto senza liquidità.Lo speciale contiene due articoli.Il ricollocamento dei rifugiati afgani negli Stati Uniti sta procedendo non senza difficoltà. Secondo The Hill, sono arrivate al momento nel Paese circa 30.000 persone, mentre l'altro ieri il segretario alla Sicurezza interna, Alejandro Mayorkas, ha reso noto che la cifra sia destinata a raggiungere almeno le 50.000 unità. Ricordiamo che una parte consistente dei rifugiati è costituita da persone che hanno assistito le truppe americane nella loro missione afgana. Ora, alcuni di costoro sono arrivati negli Stati Uniti con uno «special immigrant visa»: un visto che garantisce, cioè, lo status di residente permanente. Dopo un periodo di attesa in alcuni Paesi terzi, i profughi che giungono in territorio statunitense vengono smistati in otto siti militari, dove risultano sottoposti a controlli medici e a procedure burocratiche. Espletati questi processi, i rifugiati vengono affidati alle agenzie di reinsediamento, le quali si occupano di trovare loro un alloggio e un posto di lavoro. Il punto è che le difficoltà sul campo sono numerose. Innanzitutto, le stesse procedure di accoglienza stanno andando incontro a svariati problemi. A parlarne è stato, l'altro ieri, il sito di Cbs News, che ha individuato alcuni nodi peculiari. In primo luogo: migliaia di afgani starebbero arrivando «senza visti approvati» e risulterebbero per questo destinati a rimanere in un limbo giuridico senza la possibilità di accedere a determinati servizi sociali. In secondo luogo, l'aumento dei rifugiati registratosi negli ultimi giorni avrebbe messo in seria difficoltà le agenzie per il reinsediamento, spingendole a rivolgersi a strutture alberghiere o ai servizi di Airbnb. In terzo luogo, Cbs News ha riferito che gli Stati Uniti non si trovavano a fronteggiare una simile crisi di profughi dai tempi della caduta di Saigon e che al momento «il sistema di reinsediamento dei rifugiati del governo […] non è attrezzato per gestire un improvviso afflusso di sfollati». Un fattore, questo, che ha portato le agenzie a reclutare un maggior numero di volontari e a fare affidamento sulle donazioni.In tutto ciò, si scorgono anche delle spinose questioni di natura burocratica. Non soltanto la valutazione delle domande di ammissione per chi teme persecuzioni in Afghanistan potrebbe richiedere addirittura degli anni, visto l'esorbitante numero di arretrati che devono affrontare gli Us citizenship and immigration services. Ma non bisogna poi trascurare un ulteriore nodo: non è infatti ancora ben chiaro quale debba essere il destino di coloro che vedranno respinte le proprie domande. Teoricamente dovrebbero essere soggetti a rimpatrio, ma – come notato da Cbs News – l'Immigration and customs enforcement non effettua più voli di espulsione verso l'Afghanistan dalla fine del 2020. Insomma, la situazione complessiva presenta delle criticità significative. Criticità che, se in parte sono dettate da un'ineludibile situazione di emergenza, in parte sono anche frutto dei ritardi di Joe Biden. In tal senso, lo scorso 18 agosto, il Washington Post riferì che «l'amministrazione ha mostrato poca urgenza pubblica per accelerare i visti per gli afgani, nei mesi precedenti e immediatamente dopo l'annuncio di Biden ad aprile che gli Stati Uniti avrebbero ritirato le forze statunitensi». Certo: i funzionari dell'attuale amministrazione hanno incolpato Donald Trump per l'ingorgo sui visti. Tuttavia non solo il segretario di Stato americano, Tony Blinken, ha dovuto ammettere che la pandemia abbia contribuito a rallentare le procedure dal 2020, ma – più in generale – andrebbe ricordato che – pur dinanzi a questi evidenti nodi burocratici – Biden abbia continuato a intestardirsi sulla deadline del 31 agosto per il ritiro definitivo delle truppe statunitensi dall'Afghanistan. Una deadline che, come sottolineato martedì dal professor S. Paul Kapur sul Wall Street Journal, il presidente avrebbe potuto sconfessare. Ma si staglia anche un problema politico all'orizzonte. La questione dei rifugiati rischia di avere un impatto notevole in vista delle elezioni di metà mandato che si terranno a novembre 2022. Una parte del Partito repubblicano è infatti critica sui ricollocamenti afgani, a partire da Trump. L'ex presidente, che si era mostrato inizialmente aperto ad accogliere quanti avevano assistito le truppe americane, ha sottolineato il rischio di infiltrazioni terroristiche. «Quanti terroristi Joe Biden porterà in America? Non lo sappiamo», ha tuonato. La questione entrerà prevedibilmente nell'imminente campagna elettorale. A tal proposito, Nbc News ha riportato l'altro ieri che, su 30.000 evacuati afgani direttisi negli Stati Uniti, circa 10.000 hanno dovuto essere sottoposti a «ulteriori controlli»: in particolare, un centinaio sono stati segnalati «per possibili legami con i talebani o gruppi terroristici». La situazione complessiva resta quindi delicata. E Biden, oltre ai problemi gestionali, deve sempre più barcamenarsi tra le critiche repubblicane e la sinistra del suo stesso partito, che – a partire da Alexandria Ocasio-Cortez – spinge invece sul pedale dell'accoglienza.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/biden-allangolo-per-il-caos-profughi-mancano-posti-letto-e-finanziamenti-2654904860.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="le-fake-news-di-guerra-dei-talebani" data-post-id="2654904860" data-published-at="1630785295" data-use-pagination="False"> Le fake news di guerra dei talebani Scorrono i giorni, da quando le forze internazionali hanno lasciato l'Afghanistan e i talebani tentano di dare al mondo un'immagine sicura di sé, di sembrare compatti e pronti ad affrontare le sfide che il nuovo governo si troverà davanti. Attraverso i media, prostrati e minacciati costantemente, hanno tentato di diffondere notizie che potessero avallare questa immagine, ma fino ad oggi sono stati smentiti. Tra le informazioni false messe in circolazione c'era la resa di Ahmad Massoud, il figlio del «leone del Panjshir», che guida la resistenza armata insieme ad ex membri del disciolto esercito afgano e ad ex appartenenti alle forze speciali del passato governo. I talebani, la scorsa notte, avevano sparato colpi in aria per le strade di Kabul, diffondendo poi la storia che si trattasse di festeggiamenti per la fuga di Massoud in Tagikistan. I colpi non solo hanno causato la morte di diverse persone e il ferimento di decine di civili, ma si sono rivelati per quel che erano: l'annuncio di una fake news. Ahmad Massoud, nonostante i problemi in Panjshir dovuti alla mancanza di connessione internet e di elettricità (tagliate dai talebani), è riuscito a comunicare che la resistenza continua e che l'Afghanistan non rinuncerà a lottare. «Le nostre donne a Herat hanno dimostrato che la battaglia per i propri diritti va avanti», ha dichiarato il leader del fronte della resistenza riferendosi alle proteste delle attiviste di Herat. A queste hanno fatto seguito le manifestazioni a Kabul di un gruppo di donne che si è opposto all'idea, lanciata dai talebani, che solo gli uomini possano ricoprire posizioni di rilievo nelle future istituzioni politiche. Anche la protesta della capitale ha smentito i miliziani, secondo i quali la popolazione è ben felice di averli al comando e di essere da loro protetta. Le donne di Kabul sono state minacciate, picchiate e disperse coi lacrimogeni quando hanno tentato di raggiungere l'Arg, il palazzo presidenziale, dopo aver intonato l'inno nazionale dell'ormai ex repubblica destinata a lasciare spazio all'Emirato. Insomma, il percorso dei talebani si mostra tutt'altro che in discesa, tanto è vero che anche l'annuncio del nuovo governo viene costantemente dato per imminente e ogni volta stenta ad arrivare. Le diatribe interne al movimento sono del resto numerose, anche se sui nomi principali non ci dovrebbero essere dubbi. Abdul Ghani Baradar, braccio destro del mullah Omar e fondatore con lui dei talebani, sarà il premier. Baradar sta scalpitando per questo risultato da quando gli Usa lo hanno fatto scarcerare dalle prigioni pakistane nel 2018, facendolo poi saltare direttamente dalla lista dei terroristi stilata dall'Unione europea al tavolo degli accordi di Doha, condotti in Qatar, che hanno portato al disimpegno americano in Afghanistan. Il leader supremo sarà invece Haibatullah Akhundzada, indicato già da tempo come «rahbar», titolo teocratico simile a quello dell'ayatollah Khamenei in Iran. Sull'apparente tranquillità dei talebani, inoltre, aleggia lo spettro dell'Isis-K, il ramo afgano del Daesh. I terroristi del Khorasan, da sempre in lotta contro i talebani per il potere, hanno tenuto a farsi «pubblicità» con il sanguinoso attentato all'aeroporto di Kabul durante le operazioni di evacuazione dei civili. L'intelligence scommette che non esiteranno a mettere la loro firma su nuovi, eclatanti fatti di sangue. Il momento dell'annuncio del nuovo governo potrebbe essere un'occasione propizia per finire di nuovo sotto i riflettori. I talebani hanno cercato di mostrarsi sicuri anche su questo fronte, asserendo di non aver bisogno della cooperazione degli Stati Uniti - offerta dagli stessi Usa - per tenere a bada l'Isis. Di contro, a Kabul è stato ricevuto in pompa magna il comandante dell'Isi (l'intelligence pakistana) Faiz Hamid, che guidava una delegazione di ufficiali pakistani. L'Isi aiuterà i talebani durante la fase di formazione del nuovo governo, segno inequivocabile e tangibile dei legami stretti tra Pakistan e regime, che si sono incontrati anche a Doha per discutere le loro relazioni bilaterali. Intanto la crisi avanza in tutto il Paese. Le difficoltà di accesso al sistema bancario stanno creando recessione e le fabbriche hanno problemi a sostenere le spese quotidiane e gli stipendi degli operai. Molti servizi pubblici hanno smesso di funzionare. Unici segni di apertura vengono dall'aeroporto di Kabul. I voli interni della compagnia nazionale «Ariana» avrebbero ripreso a decollare e nei prossimi giorni si vedrà cosa ne sarà del più importante scalo aereo afgano.
Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo
Sempre più risparmiatori scelgono i Piani di accumulo del capitale in fondi scambiati in borsa per costruire un capitale con costi chiari e trasparenti. A differenza dei fondi tradizionali, dove le commissioni erodono i rendimenti, gli Etf offrono efficienza e diversificazione nel lungo periodo.
Il risparmio gestito non è più un lusso per pochi, ma una realtà accessibile a un numero crescente di investitori. In Europa si sta assistendo a una vera e propria rivoluzione, con milioni di risparmiatori che scelgono di investire attraverso i Piani di accumulo del capitale (Pac). Questi piani permettono di mettere da parte piccole somme di denaro a intervalli regolari e il Pac si sta affermando come uno strumento essenziale per chiunque voglia crearsi una "pensione di scorta" in modo semplice e trasparente, con costi chiari e sotto controllo.
«Oggi il risparmio gestito è alla portata di tutti, e i numeri lo dimostrano: in Europa, gli investitori privati detengono circa 266 miliardi di euro in etf. E si prevede che entro la fine del 2028 questa cifra supererà i 650 miliardi di euro», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert SCF. Questo dato conferma la fiducia crescente in strumenti come gli etf, che rappresentano l'ossatura perfetta per un PAC che ha visto in questi anni soprattutto dalla Germania il boom di questa formula. Si stima che quasi 11 milioni di piani di risparmio in Etf, con un volume di circa 17,6 miliardi di euro, siano già attivi, e si prevede che entro il 2028 si arriverà a 32 milioni di piani.
Uno degli aspetti più cruciali di un investimento a lungo termine è il costo. Spesso sottovalutato, può erodere gran parte dei rendimenti nel tempo. La scelta tra un fondo con costi elevati e un Etf a costi ridotti può fare la differenza tra il successo e il fallimento del proprio piano di accumulo.
«I nostri studi, e il buon senso, ci dicono che i costi contano. La maggior parte dei fondi comuni, infatti, fallisce nel battere il proprio indice di riferimento proprio a causa dei costi elevati. Siamo di fronte a una realtà dove oltre il 90% dei fondi tradizionali non riesce a superare i propri benchmark nel lungo periodo, a causa delle alte commissioni di gestione, che spesso superano il 2% annuo, oltre a costi di performance, ingresso e uscita», sottolinea Gaziano.
Gli Etf, al contrario, sono noti per la loro trasparenza e i costi di gestione (Ter) che spesso non superano lo 0,3% annuo. Per fare un esempio pratico che dimostra il potere dei costi, ipotizziamo di investire 200 euro al mese per 30 anni, con un rendimento annuo ipotizzato del 7%. Due gli scenari. Il primo (fondo con costi elevati): con un costo di gestione annuo del 2%, il capitale finale si aggirerebbe intorno ai 167.000 euro (al netto dei costi). Il secondo (etf a costi ridotti): Con una spesa dello 0,3%, il capitale finale supererebbe i 231.000 euro (al netto dei costi).
Una differenza di quasi 64.000 euro che dimostra in modo lampante come i costi incidano profondamente sul risultato finale del nostro Pac. «È fondamentale, quando si valuta un investimento, guardare non solo al rendimento potenziale, ma anche e soprattutto ai costi. È la variabile più facile da controllare», afferma Salvatore Gaziano.
Un altro vantaggio degli Etf è la loro naturale diversificazione. Un singolo etf può raggruppare centinaia o migliaia di titoli di diverse aziende, settori e Paesi, garantendo una ripartizione del rischio senza dover acquistare decine di strumenti diversi. Questo evita di concentrare il proprio capitale su settori «di moda» o troppo specifici, che possono essere molto volatili.
Per un Pac, che per sua natura è un investimento a lungo termine, è fondamentale investire in un paniere il più possibile ampio e diversificato, che non risenta dei cicli di mercato di un singolo settore o di un singolo Paese. Gli Etf globali, ad esempio, che replicano indici come l'Msci World, offrono proprio questa caratteristica, riducendo il rischio di entrare sul mercato "al momento sbagliato" e permettendo di beneficiare della crescita economica mondiale.
La crescente domanda di Pac in Etf ha spinto banche e broker a competere offrendo soluzioni sempre più convenienti. Oggi, è possibile costruire un piano di accumulo con commissioni di acquisto molto basse, o addirittura azzerate. Alcuni esempi? Directa: È stata pioniera in Italia offrendo un Pac automatico in Etf con zero costi di esecuzione su una vasta lista di strumenti convenzionati. È una soluzione ideale per chi vuole avere il pieno controllo e agire in autonomia. Fineco: Con il servizio Piano Replay, permette di creare un Pac su Etf con la possibilità di ribilanciamento automatico. L'offerta è particolarmente vantaggiosa per gli under 30, che possono usufruire del servizio gratuitamente. Moneyfarm: Ha recentemente lanciato il suo Pac in Etf automatico, che si aggiunge al servizio di gestione patrimoniale. Con versamenti a partire da 10 euro e commissioni di acquisto azzerate, si posiziona come una valida alternativa per chi cerca semplicità e automazione.
Ma sono sempre più numerose le banche e le piattaforme (Trade Republic, Scalable, Revolut…) che offrono la possibilità di sottoscrivere dei Pac in etf o comunque tutte consentono di negoziare gli etf e naturalmente un aspetto importante prima di sottoscrivere un pac è valutare i costi sia dello strumento sottostante che quelli diretti e indiretti come spese fisse o di negoziazione.
La scelta della piattaforma dipende dalle esigenze di ciascuno, ma il punto fermo rimane l'importanza di investire in strumenti diversificati e con costi contenuti. Per un investimento di lungo periodo, è fondamentale scegliere un paniere che non sia troppo tematico o «alla moda» secondo SoldiExpert SCF ma che rifletta una diversificazione ampia a livello di settori e Paesi. Questo è il miglior antidoto contro la volatilità e le mode del momento.
«Come consulenti finanziari indipendenti ovvero soggetti iscritti all’Albo Ocf (obbligatorio per chi in Italia fornisce consigli di investimento)», spiega Gaziano, «forniamo un’ampia consulenza senza conflitti di interesse (siamo pagati solo a parcella e non riceviamo commissioni sui prodotti o strumenti consigliati) a piccoli e grandi investitore e supportiamo i clienti nella scelta del Pac migliore a partire dalla scelta dell’intermediario e poi degli strumenti migliori o valutiamo se già sono stati attivati dei Pac magari in fondi di investimento se superano la valutazione costi-benefici».
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