2021-08-25
Schiaffo di Biden agli alleati: «Via dal Paese il 31 agosto». Ma si tiene pronto un piano B
Malgrado le pressioni europee, il leader Usa non cambia idea sulla deadline Draghi: «Le risorse per le forze afgane andranno verso gli aiuti umanitari».«In aeroporto solo gli stranieri. Donne al lavoro? Per ora no, ma è per proteggerle» Incontro tra Cia e capo dei Talebani. Che si dicono contro i mutamenti climatici.Lo speciale contiene due articoli.Sembra passato un secolo dallo scorso giugno, quando -durante il G7 tenutosi in Cornovaglia- Joe Biden aveva cercato un ricompattamento con gli alleati storici. Era infatti un presidente americano in forte difficoltà quello che ha partecipato ieri al summit straordinario del G7 dedicato alla crisi afghana e a cui hanno preso parte anche il presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, oltre al segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg. Presieduta dal premier britannico Boris Johnson, la riunione virtuale ha registrato una netta spaccatura tra Biden e gli altri leader: l'inquilino della Casa Bianca ha infatti stabilito di voler ritirare definitivamente le proprie truppe dall'Afghanistan entro la deadline ufficiale del 31 agosto. Una posizione che non può non aver irritato gli altri leader, i quali - a partire dallo stesso Johnson - avevano fatto pressioni nei giorni scorsi sul presidente degli Stati Uniti, per convincerlo a una proroga e favorire in tal modo la sicurezza delle operazioni di evacuazione. Del resto, che Biden si stesse orientando in senso contrario all'estensione della deadline era emerso già nelle ore immediatamente precedenti alla conclusione del summit di ieri. Non solo i talebani avevano infatti lanciato nuove minacce, ma lo stesso portavoce del Pentagono, John Kirby, aveva laconicamente annunciato che non ci fosse «alcun cambiamento nella tabella di marcia della missione». Ora, è pur vero che, secondo quanto riferito dalla Cnn, il presidente statunitense ha chiesto alla sua squadra di preparare piani, in caso il termine ultimo non dovesse essere rispettato a causa di qualche imprevisto. Ma è comunque abbastanza chiaro che una simile situazione contribuirà adesso a un ulteriore deterioramento delle già turbolente relazioni transatlantiche, incrementando le fratture presenti nel blocco del G7. Senza poi dimenticare le grane interne allo stesso panorama politico americano: ieri vari parlamentari democratici e repubblicani hanno criticato il presidente per la sua mancata proroga del ritiro. Del resto, nel comunicato finale del summit non si fa riferimento specifico alla questione della deadline, ma ci si limita a impegni piuttosto vaghi. «La nostra immediata priorità», vi si legge, «è assicurare l'evacuazione sicura dei nostri cittadini e di quei cittadini afghani che hanno collaborato con noi e assistito i nostri sforzi negli scorsi vent'anni». Più nel dettaglio, sia Johnson che il presidente del Consiglio, Mario Draghi, hanno invocato ieri la possibilità di un transito sicuro anche dopo la data del 31 agosto. Una posizione che dovrà tuttavia fare i conti con l'ostilità talebana: sempre ieri i «barbuti» hanno d'altronde comunicato di non gradire le partenze degli afghani dal Paese. Un'altra questione affrontata dal summit è stata poi quella del riconoscimento del nuovo regime di Kabul: un punto, questo, rispetto a cui i leader hanno assunto una posizione fondamentalmente attendista. «Ribadiamo», recita il comunicato finale, «che i talebani devono essere ritenuti responsabili delle loro azioni nell'arginare il terrorismo, sui diritti umani (soprattutto delle donne, delle ragazze e delle minoranze) e nel perseguire una soluzione politica inclusiva in Afghanistan. La legittimità di ogni futuro governo dipende dall'approccio che esso ora adotta per mantenere i propri obblighi internazionali e i propri impegni per garantire un Afghanistan stabile». Insomma, il riconoscimento del nuovo regime dovrebbe avvenire solamente sub condicione. In tutto questo, si registrano due ulteriori aspetti interessanti emersi da questo G7. Innanzitutto i leader hanno invocato l'intervento delle Nazioni Unite per coordinare la gestione della crisi umanitaria afghana. In tal senso, durante il summit, Draghi ha dichiarato che «l'Italia reindirizzerà le risorse che erano destinate alle forze militari afghane verso gli aiuti umanitari», esortando i suoi colleghi a fare altrettanto. In secondo luogo, nella nota si fa esplicito riferimento al formato del G20 tra gli strumenti considerati necessari per occuparsi di quanto sta accadendo nel Paese. Questo elemento rafforza evidentemente la linea di Draghi, il quale punta a organizzare proprio un G20 straordinario il mese prossimo, volto a stabilizzare la regione e ad affrontare un'eventuale ondata di migranti diretta verso l'Europa Occidentale. Del resto, proprio durante il summit di ieri, il nostro premier ha posto la questione migratoria. «Saremo in grado di avere un approccio coordinato e comune? Finora, sia a livello europeo, sia internazionale, non si è stati in grado di farlo. Dobbiamo compiere sforzi enormi su questo», ha dichiarato, auspicando anche un impegno comune nella lotta al terrorismo. È quindi anche in quest'ottica che, in sede di G20, Draghi sembrerebbe puntare a un ampio coinvolgimento di attori internazionali. D'altronde, proprio gli scogli in cui è rimasto incagliato il G7 di ieri aumenteranno prevedibilmente la centralità di un G20 in cui - è assai probabile - saranno la Cina, la Russia e (almeno in parte) la Turchia a svolgere un ruolo decisivo, mentre Biden rischia di ritrovarsi seriamente isolato. Un Biden salutato un tempo da una certa fanfara mediatica come grande amico dell'Europa. Quell'Europa a cui invece ieri a voltato freddamente le spalle. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/biden-afghanistan-talebani-2654785235.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="i-talebani-tentano-di-impedire-lesodo" data-post-id="2654785235" data-published-at="1629887890" data-use-pagination="False"> I talebani tentano di impedire l’esodo Ieri pomeriggio, mezz'ora prima dell'inizio dei colloqui del G7 sull'Afghanistan, il portavoce dei talebani, Zabihullah Mujahid, ha tenuto una conferenza stampa per rispondere ai media internazionali e alle preoccupazioni di molti governi sulle violenze degli ultimi giorni nella città afghane. «Non inseguiamo nessuno, non diamo la caccia a nessuno, non ci sono stati incidenti in nessuna parte del Paese non abbiamo nessuna lista», ha sostenuto. «Noi vogliamo portare pace e sicurezza nel nostro Paese». Sottolineando, in modo che suonasse come un ultimatum, che la scadenza del 31 agosto per il ritiro definitivo delle truppe americane «è un piano degli Stati Uniti che hanno previsto loro», ha aggiunto che i talebani non permetteranno più ai cittadini afghani di raggiungere l'aeroporto di Kabul: le persone dovrebbero tornare a casa, ha spiegato Mujahid. «Abbiamo chiesto agli americani di non incoraggiare gli afghani a andarsene. Abbiamo bisogno delle loro competenze», ha affermato. Tradotto: niente ritorsioni nei confronti di coloro che hanno collaborato con «le forze d'invasione». Le procedure di evacuazione sono la priorità numero uno dei Paesi occidentali, molti dei quali hanno il timore di non riuscire a far partire tutti quelli che intendono farlo entro il 31 agosto. Il ministro della Difesa britannico, Ben Wallace, ha avvertito che i talebani potrebbero usare la forza per chiudere l'aeroporto di Kabul qualora gli Stati Uniti e i loro alleati tentino di allungare la scadenza del 31 agosto. Di questo avrebbero parlato lunedì a Kabul il direttore della Cia, William Burns, e il leader dei talebani, il mullah Abdul Ghani Baradar. A rivelare quello che, se confermato, sarebbe l'incontro più importante tra i talebani e l'amministrazione Biden dalla caduta di Kabul nelle mani degli insorti, è stato il Washington Post. Allo scalo della capitale afghana, ha spiegato il portavoce Mujahid che ha negato l'incontro che sembra aprire le porte a possibili colloqui tra le parti, l'Emirato «sta cercando di controllare la situazione». «La strada verso l'aeroporto è stata chiusa, gli afghani non possono più andare lì, possono farlo gli stranieri». Poi l'accusa agli Stati Uniti: «Abbiamo impedito ai cittadini afghani di recarsi lì perché c'è pericolo di perdere la vita a causa della calca, e gli americani stanno facendo qualcosa di diverso, quando c'è la calca sparano, e la gente muore. Sparano alla gente. Noi vogliamo che gli afghani siano al sicuro da questo». Parole che sembrano pensate sia per rassicurare (o minacciare?) la popolazione sia per continuare a mostrare in pubblico un volto più moderato rispetto alla generazione precedente che fondò l'Emirato islamico dell'Afghanistan nel 1996 sotto la guida del mullah Mohammad Omar. Nella lunga conferenza stampa, l'esponente dei talebani ha anche ribadito che le donne afghane non possono andare a lavoro. Per ora, ha spiegato. «In questo momento» vietarglielo «è per il loro bene, al momento, per impedire maltrattamenti», ha proseguito sottolineando che non hanno perso il posto di lavoro e che i loro salari vengono pagati. Poi una frase sibillina che dovrebbe gettare nel panico metà del mondo femminista occidentale: «Le forze di sicurezza al momento non sono operative e non sono addestrate nell'affrontare la donna, nel parlare con le donne e in questo momento dobbiamo fermare le donne finché non ci sarà una piena sicurezza per loro. Quando ci sarà un sistema appropriato, potranno tornare a lavoro e quindi riprenderanno lo stipendio. Ma al momento devono restare a casa». Che cosa significa non è chiaro. Non lo è neppure quando questo regime finirà. Tra i temi affrontati da Mujahid che anche quello che ha definito «un piccolo problema», in Panshir, dove si sta rafforzando la resistenza guidata da Aḥmad Massud. «Stiamo cercando di risolverlo, ne stiamo parlando», ha assicurato il portavoce dei talebani. «La nostra politica è di finire la guerra in questo Paese. La guerra è conclusa, non vogliamo nessun tipo di guerra o battaglia in Afghanistan, questa è la nostra politica. Noi cerchiamo di parlare alla popolazione del Panshir, cerchiamo di incontrarli e risolvere il problema. Ci stiamo provando in tutti i modi». Tradotto: dopo aver fatto circolare le voci di una possibile resa di Massud, i talebani hanno realizzato che la sua resistenza è reale. Dunque, serve fare appello alla popolazione. «Per l'80% la situazione è sotto controllo e vi possiamo rassicurare: i fratelli che sono lì li abbracciamo, chiediamo di tornare a Kabul e convivere con noi. Non abbiate paura, abbiamo obiettivi comuni», ha aggiunto tentando così di mostrare nuovamente il volto «buono» dei talebani. Sempre sulla linea fintamente «moderata», al Newsweek, Abdul Qahar Balkhi, membro della Commissione culturale dei talebani (sic) ha detto: «Crediamo che il mondo abbia un'opportunità unica di riavvicinamento e di incontro per affrontare le sfide non solo di fronte a noi, ma all'intera umanità e queste sfide che vanno dalla sicurezza mondiale al cambiamento climatico richiedono gli sforzi collettivi di tutti, e non può essere raggiunto se escludiamo o ignoriamo un intero popolo».
Jose Mourinho (Getty Images)