2025-04-01
Benestare Ue ai Cpr in Albania: toghe beffate
Un portavoce della Commissione europea approva il nuovo decreto: «Usare la struttura di Gjadër come Centro di permanenza per i rimpatri è legale». Con buona pace della giudice Albano di Md, che affinava già gli strumenti giuridici per farlo naufragare.Si reggano forte i giudici, che stavano scaldando i motori per ostacolare anche la fase due del protocollo Italia-Albania: l’Europa dice che il nuovo decreto del governo, con cui si dà il via libera al trasferimento nei Balcani degli stranieri destinatari di un provvedimento di espulsione, è «in linea con la legge Ue». A benedire la misura utile a riattivare la struttura svuotata dalla magistratura, ieri, è stato un portavoce della Commissione. «Siamo a conoscenza degli ultimi sviluppi», ha spiegato. «Secondo le nostre informazioni, la legge nazionale italiana si applicherà al centro», come «finora per l’asilo. E in linea di principio», ha concluso il funzionario, «ciò è in linea con la legge Ue. Continueremo a monitorare l’implementazione del protocollo», ha aggiunto, «e rimarremo in contatto con le autorità italiane. E in termini di soluzioni innovative, abbiamo detto che siamo pronti a esplorarle, sempre in linea con gli obblighi del diritto dell’Ue e internazionale e i diritti fondamentali».Una batosta alla campagna mediatica imbastita dai giornali, con la collaborazione di giudici forse poco preoccupati di apparire imparziali, oltre che di esserlo. A cominciare da Silvia Albano, numero uno di Magistratura democratica, la corrente di sinistra delle toghe. Sabato, intervistata da Repubblica, si era affrettata ad affinare gli utensili giuridici per i colleghi che dovranno eventualmente pronunciarsi sui futuri movimenti verso Gjadër: serve il consenso dei diretti interessati, aveva insistito, perché «il centro non si trova in territorio italiano». Secondo il ministero dell’Interno, al contrario, non si profila alcun abuso: sebbene l’accordo tra Giorgia Meloni ed Edi Rama non abbia istituito un’enclave tricolore in Albania, all’interno delle strutture al di là dell’Adriatico valgono le nostre regole, che sono poi quelle europee. I commenti della Commissione sono stati accolti con soddisfazione dalla maggioranza. Carlo Fidanza, eurodeputato di Fdi, ha parlato di «vittoria per l’Italia e per il governo Meloni. Ancora una volta», ha detto, «la sinistra viene smentita nei fatti: le soluzioni innovative e coraggiose per contrastare l’immigrazione illegale non solo sono possibili, ma anche compatibili con il quadro normativo europeo e internazionale». D’altronde, persino Paesi membri guidati dai socialdemocratici, come la Danimarca, guardano con interesse al progetto: qualche giorno fa, il ministro dell’Immigrazione danese, Kaare Dybvad Bek, era andato in Albania a prendere appunti.Polemico con l’opposizione anche il capogruppo alla Camera del partito della Meloni, Galeazzo Bignami: «Cosa si inventeranno la sinistra e la Magistratura democratica per fermarci?». Gli ha fatto eco il sottosegretario alla Giustizia, Andrea Delmastro delle Vedove: «L’Italia non rinuncia alla sua sovranità e prosegue nella lotta contro l’immigrazione illegale». L’onorevole Sara Kelany, di Fdi, ha criticato la sinistra che «pur di attaccare la presidente del Consiglio è costretta a negare l’evidenza», mentre il suo collega senatore, Marco Lisei, ha ricordato proprio l’«interesse» dell’Europa e dei partner Ue per il centro in Albania.Ovviamente, la battaglia non è ancora vinta. Dovessero spuntare nuovi ricorsi, a decidere rimarranno le solite toghe: giudici di pace oppure, nei casi previsti, la Corte d’appello di Roma, dove l’incarico di pronunciarsi sulle pendenze è stato affidato agli stessi magistrati della sezione immigrazione del tribunale, i quali avevano già bloccato i primi trasferimenti in Albania. Il verdetto giunto ieri da Bruxelles ha un forte valore politico, ma non fa giurisprudenza. Certo, avendo invocato il primato del diritto comunitario, i giudici dovrebbero tenerne conto. Resta aperta, intanto, la partita alla Corte di giustizia, che dovrà pronunciarsi sui quesiti posti da vari tribunali, a proposito delle famose «eccezioni» ammissibili per qualificare come sicuri i Paesi d’origine dei migranti. Diversi Stati membri hanno presentato memorie in favore della posizione della Meloni. In più, un’accelerazione sulla riforma del sistema dei rimpatri taglierebbe la testa al toro, perché anticiperebbe l’entrata in vigore della nuova legislazione, che ammette esplicitamente sia le eccezioni territoriali sia quelle per categorie di persone, contestate dai magistrati italiani.In Europa il clima è cambiato. Lo si era già capito quando Ursula von der Leyen ha affidato l’incarico di commissario agli Affari interni a Magnus Brunner, esponente del Ppe ma austriaco e, pertanto, fautore del rigore in materia di confini. Da mesi si evocano, appunto, «soluzioni innovative» e ieri il premier ne ha discusso con il suo omologo britannico, Keir Starmer: «Siamo d’accordo», ha sottolineato la Meloni, «che non bisogna aver paura di immaginare e costruire soluzioni innovative, come quella avviata dall’Italia con l’Albania. Modello criticato all’inizio ma che poi ha raccolto sempre più consenso, tanto che oggi l’Unione europea propone di creare centri per i rimpatri nei Paesi terzi. Ciò vuol dire che avevamo ragione e che il coraggio di fare da apripista è stato premiato». E se fosse la volta buona?