2022-07-21
Silvio lascia Draghi, parte la faida azzurra
L’ala governista non digerisce la scelta di Berlusconi di seguire Matteo Salvini. Rissa tra Licia Ronzulli e Mariastella Gelmini, che poi abbandona Fi: «Volta le spalle agli italiani». Andrea Cangini vota la fiducia ed è pronto a uscire. Sullo sfondo si avvicina la federazione con il Carroccio.Alla fine, dentro Forza Italia, sono volati gli stracci, come si suol dire. O meglio, si è avuto l’epilogo che molti si aspettavano da tempo, dopo le polemiche intestine sopite a fatica nelle scorse settimane. La scelta di non votare la mozione per una fiducia senza se e senza ma a Mario Draghi, firmata da Pierferdinando Casini e scelta dal premier, in sostanza, come aut aut per la prosecuzione della sua esperienza di governo, ha portato il ministro per gli Affari regionali, Mariastella Gelmini, ad abbandonare il partito sbattendo la porta. Quando si è profilata la scelta di non rinnovare la fiducia a Draghi da parte di Silvio Berlusconi, il ministro ha diffuso una lunga nota in cui ha spiegato le ragioni della sua scelta: «Ho ascoltato gli interventi in Aula della Lega e di Forza Italia», ha scritto, «apprendendo la volontà di non votare la fiducia al governo (esattamente quello che ha fatto il Movimento 5 stelle giovedì scorso). In un momento drammatico per la vita del Paese, mentre nel cuore dell’Europa infuria la guerra e nel pieno vortice di una crisi senza precedenti, una forza politica europeista, atlantista, liberale e popolare oggi avrebbe scelto di stare, senza se e senza ma, dalla parte di Draghi. Forza Italia ha invece definitivamente voltato le spalle agli italiani, alle famiglie, alle imprese, ai ceti produttivi e alla sua storia, e ha ceduto lo scettro a Matteo Salvini. Se i danni prodotti al Paese dalle convulsioni del Movimento 5 stelle erano scontati, mai avrei immaginato che il centrodestra di governo sarebbe riuscito nella missione, quasi impossibile, di sfilare a Conte la responsabilità della crisi: non era facile, ma quando a dettare la linea è una Lega a trazione populista, preoccupata unicamente di inseguire Giorgia Meloni, questi sono i risultati. Questa Forza Italia non è il movimento politico in cui ho militato per quasi 25 anni: non posso restare», ha concluso, «un minuto di più in questo partito». Una scelta, la sua, che in realtà era stata ampiamente preannunciata dal rovente scontro con lo stesso Berlusconi, quando quest’ultimo ha deciso di sostituire con la fedelissima senatrice Licia Ronzulli il coordinatore regionale lombardo Massimiliani Salini, invece molto vicino al ministro. Ma che nella concitata giornata di oggi è deflagrata con toni da duello rusticano e a tratti con venature da psicodramma collettivo. Mentre infatti si stava definitivamente allargando la faglia tra governisti e fautori del centrodestra unito, con il leader leghista Salvini che tornava a Villa Grande per concordare la linea da tenersi di fronte al diktat draghiano, dentro al partito azzurro, le due parlamentari andavano allo showdown liberando l’astio a lungo represso. Alla fine del dibattito in Aula sulle comunicazioni del presidente del Consiglio, infatti, la Gelmini, come ha riferito più di un lancio d’agenzia, si è alzata dai banchi del governo e si è avvicinata ai banchi dei senatori di Forza Italia puntando il dito contro questi ultimi e alzando la voce accusandoli di volere la caduta del governo. La Ronzulli, le ha risposto a quel punto di «prendersi uno Xanax» e in una nota ha poi aggiunto che «la linea a noi la dà solo e unicamente Berlusconi».In attesa di sapere cosa faranno gli altri «osservati speciali» Renato Brunetta e Mara Carfagna, uno psicodramma in sedicesimo è quello di cui è stato protagonista il senatore Andrea Cangini, da tempo su posizioni governiste e centriste, e che in passato aveva aderito al think tank liberale fondato dalla Carfagna. Al momento del voto delle mozioni e dopo l’annuncio della capogruppo azzurra Anna Maria Bernini, Cangini ha usato parole gravi per informare urbi et orbi della sua grave scelta: «Ho appena assunto la decisione più difficile della mia pur breve vita politica», ha esordito, «dopo aver votato per 55 volte la fiducia al governo Draghi, in mancanza di fatti politici nuovi l’ho fatto anche oggi. Il governo Draghi ha ufficialmente esalato l’ultimo respiro, la demagogia impera e il Paese va verso le elezioni. E alla domanda se sarebbe restato nel partito di Berlusconi, Cangini ha risposto «non credo sia possibile dopo il voto di oggi» e che «ci sono altri nel partito che la pensano come me», concludendo con «Berlusconi si è fatto trascinare». La scelta della Gelmini è stata comprensibilmente accolta con soddisfazione da alcune personalità che hanno assunto una analoga decisione nei mesi e negli anni scorsi, primo fra tutti il presidente della Regione Liguria, Giovanni Toti, a una convention della cui formazione politica il ministro aveva recentemente partecipato sollevando nuove polemiche all’interno di Forza Italia. E se da una parte prende quota l’ipotesi di una scissione dei «draghiani» azzurri, una sorta di replay in salsa forzista di quanto successo con Luigi Di Maio nel M5s, dall’altra la piena e ritrovata sintonia tra Salvini e Berlusconi potrebbe accelerare quel processo di federazione più volte additato da entrambi ma ancora allo stato embrionale.Il problema, a quel punto, sarebbe il rapporto con Giorgia Meloni, che ieri ha legittimamente cantato vittoria per l’esito della giornata parlamentare e che sarebbe messa in subordine da una lista unica verde-azzurra. Ma questa è un’altra storia.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)