2024-05-18
Con Benigni a fianco di Francesco anche l’Angelus diventa una comica
Roberto Benigni e Papa Francesco (Ansa)
Bergoglio ne inventa un’altra: il 26 maggio la celebrazione a San Pietro sarà chiusa dal «piccolo diavolo». Ovvero il raffinato autore dell’inno del «corpo sciolto», colui che diede del «Wojtilaccio» a Giovanni Paolo II. Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Papocchio. Così in piazza san Pietro si passa direttamente dall’Angelus al piccolo diavolo: sarà infatti Roberto Benigni a concludere domenica 26 maggio la sacra preghiera in Vaticano. Ore 12 come sempre, ma stavolta cambia tutto. Non era mai successo prima. Non è uno scherzo: a pregare con i fedeli sarà davvero l’attore che urlava «Wojtylaccio». Quello dell’inno del corpo sciolto («lo può cantare solo chi caca molto»). Quello già denunciato per turpiloquio e vilipendio alla religione. Prima parlerà il Papa e poi toccherà a lui. Uno dopo l’altro, come se fosse la medesima orazione. Ave Maria gratia plena e Berlinguer ti voglio bene. Il Verbo si fece carne e poi però bestemmiò. Così cambia il mondo: una volta nei giorni di Pentecoste i cattolici invocavano lo spirito affinché discendesse benigno. Adesso, invece, Benigni. Certo: il Benigni di oggi, imborghesito e istituzionalizzato, non ha nulla a che fare con il provocatore toscano delle origini. Farà discorsi buonisti e di certo non reciterà uno dei suoi immortali versi, tipo «non sono stato mai così giocondo, viva la merda che ricopre tutto il mondo» oppure «evviva i cessi, sian benedetti, evviva i gabinetti». E la celebrazione della Giornata mondiale dei bambini, pretesto per la riunione B&B, Bergoglio e Benigni, con 100.000 piccoli schierati in piazza San Pietro, offre una sufficiente garanzia di annacquare l’evento in un mare di melassa. Ma anche agli organizzatori di questa geniale trovata non sfugge «l’impatto scenografico e simbolico eccezionale» che avrà quel duetto. Lo dicono nel presentarlo, tutti soddisfatti. Ma lo dicono senza tener conto dello sconcerto che porterà ai fedeli. Benigni in piazza San Pietro al posto del Papa, in effetti, l’avevamo già visto. Ma era un film. Di Renzo Arbore. Sembrava il trionfo dell’assurdo. Invece ora quell’assurdo diventa realtà. Non che Bergoglio non ci abbia abituato, ahinoi, a smantellare pezzo a pezzo la figura del Papa. Dal primo «buonasera» in poi è stato tutto un colpo di piccone alla sacralità del ruolo: la visita improvvisa al negozio di dischi Stereosound e le telefonate a raffica (a chiunque: giovani ingegneri di passaggio, anziani soli, protagonisti dei fatti di cronaca...), la chiamata a Rita Pavone e le abbuffate di selfie, la frequentazione del suo corrispettivo papa laico Eugenio Scalfari e le intervista alla Gazzetta dello Sport, fino ad arrivare alle copertine di Rolling Stone e di Vanity Fair, come fosse una Vanessa Incontrada qualunque. Papa Francesco non ha mai smesso di seminare dubbi dentro le tradizioni millenarie dei suoi fedeli. Come quando è entrato nella camera ardente dell’ex presidente Giorgio Napolitano e non si è fatto nemmeno il segno della croce. Forse era già in sintonia con Benigni, che in effetti nei suoi spettacoli ironizzava: «Ma poi ‘sto Spirito Santo chi è?». Perfetto per l’Angelus, mi pare. Così come era perfetto il crocifisso con la falce e martello, dono del boliviano Evo Morales, e accolto con tutti gli onori in Vaticano. Così come era perfetta la statua della Pachamama, divinità Inca solennemente benedetta in San Pietro. Così come era perfetta la partecipazione al talk show di Fabio Fazio, dove per la prima volta nella storia un Papa si è sottomesso alle domande di un intrattenitore, facendosi trattare più o meno come si tratta Monica Bellucci quando presenta l’ultimo film. Un altro colpo alla sacralità della figura del Santo Padre, che ha fatto pensare a quali potrebbero essere i prossimi passaggi: il Papa che partecipa a C’è Posta per te per incontrare una vecchia fiamma sotto l’occhio attento di Maria De Filippi? Il Papa che si presenta a Sanremo intonando gli inni sacri riarrangiati in chiave rap? Il Papa che gareggia all’Isola dei Famosi, dividendo la palapa con qualche ex tronista e soubrette? Possibile. Sempre che l’Agcom sia d’accordo, sia chiaro, e non ordini per par condicio anche la presenza del Dalai Lama… Vi sembra esagerato? Qui siamo pronti a tutto, ormai. L’altro giorno stavo pensando che le ultime uscite del Papa su guerra e aborto mi davano maggior forza nel recitare il Credo durante le messa («Credo nella chiesa cattolica, una santa apostolica…»). Da oggi, invece, sono più a disagio di prima. Perché diventa difficile pregare se la preghiera è Benigni che recita l’Angelus. Con tutto il rispetto che si può avere per l’attore, per il suo Oscar, per i suoi film, l’Angelus non è la presentazione di un libro o una conferenza o uno show. È un momento sacro. Un momento in cui i fedeli alzano gli occhi al cielo e guardano Dio attraverso il loro sacerdote. E se il sacerdote diventa l’uomo del Wojtylaccio. l’uomo che chiamava la Bibbia «Fibbia» («un libro per calzolai»), l’uomo che bestemmiava i dieci comandamenti, beh allora viene voglia di andarsene. Prima che a distribuire l’eucaristia venga chiamato Rocco Siffredi.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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Il Comune di Merano rappresentato dal sindaco Katharina Zeller ha reso omaggio ai particolari meriti letterari e culturali della poetessa, saggista e traduttrice Mary de Rachewiltz, conferendole la cittadinanza onoraria di Merano. La cerimonia si e' svolta al Pavillon des Fleurs alla presenza della centenaria, figlia di Ezra Pound.