2025-03-19
Berlino sblocca i debiti per la Difesa e torna all’egemonia a mano armata
Il cancelliere tedesco Friedrich Merz (Getty Images)
Passa la riforma costituzionale. La Spd rivendica la «leadership» tedesca, Merz lancia un patto con Londra: ricomincia la competizione coi francesi. L’Italia, che ha minori margini di spesa, confida ancora nella Nato.Quando Friedrich Merz, probabile prossimo cancelliere tedesco, ha parlato di «primo grande passo verso una nuova comunità di Difesa europea», stava candidando la Germania alla riconquista, attraverso una rediviva potenza militare, dell’egemonia sul Vecchio continente. E infatti, mentre esortava il Bundestag ad approvare il superamento del freno al debito per riarmo e infrastrutture, il numero uno della Cdu si è guardato bene dal citare la Francia, da sempre contraria alla ristrutturazione dell’esercito del suo vicino e rivale. Alla fine, la riforma costituzionale è passata con 513 sì e 207 voti contrari. È atteso, per venerdì, il verdetto ultimo del Senato federale. Ma quello di ieri è stato già un giorno storico.La «comunità» cui ha alluso Merz includerà «anche Paesi che non sono membri dell’Unione europea ma sono molto interessati a costruire questo sistema di Difesa europeo comune insieme a noi, come la Gran Bretagna». È più facile sopportare un dualismo con chi ha divorziato da Bruxelles e ha un canale a separarlo dalla terraferma, piuttosto che con Parigi, ugualmente impegnata a tirare gli inglesi dalla sua parte e decisa ad approfittare del disimpegno americano, per diventare nazione guida.Lo ha ricordato Martino Cervo su queste stesse colonne: la Comunità europea di Difesa venne pensata, nei primi anni Cinquanta, proprio per neutralizzare i piani tedeschi di riarmo. Programmi che allora si cercava di giustificare evocando timori simili a quelli di oggi, ancorché più fondati: dopo l’assedio a Berlino nel biennio 1948-1949, l’Urss avrebbe potuto aggredire i territori dell’Ovest. L’esigenza di blindarsi venne meno quando la Germania occidentale fu inclusa nella Nato e, dunque, ricadde sotto l’ombrello nucleare americano. Al di là del Reno, forti dell’esperienza maturata con la guerra franco-prussiana e i due conflitti mondiali, non hanno mai guardato con favore alla prospettiva di una nazione tedesca militarmente attrezzata. E anche Oltreoceano, all’inizio, circolarono ipotesi radicali: Henry Morgenthau Jr., segretario del Tesoro per l’amministrazione Roosevelt, nel 1945 suggerì di trasformare la Germania in un Paese «a vocazione agricola e pastorale». Non semplicemente smilitarizzato, bensì deindustrializzato.Il frontman dei cristiano-democratici ha spiegato che «la guerra di aggressione di Putin è diretta non solo contro l’integrità territoriale dell’Ucraina ma contro l’Europa», compreso «il nostro Paese», attraverso gli «attacchi alle nostre reti», «la distruzione delle linee di rifornimento», gli «omicidi su commissione», «lo spionaggio» e l’immancabile «disinformazione». Ha avvertito: «Ci difenderemo». Ha criticato il «falso senso di sicurezza» in cui si è crogiolata «la nostra società». Ma nell’auspicare un «cambiamento di paradigma», idoneo a «ricostruire completamente le nostre capacità di Difesa, utilizzando una strategia basata sulla tecnologia, sui sistemi automatizzati, su una sorveglianza satellitare europea indipendente, sui droni» e su «contratti affidabili», assegnati a campioni continentali, ha promosso ben più che la riconversione bellica dell’automotive in crisi. Ha chiesto nientemeno che di ridisegnare l’ordine emerso dalla seconda guerra mondiale. Beninteso: la Germania in armi non significa Quarto Reich, l’ennesima campagna espansionistica alla ricerca dello «spazio vitale». Vuol dire, però, che sarà ripensato il patto sociale in virtù del quale il Paese si era rialzato dalle macerie del Reichstag: non più il successo ordoliberale collegato alla bilancia commerciale, ma una ricostituita competitività geopolitica sorretta dalla Bundeswehr. Scusate se è poco.Va dato alla Spd di essere stata più esplicita di Merz. Il copresidente del partito, Lars Klingbeil, ha avuto la lucidità di definire «storico» il voto al Bundestag. «Sono favorevole», ha detto, «a fare tutto il possibile per sostenere la cooperazione transatlantica, ma ora dobbiamo lavorare in Europa. Dobbiamo diventare più forti. Dobbiamo garantire la nostra sicurezza. La nostra responsabilità è che la Germania abbia un ruolo di primo piano da svolgere e credo che dobbiamo essere pronti ad assumerci questa responsabilità di leadership». Cristallino. La rottura con Washington spalanca margini di manovra. E dietro l’appello a un’«Europa forte che sappia difende la nostra libertà, la nostra sicurezza», lanciato dal ministro della Difesa di Olaf Scholz, Boris Pistorius, si avverte lo scalpitio degli Stati membri. I quali aspirano, appunto, a diventare leader. È la stessa sfida raccolta da Emmanuel Macron, che per il momento può giocarsi più carte dei tedeschi (e che ieri, insieme a Scholz, ha promesso aiuti a Kiev alla faccia della tregua). È una sfida ardua per l’Italia, che ha pochi margini di spesa: difatti, Giorgia Meloni parla di «pilastro europeo della Nato» e si mette sotto l’egida dell’America trumpiana. Ed è la sfida per cui a Berlino sbloccano 500 miliardi per il riarmo. O meglio, 400 più i 100 promessi ai Verdi per gli investimenti green, in cambio del loro appoggio parlamentare.Cosa può andare storto? Non è rimasto nessuno a domandarselo: ormai, è scomparsa la generazione che amava così tanto la Germania da preferirne due.