2024-01-26
Così 30 anni fa Berlusconi cambiò la politica
Silvio Berlusconi nel 1994 (Getty Images)
Oggi a Roma la convention per celebrare l’anniversario della messa in onda del video che annunciava la «discesa in campo»: i comunisti non gliel’hanno mai perdonata. Ma se il suo fondatore è scomparso, resistono le idee che animano Forza Italia.Sono diventato vicedirettore vicario del Giornale il 19 marzo del 1994, una settimana prima della discesa in campo di Silvio Berlusconi. Dopo il successo dell’Indipendente, di cui pure ero vicedirettore, seguii Vittorio Feltri, chiamato a sostituire Indro Montanelli al vertice del quotidiano di via Negri. Per me cominciò un’avventura entusiasmante: da un posto in prima fila, infatti, riuscii ad assistere alla nascita di quella che un po’ pomposamente venne chiamata «la seconda Repubblica». Dopo anni di convergenze parallele, di solidarietà nazionale e di pentapartito, la politica cambiava facce e parole d’ordine. Il volto di Arnaldo Forlani, segretario della Dc, ossia del principale partito di governo, lasciava spazio a quello di un imprenditore rampante di nome Silvio Berlusconi. E le frasi incomprensibili del Caf, acronimo nato dal patto del camper fra Craxi, Andreotti e Forlani, erano travolte dalla rivoluzione liberale del Cavaliere. Meno tasse per tutti, un nuovo miracolo italiano, più libertà per le imprese. A distanza di trent’anni, si può dire che non tutte le promesse furono mantenute. Tuttavia, quell’annuncio, che si aprì con una dichiarazione d’amore incondizionata nei confronti dell’Italia proprio il 26 gennaio 1994, ha cambiato per sempre la politica e i suoi riti. Per la prima volta qualcuno ci metteva il nome, presentando un programma chiaro, di poche parole. E per la prima volta dopo il 1948, gli italiani erano chiamati a scegliere: o di qui o di là. O con i comunisti, riciclati da Achille Occhetto nel Pds per sottrarsi al fallimento del blocco sovietico, o con i moderati, raccolti intorno a Forza Italia.Per gli eredi del Pci la strada sembrava spianata, dopo che Mani pulite si era incaricata di far fuori la Dc, il Psi, il Psdi e i repubblicani. Ma a Berlusconi venne l’incredibile idea di mettere insieme gli opposti, dando vita a una coalizione che comprendesse una Lega secessionista con un Movimento sociale nazionalista, uniti in una Casa delle libertà trainata da Forza Italia. Pareva un’impresa disperata, destinata alla sconfitta, e infatti la campagna elettorale fu accompagnata dal crescente sarcasmo degli intellettuali engagé per il re della tv commerciale. Scherno che svanì immediatamente quando si aprirono le urne, lasciando posto a un astio che ancora si trascina.Il Cavaliere, con le sue invenzioni e le sue provocazioni, portò la politica nelle case degli italiani, facendo saltare la mediazione dei partiti. Forza Italia era lui, la sua storia, la sua carriera, il suo successo, la sua intraprendenza. Non aveva bisogno di sezioni, congressi o corpi intermedi, perché lui parlava direttamente al suo popolo, dimostrando di conoscere gli italiani meglio di chi per anni e decenni aveva sostenuto di rappresentarli. Sì, Berlusconi non ha realizzato tutto quello che aveva promesso di realizzare, vuoi per colpa sua, vuoi per colpa di chi gli ha messo i bastoni fra le ruote, a cominciare dalla magistratura per finire ai suoi alleati (senza dimenticare ovviamente i nemici). E però il suo successo è dimostrato da una serie di fatti. Il primo è che nessun leader politico è riuscito a rimanere presidente del Consiglio per un periodo così lungo e allo stesso tempo nessun leader è stato così determinante per un trentennio. Perfino i più longevi, come Andreotti, hanno avuto ruoli importanti per alcuni anni, salvo poi scomparire per altri. Berlusconi al contrario, per tre decenni è stato o il capo del governo o il capo dell’opposizione, senza soluzione di continuità. E in trent’anni ha imposto di fatto una sorta di presidenzialismo: chi votava per il centrodestra sapeva che il candidato premier era lui e solo i ribaltoni e le manovre del Quirinale hanno impedito che questa diventasse la regola della politica, con la scelta del candidato da parte degli elettori. Il Cavaliere ha semplificato il linguaggio, ha dato rappresentanza a quella maggioranza silenziosa che dagli anni Settanta fino ai Novanta una voce non l’aveva trovata. E soprattutto, grazie a lui sono stati spazzati via una serie di luoghi comuni della sinistra, a cominciare dalla supremazia dei compagni. Nella storia rimarrà l’immagine di lui che con il fazzoletto spolvera la sedia su cui si era seduto Marco Travaglio, come a scacciarne il pensiero e l’influenza.Oggi, all’Eur, Forza Italia celebrerà con una convention l’anniversario della messa in onda del famoso video che si apriva con «L’Italia è il Paese che amo». Sarà un modo per rimettere in ordine le idee e rilanciare le proposte che portarono alla nascita del partito. Un modo per dire che la scomparsa del leader che lo fondò, non equivale alla scomparsa delle ragioni che lo indussero a scendere in campo. Le elezioni europee sono una sfida, la prima da affrontare senza avere in prima linea il Cavaliere e dunque la più difficile da vincere. Una battaglia che però vale la pena di essere combattuta.Ps. Ieri i lupi di Repubblica, quotidiano che da quasi cinquant’anni manganella chiunque non la pensi come i suoi giornalisti (Berlusconi ne sapeva qualcosa), si sono travestiti da Agnelli, atteggiandosi a vittime del governo. La messa in scena è stata perfidamente affidata a Massimo Giannini, al quale - come alle vittime della sindrome di Stoccolma - è toccato difendere il carnefice, ovvero l’editore che lo ha recentemente licenziato dalla direzione della Stampa. Ho compassione per lui e invoco l’intervento del sindacato, del Cdr e di tutti gli organismi di categoria affinché salvino il soldato Giannini prima che l’insuccesso gli dia alla testa.
Il fiume Nilo Azzurro nei pressi della Grande Diga Etiope della Rinascita (GERD) a Guba, in Etiopia (Getty Images)